Benedetto chi confida nel Signore....

News del 13/02/2010 Torna all'elenco delle news

Ci confrontiamo a partire da questa domenica con il discorso programmatico di Gesù, generalmente chiamato "Discorso della montagna", perché l'evangelista Matteo lo ambienta appunto su un monte; Luca invece lo colloca in un luogo pianeggiante, dove Gesù discende dopo aver scelto i Dodici.
E' bene ricordare al proposito che spesso nei Vangeli l'ordine degli episodi e la loro ambientazione non rispondono ad un criterio cronologico o cronachistico, ma ad un criterio letterario e catechistico: Luca ha un particolare interesse a collegare in questo modo la chiamata dei Dodici e un discorso particolarmente solenne di Gesù, in cui risalta tutta la novità del suo messaggio. La presentazione di Matteo ha invece un altro scopo e un altro punto di vista, e di fatto è la più considerata, negli studi, nella catechesi, nella predicazione.

Gli interlocutori privilegiati

Abbiamo quindi l'occasione per riscoprire queste parole fondamentali di Gesù dal punto di vista dell'evangelista Luca, che ci apre prospettive diverse da quelle matteane. Una prima caratterizzazione di Luca è l'individuazione di interlocutori privilegiati: anche se pronunciato di fronte ad una moltitudine di gente, il discorso si rivolge principalmente ai discepoli. Luca lo nota accuratamente: "Alzati gli occhi verso i suoi discepoli..."; e inoltre tutte le beatitudini sono alla seconda persona plurale, marcando fortemente l'identità del destinatario. Non che la moltitudine proveniente "dalla Giudea, da Gerusalemme, e dal litorale di Tiro e Sidone" sia esclusa: nella visione di Luca-Atti tutte le nazioni sono destinate a ricevere l'annuncio della Parola che salva, attraverso l'opera degli apostoli e dei discepoli di Cristo. Chiunque ascolta queste parole di Gesù è invitato a farsi discepolo.

Beati voi - Guai a voi

L'altra caratteristica fondamentale dell'apertura del discorso programmatico in Luca è l'aggiunta di una serie di "guai" alle beatitudini, con uno studiato parallelismo. Ci interessa in particolare modo la conclusione delle due strofe: "Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti" e "Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti". Gesù parla a persone che hanno un ruolo profetico, e che sono invitate a tener fede all'autenticità della loro identità profetica. Come già si faceva notare, destinatari sembrano essere i discepoli, o le moltitudini chiamate ad essere discepole. Ora, agli stessi destinatari Gesù dice: "Beati voi... guai a voi". L'ascolto istintivo di questo brano fa pensare ad una sorta di divisione in categorie: beati i poveri da una parte - beati i ricchi dall'altra. La domanda che sorge nella coscienza dell'ascoltatore è dunque se egli sta dalla parte degli uni o degli altri. La lettura attenta mostra che non c'è necessariemente un cambio di destinatario. A me discepolo il Signore dice: "Beato te, povero - Guai a te, ricco".

Segno di contraddizione

Si può ipotizzare che questa forma delle Beatitudini risenta della particolare situazione della comunità lucana: una comunità ormai postapostolica, di cristiani della seconda o terza generazione. Una comunità che rischiava di esaurire la spinta forte dei primi discepoli, e che si trovava a fare i conti con i tempi lunghi e le fatiche della storia. Una situazione insomma molto simile alla nostra, in cui il richiamo di Luca all'autenticità e alla radicalità risulta salutare: questa Parola, come una spada, opera un taglio nella nostra coscienza, personale e comunitaria, costringendoci a verificare che cosa in noi è povertà e che cosa in noi è ricchezza, autosufficienza, autogratificazione.

