Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini..
News del 05/02/2010 Torna all'elenco delle news
Prendi il largo! (Lc 5,1-11)
Lectio divina con la “Novo millenio ineunte” di Giovanni Paolo II
Credere alla Parola
La folla è assetata della Parola di Dio.
Pietro si fida della parola di Gesù, divenendo, così, prototipo del discepolo – apostolo.
Il vero discepolo è colui che ascolta la Parola di Dio e la parola di Gesù (che, volutamente, l’Evangelista equipara), per arrivare a quella che san Paolo chiama “l’obbedienza della fede” (Rm 1,5).
«All’inizio del nuovo millennio…riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l’Apostolo a “prendere il largo” per la pesca: “Duc in altum” (Lc 5,4). Pietro e i suoi compagni si fidarono della parola di Cristo, e gettarono le reti. “E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci” (Lc 5,6)». (Novo millennio ineunte, n.1).
Credere alla Parola, fidarsi di essa, come Maria, la serva del Signore, che dice all’Angelo: “Avvenga di me secondo la tua Parola” (Lc 1,38). Per questo lo Spirito Santo, attraverso Elisabetta, può proclamarla: “Beata, perché ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45).
Avere speranza
Che cos’è la speranza? “La SPERANZA è la fede declinata al futuro”.
“Duc in altum! Questa parola risuona oggi per noi, e c’invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro” (Novo millennio ineunte, n.1).
Ciò, anche se qualcuno mette in dubbio il futuro della stessa Chiesa. La fede, fondamento della nostra speranza, ci assicura che Gesù Cristo, Signore della storia e della Chiesa “è lo stesso, ieri, oggi e sempre!” (Eb 13,8). E “poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Anche se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Rm 8,24-25). Dunque “andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull’aiuto di Cristo” (Novo millennio ineunte, n.58).
Abramo, “che ebbe fede, sperando contro ogni speranza” (Rm 4,18), è l’esemplare dell’uomo che sa fidarsi della Parola di Dio.
Ma lo è anche Simone che pur avendo “faticato inutilmente tutta la notte” sa fidarsi di Cristo, dichiarandogli: “Sulla tua parola getterò le reti”.
Capaci di stupirsi
“Oggi non mancano le meraviglie, manca la capacità di meravigliarsi!”. Lo stupore, la meraviglia, di Simon Pietro e dei suoi colleghi per la pesca miracolosa, rimanda alle “meraviglie dell’Esodo”, soprattutto al passaggio del Mar Rosso, con il quale si costituì il Popolo di Dio. Non a caso, l’episodio si svolge - come altri che ricordano l’Esodo - sulle rive di quello che è chiamato Mare di Tiberiade.
Dio è presente. Occorre, come fa il discepolo amato nell’episodio analogo (Gv 21,7), scorgerlo e indicarlo agli altri “Dobbiamo avere occhi penetranti per vedere” il Signore che è nella sua Chiesa, e per lei e con lei opera ancora.
“Il Figlio di Dio che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell’uomo, compie ancor oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti…” (Novo millennio ineunte, n.58).
Dallo stupore all’adorazione
Se pregare è “vivere il Mistero della fede in una relazione viva e personale con il Dio vivo e vero” (CCC n. 2558); l’adorazione di Pietro e degli altri pescatori, testimoni del miracolo, indica che essi hanno riconosciuto, in Gesù, la presenza di questo Dio vivo.
Pietro fruisce quell’esperienza mistica che fonda ogni vocazione particolare nella Chiesa. Intendiamo “esperienza mistica” nel senso espresso dal nuovo Catechismo degli Adulti, al n. 998, quando parlando della contemplazione mistica, afferma che essa “implica l’intuizione diretta e indubitabile delle persone divine e dell’unione d’amore con loro”. Quest’esperienza ti fa uscire dal tuo io, ti fa capace di accogliere il Tu divino (adorazione) e ti rende disponibile alla sua chiamata (obbedienza alla propria vocazione).
L’adorazione
È la disposizione fondamentale dell’uomo che si riconosce creatura, davanti al suo Creatore. Essa esalta la grandezza del Signore che ci ha creati (cf. Sal 95,1-6) e l’onnipotenza del Salvatore che ci libera dal male.
È la prosternazione dello spirito davanti al Re della gloria (Sal 24,9.10);
è il silenzio rispettoso al cospetto di Dio <> (S. Agostino).
L’adorazione del Dio tre volte santo (Is 6,3) e sommamente amabile, ci colma d’umiltà e dà sicurezza alle nostre suppliche (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2628).
