28 ottobre 2018 - XXX Domenica del T.O.: la fede, una vita bella venuta alla luce

News del 26/10/2018 Torna all'elenco delle news

Un mendicante cieco: l'ultimo della fila, un naufrago della vita, relitto abbandonato al buio nella polvere di una strada di Palestina. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù ed è come un piccolo turbine, si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro.

Bartimeo comincia a gridare: Gesù, abbi pietà. È, tra tutte, la preghiera più cristiana ed evangelica, la più umana. Rimasta nelle nostre liturgie, nel suono antico di «Kyrie eleison» o di «Signore, pietà», confinata purtroppo nell'ambito riduttivo dell'atto penitenziale. Non di perdono si tratta. Quando preghiamo così, come ciechi, donne o lebbrosi del Vangelo, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario che preme sotto questa formula, e che indica grembo di madre, vita generata e partorita di nuovo. La misericordia di Dio comprende tutto ciò che serve alla vita dell'uomo.

Bartimeo non domanda pietà per i suoi peccati, ma per i suoi occhi spenti. Invoca il Donatore di vita in abbondanza: mostrati padre, sentiti madre di questo figlio che ha fatto naufragio, ridammi alla luce!

La folla fa muro al suo grido: Taci! Disturbi! Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore possa disturbare. Ma è così ancora, abbiamo ritualizzato la religione e un grido fuori programma disturba. Ma la vita è un fuori programma continuo: la vita non è un rito. C'è nell'uomo un gemito, di cui abbiamo perso l'alfabeto; un grido, su cui non riusciamo a sintonizzarci.

Invece il rabbi ascolta e risponde. E si libera tutta l'energia della vita. Lo notiamo dai gesti, quasi eccessivi: Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi.

La fede porta con sé un balzo in avanti, porte che si spalancano, sentieri nel sole, un di più illogico e bello. Credere è acquisire bellezza del vivere.

Bartimeo guarisce come uomo, prima che come cieco. Guarisce in quella voce che lo accarezza: qualcuno si è accorto di lui, qualcuno lo tocca, anche solo con una voce amica, e lui esce dal suo naufragio umano: l'ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri.

È chiamato con amore e allora la sua vita si riaccende, si rialza in piedi, si precipita, anche senza vedere, verso una voce, orientato da una parola buona che ancora vibra nell'aria. Sentire che qualcuno ci ama rende fortissimi.

Anche noi ci orientiamo nella vita come il mendicante cieco di Gerico, forse senza vedere chiaro, ma sull'eco della Parola di Dio, ascoltata nel Vangelo, nella voce intima che indica la via, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. E che continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La fede e l'Incontro

Quello che Gesù ci presenta è uno dei miracoli da lui compiuti nella sua vita pubblica, che viene descritto con una particolare semplicità e immediatezza allusiva e densa di significato.

L'intervento miracoloso di Gesù, in questo caso, viene caratterizzato non soltanto dall'efficacia del suo risultato, cioè dalla guarigione risolutiva del soggetto che viene a trovarsi di fronte a lui, ma anche da una certa familiarità che Gesù instaura nell'incontro con questo malcapitato non vedente.

C'è sulle prime un esordio alquanto imbarazzante, tipico di circostanze come queste, nel quale la gente si frappone fra Gesù e il povero cieco. Questi insiste nel voler attirare su di lui l'attenzione del Signore, ma essendo identificato fra i soliti importuni perditempo, viene rimproverato dalla folla. Subito dopo però è Gesù a chiamare (fa' chiamare) il pover'uomo che viene identificato con il nome di Baritmeo, in aramaico ?Figlio di Timeo?. Probabilmente Gesù aveva notato che in lui vi era una forte caratterizzazione della fede e della speranza, poiché aveva notato l'appellativo con cui Baritmeo lo chiamava: Figlio di Davide. Cioè discendente da Davide e della genealogia che conduce al Messia. Insomma lo aveva riconosciuto Messia e Salvatore universale. Allora perché non realizzare quell'incontro con il massimo della fiducia e della serenità? Perché darla vinta a coloro che avrebbero voluto che il povero cieco tacesse e non importunasse più Gesù e tutti gli astanti? Bisognava prendere atto della grande fede di Baritmeo, instaurare il colloquio fra colui che aveva fede e il Cristo autore e perfezionatore della fede medesima (Eb 12, 2). Fra colui che aveva accolto il dono di questa virtù esaltante, appunto la fede, e colui che ne era stato fautore e dispensatore. La fede è quindi la protagonista di questo evento, come di tanti altri narrati dai vangeli e dalle numerose pagine della Scrittura.

"La tua fede ti ha salvato". Con queste parole di congedo Gesù afferma di non voler semplicemente compiere un atto di pietà e di compassione nei confronti di un povero malcapitato che ha incontrato quasi casualmente sul suo cammino, di non voler mostrare una benevolenza di compassione con la quale ci si mostra pazienti quanto basta per toglierci di torno una persona molesta.

La fede è piuttosto l'elemento che merita all'uomo ora risanato di vivere intensamente un rapporto di confidenza con il Messia figlio di Davide che va ben oltre il solo elemento miracolistico; così pure la fede è la prerogativa per la quale Gesù si sente di dover mostrare ammirazione, sostegno, stima e familiarità con questo bisognoso suo interlocutore che a lui se è affidato senza riserve, non soltanto per ottenere una guarigione, ma per compiacersi del Messia della stirpe di Davide.

