26 agosto 2018 - XXI Domenica del Tempo Ordinario: Gesù è maestro di libertà
News del 25/08/2018 Torna all'elenco delle news
Il Vangelo riporta la cronaca di un insuccesso di Gesù, e proprio nella sua terra, tra i suoi, non tra i farisei o i funzionari della vecchia religione. Succede a Cafarnao, teatro di tanti miracoli e insegnamenti: molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui.
E motivano l'abbandono: questa parola è dura. Chi può ascoltarla? Dura non perché indichi un'altra parete vertiginosa da scalare (sul tipo: amate i vostri nemici), ma perché ti chiama a pensare in grande, a volare alto, a capovolgere l'immagine di Dio: un Dio che si fa lieve come un'ala o una parola, piccolo come un pezzo di pane, che ama l'umiltà del pane, e il suo silenzio e il suo scomparire... Un Dio capovolto.
La svolta del racconto avviene attorno alla domanda: forse volete andarvene anche voi? Gesù non suggerisce risposte, non impartisce ordini o lezioni: ?ecco cosa devi oppure non devi fare?, ma ti porta a guardarti dentro, a cercare la verità del cuore: che cosa vuoi veramente? Qual è il desiderio che ti muove? Sono le domande del cuore, le sole che guariscono davvero. Appello alla libertà ultima di ogni discepolo: siete liberi, andate o restate; io non costringo nessuno; ora però è il momento di decidersi.
Meravigliosa la risposta di Pietro, che contiene l'essenza gioiosa della mia fede: Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna.
Attorno a te ricomincia la vita, tu tocchi il cuore e lo fai ripartire, con la delicatezza potente della tua parola. Che è povera cosa, un soffio, una vibrazione nell'aria, una goccia d'inchiostro, che puoi ascoltare o rifiutare, fare tua o relegare nel repertorio delle follie. Tu hai parole: qualcosa che non schiaccia e non si impone, ma si propone e ti lascia libero. Gesù è maestro di libertà. E se l'accogli spalanca sepolcri, accende il cuore, insegna respiri, apre strade e carezze e incendi. Mette in moto la vita.
Parole che danno vita ad ogni parte di me. Danno vita al cuore, allargano, dilatano, purificano il cuore, ne sciolgono la durezza. Danno vita alla mente, perché la mente vive di verità altrimenti si ammala, vive di libertà altrimenti patisce. Danno vita allo spirito, perché custodiscono il nostro cromosoma divino. Danno più vita anche al corpo, agli occhi, alle mani, all'andare e al venire. Al dono e all'abbraccio.
Parole di vita eterna, che è la vita dell'Eterno, che ora è qui a creare con noi cose che meritano di non morire.
Volete andarvene anche voi? Io no, io non me ne vado, Signore. Io non ti lascio, io scelgo te.
Come Pietro, pronuncio anch'io la mia dichiarazione di amore: io voglio te, voglio vivere, e tu solo hai parole che fanno viva, finalmente, la vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Credere e mangiare
Dall'esposizione alla decisione. Dopo il discorso prolisso di Gesù intorno al pane vivo disceso dal Cielo, preceduto da un segno miracoloso eloquente e accompagnato da varie argomentazioni affascinanti e persuasive, adesso Gesù chiama ciascuno a rapporto con se stesso perché possa prendere posizione o decidersi. Di fronte alla gratuità del dono del pane vivo che è Gesù Cristo stesso, non si può infatti restare inerti e passivi. Da una parte occorre non rispondere con assoluto fideismo o acriticità, dall'altra abbandonare esasperata razionalità vana e a volte perniciosa: occorre insomma credere e accogliere senza riserve, non senza tuttavia assimilare il mistero con appropriate valutazioni e immedesimazioni in esso.
Come dice la Dei Verbum che si radica sull'insegnamento di Paolo, ?A Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede, con la quale l'uomo si abbandona tutto intero e liberamente a lui, prestandogli l'ossequio dell'intelletto e della volontà?; particolarmente il messaggio su Cristo pane di vita vuole esattamente questa prerogativa: la fede, cioè l'apertura libera e incondizionata. In un caso particolare come questo però la fede ci viene preclusa dall'incompatibilità dei contenuti con il procedimento puramente logico: è possibile che in una forma di pane si racchiuda il Figlio Dio Verbo Incarnato, vero Dio e vero Uomo, lo stesso che operò in Galilea? Possibile accettare una proposizione come questa, del tutto distante dal comune criterio della ragione umana? Rispondiamo che è possibile nella misura in cui ci si dispone all'accoglienza libera e spontanea del dono che Gesù ci fa di se stesso, se si apre il cuore e se ci si eleva al fascino del mistero che ci viene rappresentato. In una parola se si dice con semplicità Io credo. Il credere è l'affidarsi sono infatti le vie più facilmente percorribili. Cionondimeno la fede non si oppone alla razionalità ed è anzi essa stessa, nel suo esercizio, un atto conforme pienamente alla ragione: il credere non mai determinato da atteggiamenti acritici e superficiali, non è mai un passivo orientamento succube e sottomesso, ma è sempre supportato dalla speculazione e dal raziocinio, in forza del quale non è contro ragione concludere che un Dio onnipotente possa davvero farsi nostro alimento concreto in quanto Eucarestia, oltre che Verbo Incarnato e Salvatore. Il ricorso alla scienza e alla filosofia è stato tante volte utile a suffragare anche il presente argomento della presenza del Signore in una piccola forma di pane.