Ma l’adorazione del cristiano non è più lo stupore atterrito di Giobbe (Gb 42,1s) che si mette la mano sulla bocca (etimologia riflessiva: ad - os, oris), ma l’atteggiamento di chi volutamente e amorosamente “volge il suo sguardo verso il Volto di Dio, per adorarlo e lasciarlo parlare (etimologia transitiva: ad [= verso] - os, oris = bocca: una parte per il tutto)”. In questo caso, il movimento, l’attenzione e la tensione non sono più ripiegati su noi stessi, ma rivolti esclusivamente verso Dio. Si rimane in silenzio, senza parole, per lasciare tutto il posto alla Parola di Dio.
L’umiltà che edifica la Chiesa
L’umiltà di Pietro che si riconosce peccatore, ricorda la stessa reazione avuta dal profeta Isaia di fronte alla teofania, nel Tempio (Is 6,1-8). La santità di Dio rivela la situazione di peccato in cui vive il Profeta e il Popolo cui egli è inviato. Ma Dio purifica e poi invia, colui che ha redento, ad annunciare agli altri la salvezza. Anche Pietro sarà purificato e inviato, quando, insieme al suo amore, confesserà (implicitamente) il suo peccato (Gv 21,15-17).
«Non temere!».
L’invito che il Cristo rivolge a Pietro ricorda altre vocazioni e altre missioni:
Abramo: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo…». (Gen 15,1).
Gedeone: «Io sarò con te e tu sconfiggerai i Madianiti…». (Gdc 6,16. 23).
Geremia: «Non dire: Sono giovane, ma va’ da coloro a cui ti manderò e annunzia ciò che io ti ordinerò. Non temerli, perché io sono con te per proteggerti». (Ger 1,8).
Giuseppe: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. » (Mt 1,20).
Maria: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30).
Le donne del sepolcro vuoto: «Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno» (Mt 28,10).
Gesù ci fa Chiesa, ognuno con i suoi ministeri.
Gesù chiama i primi discepoli, dopo la pesca miracolosa. L’Evangelista anticipa qui l’episodio pasquale di Gv 21,1-4, dove Colui che chiama è il Risorto che ri - costituisce la Chiesa.
Al ruolo di Mosè, chiamato da Dio a guidare Israele, succede il ministero di Pietro, chiamato a guidare la Chiesa. È sua la barca utilizzata da Gesù, ed è rivolto a lui il comando: “Prendi il largo!”; mentre anche agli altri è detto: “Calate le reti”.
“Sarai pescatore di uomini”
La grazia non distrugge la natura, ma la suppone e la perfeziona. In questo «possiamo contare sulla forza dello stesso Spirito, che fu effuso a Pentecoste e ci spinge oggi a ripartire sorretti dalla speranza “che non delude” (Rm 5,5)» (Novo millennio ineunte, n.58).
La pagina del Vangelo di Luca (Lc.5,1-10) ha ispirato il Papa Giovanni Paolo II nella composizione della Lettera apostolica "Novo millennio ineunte", lo scritto pastorale forse più ricco del suo lungo pontificato. "All'inizio del nuovo millennio riecheggiano nel nostro cuore le parole con cui un giorno Gesù, dopo aver parlato alle folle dalla barca di Simone, invitò l'apostolo a "prendere il largo" per la pesca. Pietro e i primi compagni si fidarono della parola di Gesù e gettarono le reti. E avendolo fatto, presero una grande quantità di pesci. Prendi il largo. Questa parola risuona oggi per noi e ci invita a fare memoria grata del passato, a vivere con passione il presente, ad aprirci con fiducia al futuro".
Oggi la Liturgia ci invita a rivivere l'esperienza che ha trasformato Simone in Pietro, che ha dato inizio al cammino della Chiesa, abbandonata totalmente alla forza della Parola di Cristo e per questo piena di speranza e di coraggio verso il futuro.
Con raffinata intelligenza spirituale, la Liturgia odierna accosta l'esperienza del profeta Isaia (Is.6,1-8) a quella di Pietro, facendoci leggere i racconti delle loro vocazioni. Le circostanze in cui esse avvengono sono diverse: ma anche questo fatto è significativo. Per Isaia l'evento accade con una visione grandiosa, nel Tempio di Gerusalemme avvolto dai fumi dell'incenso. Simone è invece sul lago di Gennesaret, dove si svolge la sua vita e il suo lavoro quotidiano.