Beati voi che ora avete fame... guai a voi che ora siete sazi

L'espressione "aver fame" ricorre nell'episodio delle tentazioni. Il lettore di Luca sa già che l'uomo "non vive di solo pane", e che Gesù rifiuta di essere saziato a prezzo della sua fedeltà al Padre e al suo disegno di amore. E' quindi una parola che può riferirsi sia a chi è affamato in senso materiale, sia a chi è affamato di qualcosa di più del pane. L'espressione "essere sazio" ricorre invece nell'episodio della moltiplicazione dei pani. Il che ci conduce ancora ad un'interpretazione complessiva di questa fame e di questa sazietà. Gesù non dimentica il bisogno fisico dell'uomo, ma gli dona qualcosa di più. La sua stessa parola, la sua stessa persona, come pane di vita.Questa beatitudine dunque, con il "guai" corrispondente, ci costringe a riesaminare la nostra vita, in una maniera sorprendente. Ciò che noi consideriamo povertà, indigenza, bisogno, debolezza, potrebbe essere proprio quello che viene accolto e complimentato da Gesù: "Beati voi che ora avete fame...": perché lì potremo essere saziati da lui, Pane di vita. Quello che invece ci rende fieri e orgogliosi, le nostre sicurezze, il nostro benessere materiale, che assicuriamo per noi stessi e per i nostri familiari, potrebbe essere motivo di compianto e delusione da parte della Parola: "Disgraziato te, che ora sei sazio, pasciuto del tuo benessere, tranquillo nelle tue sicurezze... verrà il momento che anche tu avrai fame...".

Rifare unità

Se ci lasciamo interrogare in profondità da questa parola, non possiamo fare a meno di ricercare unità nella nostra vita: "Non potete servire a due padroni" dice Gesù in un altro passo. Non possiamo accettare che la nostra esistenza di discepoli sia segnata dal compromesso tra povertà, fiducia, desiderio di seguirlo, e ricchezza, autosufficienza, e ricerca del consenso mondano.


Flash sulla I lettura

"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo...": il contesto del capitolo 17 è la denuncia della gravità del peccato del popolo: un peccato "scritto nelle tavole del cuore", che segna in maniera irreparabile l'esistenza del popolo. Alla denuncia del peccato fa seguito una serie di sentenze di carattere sapienziale, apparentemente non molto coordinate. In realtà, nel loro stile aforistico e allusivo, i detti che compongono la prima lettura di questa domenica spiegano le radici profonde del peccato del popolo
"che pone nella carne il suo sostegno, e dal Signore allontana il suo cuore": abbonda qui il vocabolario della fiducia. Chi non confida in Dio e cerca altri aiuti, dal punto di vista del profeta, è destinato al fallimento. Al tempo del profeta le sue parole avevano anche risvolti politici, perché mettevano in discussione tutto un complesso sistema di sottili giochi politici e alleanze internazionali. Ma proprio da questo sistema di alleanze deriverà in ultima analisi la sciagura di Israele.
"quando viene il bene non lo vede": il dramma del popolo è la sua incapacità di vedere il bene, di cogliere la presenza effettiva di Dio nella storia. Ma non è possibile senza la fede.
"Benedetto l'uomo che confida nel Signore": il termine ebraico che sta per "confidare" esprime l'idea di trovare "appoggio", sostegno, di poter far conto su qualcosa di solido.Il profeta denuncia il fatto che le sicurezze umane (ricchezze, appoggio politico, alleanze conle potenze straniere...) prendono il posto della fiducia in Dio. Le certezze tangibili, misurabili, seducono più della nuda fede.
"e il Signore è sua fiducia": ciò che si propone è una relazione personale autentica tra l'uomo e Dio, nella linea tipica della predicazione profetica. Nel salmo 1, che è proposto come salmo responsoriale, il tema della fiducia è sostituito dal tema dell'osservanza della Legge, secondo una linea tipica della spiritualità postesilica. La fiducia in Dio è mediata dalla pratica dei comandamenti.