Proprio la ragione dovrebbe concepire possibile che talvolta occorre prescindere da parametri propriamente umani di valutazione, mutare la prospettiva pera assumere quella di Dio: a lui non è impossibile.
La fede però è pur sempre un atto di coraggio e di disinvoltura decisionale, perché comporta in ogni caso un affidarsi fiducioso e disinvolto che potrebbe essere paragonato a un salto nel vuoto, tipico di un ragno che costruisce la sua compagine di fili. Se non si lancia da un punto verso l'altro, non può realizzare la ragnatela con il materiale di cui dispone. Lanciarsi per Dio vuol dire decidersi, ben consapevoli che il credere non comporta poggiare su qualcosa di empirico o di provato, insomma su dati scientifici o su certezze matematiche o empiriche. Credere comporta accettare e aver fiducia su ciò che non ci è dato vedere, ma che tuttavia ci è dato sperare. Il materiale con cui tessere il reticolato però lo possediamo: è la stessa rivelazione di Dio che interpella i nostri cuori, il dono medesimo che Lui ci fa di se stesso, l'amore incondizionato che ci ha usato semplicemente manifestandosi a noi. Ancora di più, è il materiale costituito dal pane vivo del quale siamo invitati a nutrirci.
Occorre fare questo passo, lanciarci con fiducia, oltretutto il paracadute ci è garantito.
Forse questa è la fortezza decisionale di cui mancano i numerosi discepoli del Signore che si allontanano da lui dopo aver inteso dalle sue labbra un discorso ?troppo duro?, impossibile a concepirsi per una mentalità chiusa e asettica, irta di pregiudizi da parte di chi condanna a priori l'antropofagia.
Sarebbe stato meglio per loro credere e affidarsi, nella misura in cui Dio in Cristo ha creduto nell'uomo e a lui si è ?affidato? nell'incarnazione, convinti comunque che tutto questo non è irrazionale.
Parecchi discepoli recalcitrano e fuggono e solamente gli apostoli si fanno forti di una fede solida e radicata certamente anche a motivo dell'esperienza diretta della sequela del loro Signore: ?Tu solo hai parole di vita eterna, da chi andremo?? Chiunque altro non sarebbe capace di dimostrare in se stesso, nelle sue parole e nelle sue opere di essere la Verità.
Decidersi consapevolmente è l'esemplarità esternata invece da parte di anziani, scribi e intero popolo convocato alla presenza di Giosuè, il quale invita gli astanti a prendere una decisione definitiva che può tradursi sotto questi termini: ?Volete seguire gli dei ai quali si affidarono i vostri padri, che non richiedono particolari virtù né tantomeno eroismo nel credere e nell'agire? Volete asservirsi agli idoli, che vi daranno l'illusione di farvi perseguire obiettivi immediati e tangibili, regalandovi attimi di estasi e di appagamento subdolo e momentaneo? Niente di più facile credere in quello che si vuol credere. Ma è sempre esaltante accettare e vivere di buon grado un Dio misterioso, ineffabile, impegnativo ma per certo vero e fautore di prodigi: il vero Dio onnipotente e infinito. Questa seconda scelta è la più difficile, ma la più esaltante. Scegliamo il Signore e avremo la vita. Mangiamo senza riserve Cristo pane e vivremo la sia vita.
Nell'aspettativa di Cristo pane di vita il credere si associa al mangiare spontaneo e libero, affinché il cibo di cui ci nutriamo possa condurci alla Verità, essendo egli stesso la Verità che conduce al Padre per mezzo dello Spirito. Credere e cibarsi in questo alimento si associano come necessità che essi ci si siamo e che noi ne disponiamo.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Il nostro è un Dio che non si impone
Perché a volte siamo così indecisi, al punto da mettere in discussione verità consolidate e relazioni vitali che ci hanno accompagnato per lungo tempo? Forse perché il timore di qualche delusione ci fa sospettare persino di coloro a cui prima abbiamo accordato una fiducia incondizionata; forse perché è nella natura stessa della scelta la valutazione del rischio di perdersi accompagnata dal travaglio del dubbio.