La Scrittura poi ci illustra che la fede libera dalla cecità materiale ma anche dalla lacuna spirituale del non vedere, come indica del resto la Prima Lettura tratta dal libro di Geremia che nell'annunciare la futura liberazione del popolo d'Israele sottolinea anche l'affrancamento dal peccato, dal vizio e dalla presunzione e dal falso orgoglio che ottenebrano la vista rendendo visibile ciò che non dovremmo vedere. La fede, ?fondamento delle cose che si vedono e prova di quelle che non si vedono? (Eb 11, 1 - 2) aiuta a guardare innanzitutto per poi vedere tutto nella luce rinnovata di una prospettiva di salvezza. Vedere oltre l'apparenza e scrutare a fondo ogni cosa, impegnare la vista considerevolmente secondo l'ottica della volontà del Signore differente dalle nostre aspettative è la prerogativa esaltante di questo dono affascinante che solo Dio può donare e che soltanto noi possiamo accettare.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta


Credere fa bene alla vita

Noi tutti vorremmo essere persone che ce l’hanno fatta nella vita, cioè hanno trovato il senso dell’esistenza e hanno impresso una direzione precisa al loro cammino. Purtroppo a volte ci troviamo in una situazione opposta, in cui la vita sembra ti abbia gettato a terra. È la condizione del cieco Bartimeo, che versa in uno stato di prostrazione e di assoluta dipendenza dagli altri, ritrovandosi a mendicare. Cieco e mendicante.

Cieco: se gli occhi sono una finestra sul mondo, egli è impossibilitato ad affacciarsi sulla vita altrui. Mendicante: se le mani sono tese a chiedere agli altri, non è detto che qualcuno decida di entrare con generosità nella sua vita. Ciò che colpisce di Bartimeo è l’indomita voglia di rinascere; anche se la vita lo ha condannato, egli conserva la speranza di un riscatto. E finalmente passa colui che nell’immaginario del cieco è diverso da tutti. Ha sentito parlare di quell’uomo e probabilmente ha già coltivato qualche sogno di guarigione; tuttavia, se il desiderio di una rinascita non fosse stato radicato dentro di lui, mai al passaggio di Gesù avrebbe implorato pietà così strenuamente, tanto da arrestare la marcia del maestro. Marco insiste sul grido del cieco, espressione di dolore e di fede, come poi sottolineerà Gesù. Di quale fede si tratta? L’appellativo «figlio di Davide» raccoglie anzitutto le attese politico-messianiche di Israele ma anche le prerogative di misericordia attribuite al re; esso depone per una fede ancora embrionale ma perseverante, come dimostra il fatto che Bartimeo non si lasciai intimidire dal tentativo della folla di zittirlo. Questo cieco che grida dà infatti fastidio; è una spina nel fianco per coloro che vorrebbero non vedere gli scarti di una società illusoriamente poggiata sulla giustizia e sulla solidarietà; è un monito graffiante che richiama al senso di responsabilità di ciascuno verso i fratelli più sfortunati, perché al loro posto si potrebbe trovare ognuno di noi. Ma Gesù imprime un movimento del tutto diverso a questa ennesima storia di impotenza o indifferenza verso le disgrazie altrui. Il verbo ‘chiamare’, ripetuto tre volte, ci pone davanti a un racconto di vocazione, oltre che di guarigione. Anzitutto il maestro si rivolge forse alle stesse persone che prima avrebbero voluto ridurre al silenzio Bartimeo, persone cieche per scelta, non per condizione, ma adesso illuminate dalla parola di Gesù. Da qui in avanti vedremo come proprio il dire di Cristo diventa principio di rivelazione dell’uomo di fede, il quale non è altro che un illuminato dalla grazia di Dio. Gesù si è accorto di lui ed è proprio quando ti rendi conto che Dio non è indifferente al tuo dolore che inizia il movimento della fede. Anzi, è necessario prima che tu stesso ti accorga del tuo dolore e di quello degli altri, ammetta una condizione di fallimento e decida di far entrare in essa il Signore. Ed Egli entra inviandoti delle persone che ti fanno percepire la prossimità di Dio anche con una semplice parola, che è sempre un invito a non scoraggiarti e a rialzarti, altrimenti non verrebbe da Dio («Coraggio! Alzati»). In questo racconto succede che «ogni gesto sembra eccessivo, esagerato: Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi. La fede è questo: qualcosa che moltiplica la vita» (Ermes Ronchi). Fino a quel momento il mantello era stato suolo su cui poggiare, abito da rivestire, deposito su cui far giacere i pochi spiccioli. La domanda di Gesù è un invito a non accontentarsi degli spiccioli, a sognare una vita bella perché venuta alla luce. «Che cosa vuoi che io faccia per te?» è la stessa domanda rivolta a Giacomo e Giovanni, che coltivavano sogni di gloria. Bartimeo invece chiede l’unica cosa necessaria, vedere di nuovo o ‘vedere in alto’, come potrebbe significare il verbo greco. «La fede è un ‘guardare in alto’ lui, appeso in croce per me. Lì io vedo ciò che mai avevo visto, il suo amore per me» (Silvano Fausti). Sembra paradossale, ma a volte per vedere bene hai bisogno di non vedere più niente; per accorgerti della luce hai bisogno di trovarti nelle tenebre. E da questo buio si staglia d’improvviso il profilo luminoso della croce di Cristo, meta del cammino del nuovo discepolo Bartimeo, modello di sequela e richiamo costante per chi crede di vedere, ma rimane cieco se non vuole vedere la potenza illuminante della croce. Dunque credere fa bene alla vita perché ti fa rialzare, incamminare e soprattutto non essere più solo, avendo accolto l’unica presenza necessaria, Gesù.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da L'Avvenire di Calabria

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 28 ottobre 2018

tratta da www.lachiesa.it