Flash sulla II lettura

"Come possono alcuni tra voi dire che non esiste risurrezione dei morti?": la negazione della risurrezione da parte di una frangia o di tutta la comunità dei Corinzi è un fatto strano, spiegato in diversi modi. Sembra più probabile che si trattasse di una forma di spiritualismo: la salvezza cristiana era interpretata come una spiritualizzazione, un estraniarsi dalla prigione del corpo. Per cui l'idea della risurrezione risultava superflua.
"se Cristo non è risorto è vana la vostra fede...": Paolo reagisce facendo comprendere l'originalità del messaggio e del fatto cristiano. Non si tratta di bearsi in un vago spiritualismo, ma di credere e affidarsi pienamente alla fede nel Risorto. "Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti": dopo l'argomentazione per assurdo, Paolo ritorna al dato fondamentale della fede. Provocando anche noi oggi: abbiamo ancora fede nella risurrezione? E la esprimiamo nelle nostre liturgie funebri, e nel modo di accostarci alla morte? 

Testo di don Fulvio Bertellini (La presentazione di Luca)

 

Nesso tra le letture

Nelle letture sembra intravedersi un'antitesi. Si contrappongono la benedizione per chi confida in Dio, alla maledizione per chi confida nell'uomo (prima lettura, salmo responsoriale). Luca, nel vangelo, oppone la beatitudine dei poveri e affamati, di coloro che piangono, ai lamenti dei ricchi e dei soddisfatti, di coloro che ridono e di coloro che sono lodati da tutti. Infine, nella seconda lettura, si ha una contrapposizione tra coloro che non credono alla resurrezione dei morti (alcuni corinzi), e coloro che credono in essa, giacché Cristo è risorto (Paolo e tutta la tradizione cristiana).
MESSAGGIO DOTTRINALE

BENEDETTO CHI CONFIDA NEL SIGNORE. La vita umana è un esercizio continuo di fiducia. I figli hanno fiducia nei genitori, e i genitori nei figli. Lo sposo ha fiducia nella sposa, e viceversa. L'alunno confida nel maestro, il passeggero nel pilota dell'aereo... Nella vita spirituale tutta la fiducia si deve porre in Dio, perché tale vita è completamente opera di Dio, gli uomini sono soltanto dei collaboratori. Posso aver fiducia in un sacerdote, ma in quanto rappresenta il potere, la bontà, la misericordia di Dio; posso porre la mia fiducia in una religiosa, in un catechista, nella Parola di Dio, nei sacramenti, ma non è tanto in essi, quanto nel Dio che attraverso di essi mi parla, nel Dio che essi mi comunicano. Se ponessi la mia fiducia soltanto nel sacerdote, nella religiosa, nel catechista, nella Bibbia, nei sacramenti, senza giungere fino a Dio, prima o poi tale fiducia si spegnerebbe, resterei deluso da tutti loro, la mia vita perderebbe la sua bussola e la sua rotta, e comincerei ad essere un giocattolo di me stesso e dell'ambiente che mi circonda. La liturgia di oggi ce lo insegna mediante antitesi, a prima vista sconcertanti, ma che hanno un unico fondo: fiducia in Dio o fiducia nei mezzi umani. Il povero, l'affamato, chi piange e chi è odiato, è chiamato "beato" perché, non avendo sicurezze umane, pone tutta la sua fiducia nel Signore (vangelo). La prima lettura ci dice che chi confida nel Signore è come un albero piantato vicino all'acqua; il suo fogliame si mantiene verde, in anno di siccità non cessa di dare frutti. Cioè, Dio gli infonde costantemente vita, gioventù, dinamismo, che fruttificano in opere buone. E chi può credere nella resurrezione dei morti, se non chi confida totalmente nel fatto che Dio ha risuscitato Gesù Cristo, come primizia di coloro che dormono il sonno della morte? (seconda lettura).

"MALEDETTO" CHI CONFIDA NELL'UOMO. Conviene chiarire che qui non si parla dell'uomo "come mediatore" tra Dio e gli uomini, ma ci si riferisce alle qualità, alle forze e alle sicurezze umane, ai mezzi umani, siano i miei, siano quelli di altri. Nel campo spirituale, il porre la fiducia nelle "cose umane" termina in sicuro fallimento. Per questo il ricco, il soddisfatto, colui che ride e chi è lodato da tutti, è chiamato "maledetto", non perché sia ricco, soddisfatto..., ma perché pone la sua sicurezza nella propria ricchezza, nella sua soddisfazione, nel suo divertimento, nella lode umana; cioè, confida in sé e nelle sue cose, e non in Dio (vangelo). Allo stesso modo, colui che confida nell'uomo o in se stesso è come un cardo nella steppa, secco e senza frutto. Ossia, una vita sterile, improduttiva per il Regno di Cristo. Nella prima lettera ai corinzi, san Paolo parla di alcuni che non credono alla resurrezione dei morti. Perché non credono, se non perché confidano troppo nei consigli della sapienza umana, della propria intelligenza, dell'evidenza dei sensi?
SUGGERIMENTI PASTORALI