Entrambi sono imprevedibilmente di fronte alla presenza di Dio: Isaia con una visione, nel contesto di una solenne liturgia, Simone nel contesto per lui molto familiare di un mattino amaro per l'esito fallimentare di una pesca, quando una parola assurda per lui, pescatore esperto, irrompe imprevedibilmente e irresistibile per lui: "Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca". La risposta di Simone non è quella di un uomo ingenuo, dettata da un entusiasmo sentimentale, ma è piuttosto la reazione di un uomo esperto, stanco e deluso per una fatica risultata inutile. "Maestro, Simone si rivolge così a Gesù, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla", con l' amarezza di un uomo che conosce bene il mestiere e nello stesso tempo esprimendo tutta la sua fiducia in un Maestro la cui Parola è tanto autorevole.
Così, Simone manifesta l'umiltà di saper mettere il disparte la sua competenza di pescatore provetto: egli sa benissimo che se non ha pescato niente tutta la notte, in acque a lui note, avrebbe avuto ancora minori probabilità di successo durante il giorno, in acque non adatte.
Alla fiducia in se stesso, preferisce un atto di totale abbandono nella Parola di questo singolare Maestro che gli chiede di avventurarsi in acque sconosciute, di allargare gli orizzonti, di sperimentare tempi e metodi per lui completamente nuovi, e di coinvolgere nella sua esperienza i compagni che finora si sono fidati della sua abile e concreta competenza. "Ma sulla tua Parola getterò le reti": così, Simone introduce una radicale novità nella sua vita, alla fiducia in se stesso preferisce l'ascolto di una Parola che gli chiede l'adesione ad una logica totalmente nuova, la cui efficacia gli è ancora completamente sconosciuta.
Come Isaia, Simone sperimenta di essere imprevedibilmente messo di fronte alla presenza di Dio. Se per Isaia avviene con una visione, per Simone avviene con l'ascolto di una Parola, che gli chiede il coraggio dell'adesione totale e gli cambia radicalmente la vita: "fecero così e presero una grande quantità di pesci". E' interessante notare la precisione con cui Luca, sottolineando il coinvolgimento dei compagni, dice che la decisione radicale, l'ascolto della Parola è un atto personale di Simone: c'è una scelta che è libera, non emotiva, non facilitata da una condivisione comunitaria, e che solo la persona nella sua libera solitudine può fare.
Isaia e Simone hanno la stessa reazione di fronte all'irruzione di Dio nella loro vita: hanno la stessa coscienza della santità di Dio e dell'abisso che li separa da Lui. Isaia esce in un grido: "Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti". Luca introduce a questo punto del suo racconto una singolare novità: appare il nome di Simon Pietro, presente solo in Matt.16,16 e presente per 17 volte nel Vangelo di Giovanni. Proprio nel momento nel quale l'esperienza di Dio produce l'esperienza della fragilità dell'uomo se da una parte diventa evidente la insuperabile distanza dell'uomo da Dio, dall'altra Dio stesso coinvolge l'uomo nel suo progetto di salvezza del mondo: la fragilità di Simone, pur rimanendo intatta, diventa la pietra di cui Dio si serve. "Simone Pietro, al vedere tutto questo, si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Signore, allontanati da me perché sono un peccatore".
L'indegnità umana non ferma l'amore di Dio: Dio chiede soltanto che l'uomo stia di fronte a lui, nella verità, perché solo così, egli può colmare la sua fragilità. Isaia e Simone sono presi da una specie di terrore di fronte a Dio: Isaia nella sua visione, vede compiersi un gesto che lo purifica e lo rassicura, e Simone ascolta la Parola di Gesù: "Non temere" e entrambi ricevono la chiamata a mettersi al servizio di Dio, Isaia come profeta e Simone come "pescatore di uomini" cioè come salvatore di uomini dal male.
"E, tirate le barche a riva, lasciando tutto, lo seguirono": e comincia così l'avventura affascinante e pure sempre drammatica, di coloro che hanno il coraggio di abbandonare tutto e di seguire Gesù. "Seguire" Gesù, significa non solo mettersi all'ascolto della sua Parola di Maestro, ma lasciarsi afferrare da Lui, il Signore, lasciarsi coinvolgere dal suo progetto.
"Seguire" Gesù significa essere afferrati dal mistero della collaborazione con Dio e sperimentare continuamente che la grazia di Dio opera nella debolezza dell'uomo: "abbandonare tutto", la propria sicurezza, i propri progetti, la propria logica, è la condizione che accompagna ogni attimo della vita di chi è afferrato da Dio.
Testo di mons. Gianfranco Poma