Ciò che sorprende è che ad essere indecisi sono proprio i discepoli di Gesù, fra i quali possiamo immaginare qualcuno che l’ha seguito fin dalla prima ora, i quali lo ascoltano e reputano «dura» la sua parola sul pane di vita. Il messaggio di Cristo nel vangelo suscita solitamente o l’adesione o il rifiuto, cui si aggiunge nei tempi odierni l’indifferenza. Fa male al cuore pensare che la parola di Dio possa cadere nel vuoto e rimanere inascoltata quando incontra un cuore ‘duro’. Si tratta di due durezze diverse. Quella della Parola è la durezza della solidità e della unitarietà, perché «può essere accolta o rifiutata, ma non negoziata, modificata, resa più accettabile mediante la cancellazione di alcune sue esigenze» (Fernando Armellini); quella del cuore umano è la sclerosi dell’inerzia e della volubilità, perché essere centrati solo su se stessi impedisce la maturazione della personalità, rendendola soggetta a istanze molteplici e provvisorie. È dura per molti discepoli l’accettazione del mistero dell’incarnazione di un Dio che sceglie – Lui senza alcun dubbio, a differenza nostra! – tutto ciò che nell’immaginario collettivo era opposto al divino: umiltà, sconfitta, obbedienza. Gesù, sapendo che quando l’uomo non accetta una realtà la denigra con la mormorazione, vuole riportare i suoi interlocutori sulla via della verità; lo fa senza sconti, non sminuendo ma ancorando ancora una volta il suo messaggio alla trascendenza della gloria, dello Spirito e della vita stessa. Il riferimento alla visione del Figlio dell’uomo innalzato è un richiamo alla croce, che nel quarto vangelo è il momento della glorificazione, oltre che espressione massima della scelta d’amore di Cristo. Tale dono si può comprendere solo nello «Spirito che dà la vita», a partire dall’iniziativa del Padre, senza la quale noi non entreremmo nella pienezza di vita che il pane disceso dal cielo ci offre. Gesù sa bene che a questo discorso seguirà la dispersione di buona parte dei suoi seguaci e certamente ne soffre, ma non può rinunciare a dire tutta la verità. E noi? Quando la verità da annunciare diventa scomoda e abbiamo paura di continuare a difenderla, può succedere che di fronte alle tante contraddizioni di questo mondo, ai tanti scandali della chiesa vorremmo trovare delle soluzioni accomodanti: facciamoli sposare i sacerdoti se non riescono ad essere fedeli alla loro vocazione e finiscono per dare scandalo! Non ci accaniamo nel voler difendere la vita, condannando l’aborto o l’eutanasia, perché in fondo se uno non vive sulla propria pelle certe situazioni, come può dire a priori cosa è bene fare o cosa no? Lasciamo spazio all’ideologia gender se dobbiamo sentirci dire che Dio ci ha fatti liberi e noi non possiamo impedire a nessuno di definire la propria identità sessuale! Abbiamo finito col relativizzare tutto e quando qualcuno osa dire e difendere la verità succede quello che è successo a Gesù, l’essere abbandonati. Eppure, indomito, Gesù non modifica il suo stile «Volete andarvene anche voi?»; in Lui «c’è consapevolezza della crisi, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà: siete liberi, andate o restate, ma scegliete; e seguite quello che sentite dentro!» (Ermes Ronchi).
La risposta di Pietro è coraggiosa anche se ancora non pienamente consapevole, perché egli dovrà attraversare la tentazione e cadrà, rinnegando il maestro. Eppure è ammirevole la sua audacia, perché confessa l’impossibilità di trovare fuori di Gesù la vita. «Da chi andremo?»: è lo smarrimento del cuore che, nonostante si renda conto che può prendere mille direzioni gratificanti, comprende che se una strada non porta a Cristo è come un camminare al buio per cercare un oggetto smarrito. Oggi tante funzioni sociali che prima erano esclusive della Chiesa sono svolte dalla società civile; tuttavia nessuno può offrire ciò che offre il vangelo, ossia la promessa di eternità, ragioni per vivere e dare senso in Cristo a tutto ciò che accade nella vita. Si tratta di perseverare nella scelta del discepolato, del proprio stato di vita, contando soprattutto sulla fedeltà di Dio, cui appoggiare la nostra.
Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it
Liturgia e Liturgia della Parola della XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 26 agosto 2018
tratto da www.lachiesa.it