UNA NUOVA SCALA DI VALORI. I valori sono come il cemento di una vita. Quali sono quei valori che sono di moda oggi in molti uomini del nostro tempo, e nei quali essi pongono, se non tutta, quasi tutta la loro fiducia? Un valore, per esempio, è eccellere sugli altri, battere dei records, entrare nel libro dei Guinness. I campi per eccellere sono molto vari: gli sport, la musica, la scienza, l'invenzione tecnologica, la letteratura, la medicina, perfino il crimine, o qualsiasi altra cosa della vita reale degli uomini. L'importante è emergere, richiamare l'attenzione, essere visto dagli altri, apparire in televisione o sui giornali. Perché non "eccellere" nella fiducia in Dio? Perché non confidare in Dio, più che nella propria eccellenza musicale, scientifica, letteraria, sportiva o criminale? Un altro valore della nostra società è la salute. La salute è un gran bene, un dono di Dio, ma non può intronizzarsi come regina di ogni attività e di ogni altro valore. Si può sacrificare la coscienza alla salute? È degno dell'uomo il "culto del corpo", trascurando con questo il coltivare lo spirito? È tanto importante la salute di una donna, al punto che ad essa venga immolata la vita dell'essere che porta in grembo? Ma la salute è l'unica, la vera fonte della felicità? Non è forse un bene che si deteriora e finisce? Non è l'eutanasia l'ultima conseguenza dell'eccessiva valutazione sociale della salute? E che senso ha, allora, il dolore, la malattia, soprattutto quella cronica o quella terminale? Confidare ciecamente nella salute è confidare in un fondamento inconsistente. Come magnificamente canta il salmista: "Avrò fiducia nel Dio della mia salute, della mia salvezza!". Esaminiamo i nostri valori, quello in cui poniamo la nostra fiducia e sicurezza nella vita. Dovremo cambiare la nostra scala? Si dovrà fare, forse, qualche aggiustamento?

TRA REALTÀ E SPERANZA... La beatitudine, la felicità di chi confida nel Signore (i poveri, gli affamati, quelli che piangono, quelli odiati dagli uomini...), è una realtà già qui sulla terra, o piuttosto una proiezione per l'eternità nel cielo? In poche parole: Può, un uomo che soffre la povertà, la malattia, il disprezzo.. essere felice, se confida nel Signore? La risposta è chiaramente affermativa. Ci sono milioni di uomini e donne, nei conventi e fuori di essi, che vivono alla giornata, senza conto in banca, "dell'elemosina che ricevono", e che Dio rende felici nella loro povertà. Evidentemente, tale felicità sarà sempre limitata, piccola, in attesa della felicità di giungere a possedere eternamente Dio, la sua vera ricchezza. Ci sono migliaia e migliaia di infermi che soffrono, alcuni con dolori indicibili, a cui Dio regala un sorriso sempre fresco e stimolante. È chiaro che la perfezione di tale sorriso avrà luogo nel cielo, quando potranno abbracciare definitivamente il Dio della loro consolazione. Ci sono molti esseri umani che sono stati calunniati, dimenticati, vessati dai loro fratelli, e non portano alcun rancore, e sanno perdonare, ed accumulano nel loro intimo una pace e una beatitudine inimmaginabili. Pace e beatitudine che otterranno il loro coronamento nell'altra riva della vita, quando trionferà la giustizia e la verità... Sembra chiaro che le beatitudini evangeliche non sono soltanto per viverle nell' "aldilà"; sono un'esperienza che si vive tra la realtà e la speranza. 

Testo di Totustuus