5 agosto 2018 - XVIII Domenica del T.O.: il pane dal cielo, cibo per la nostra vita terrena

News del 04/08/2018 Torna all'elenco delle news

Cercare Gesù è il movimento più nobile dell’animo umano, segno di una vitalità che è mossa e si muove verso colui che è la fonte della vita; è la direzione giusta, poiché significa che non stai sbagliando strada e che i tuoi sforzi sono ben orientati. Nel cammino però non basta aver imboccato la giusta strada; occorre esaminare il proprio cuore e verificare se esso è animato da una intenzione pura, se cerca Gesù per chi Lui è o per ciò che ti potrebbe dare.

Il maestro conosce bene il livello di consapevolezza e la maturità di fede degli uomini, e invita la folla, abilissima nell’imbarcarsi e accorciare così le distanze da Lui, a chiedersi quale sia la vera distanza interiore che la separa da Cristo. Possiamo essere fisicamente vicini alla sua divina presenza nel tabernacolo eucaristico o al capezzale di un moribondo, eppure al contempo il cuore potrebbe essere capace di alienarsi, non più presente a Dio e a se stesso, abitato da presenze mondane non compatibili con l’amore del Signore. Il rimedio a tale rischio è ‘darsi da fare’, non restare inerti, cercare «il cibo che rimane per la vita eterna», sigillato dalla benedizione di Dio. Tale opera, viene specificato subito dopo, consiste nel credere nell’inviato del Padre. Tanto ovvio quanto difficile da praticare! Qui giungiamo ad uno dei grandi quesiti della vita spirituale: perché la fede è così traballante? Perché diciamo di credere e poi ci comportiamo in maniera esattamente contraria alla fede, facendoci prendere dalla paura e dall’egoismo dinanzi ai grandi bivi della vita? La risposta la troviamo nella ulteriore richiesta di un segno che la folla rivolge a Gesù. Se il segno dei pani, invece di rimandare al pane spezzato e donato nella carne del Figlio, viene interpretato non per quello che è ma come rinforzo al proprio bisogno di sicurezza nella lotta per la sopravvivenza materiale e psicologica, allora vuol dire che siamo fuori dell’ambito della fede. Una fede che non si apra al rischio dell’oltre, che miri soltanto a trarre energia per affrontare la vita, non è la fede in Gesù Cristo, che invece ti fa misurare con la possibilità della morte e al contempo ti fa intravedere il suo superamento nell’amore. Sì, la fede apre a quell’amore divino che vince la morte. È vero che «i nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto», ma non avevano ancora assaporato il pane di eternità. Chi cerca il pane per sopravvivere, sopravvive; chi cerca il pane di vita, vive. Entrambi sono espressione del dono di Dio; la differenza è che il primo te lo prendi e lo consumi fra te solo; il secondo lo accogli guardando negli occhi chi te lo dona. È sempre la relazione con Cristo a schiudere dinanzi a noi l’orizzonte dell’eterno; da soli non possiamo trascendere noi stessi. Davvero potremmo dire che chi crede non cammina ma corre, anzi vola! Questo pane estingue la fame di altri cibi e la sete di altre bevande, cioè appaga totalmente il desiderio dell’animo umano. Ecco la sfida: mi basta Gesù? C’è chi ha ricevuto tutto l’amore dai genitori o dal coniuge eppure va cercando altri padri o amanti. Tale inquietudine è motivata dalla incapacità di farsi nutrire dall’amore che ti viene donato. Ci si concentra sulla degustazione, pensando che essa esaurisca tutto il processo del nutrimento. Chi vuole solo trangugiare un cibo frettolosamente, non farà una buona digestione, non permetterà a quell’alimento di nutrirlo davvero. In altre parole, non basta avvicinare il cibo al palato, occorre farlo entrare in profondità. La superficialità che impedisce la mancanza di profondità è il male del nostro tempo. Rapporti che si estendono orizzontalmente e nella frenesia di un vorticoso contatto virtuale, ma che non ti segnano, non ti lasciano niente dentro e non ti permettono di lasciare una traccia di te all’altro. Dovremmo avere il coraggio di limitarci nell’esercizio di una libertà senza scelte di campo perché, se rimani sempre aperto ad ogni possibile sviluppo della tua libertà, succederà che ‘chi troppo vuole, nulla stringe’. La libertà implica scelte, sacrifici, rinunce; comporta superamento di qualsiasi ambiguità, perché una persona che vive una doppia vita impiegherà le sue energie nel nutrire alternativamente l’una o l’altra vita, rimanendo sempre dentro se stessa. Chi invece vuole uscire da sé e ‘segnare’ la vita dell’altro, deve ritrovare la propria unità interiore. Se sei uno lasci un segno; se sei più di uno tracci solo scarabocchi. Tutto questo è possibile perché quel giorno Gesù parlò: in principio una parola che si fa cibo. Ascoltiamola.

Omelia di don Tonino Sgrò tratta da www.reggiobova.it

 

Il pane dal cielo, cibo per la nostra vita terrena

La diciottesima domenica del tempo ordinario ci ripresenta il tema del pane eucaristico, con il duplice riferimento ad esso nella prima lettura, tratta dal Libro dell'Esodo, in cui è raccontato il miracolo della mamma piovuta dal cielo, e nel vangelo di Giovanni, con il noto capitolo sesto sul pane della vita, nuovamente viene presentata alla nostra riflessione il cibo che dura per la vita eterna.

Il ritorno su questo tema da parte della liturgia della parola di Dio è giustificato dal fatto che noi effettivamente abbiamo bisogno del doppio cibo, quello materiale che ci sostiene nel cammino della vita terrena e quello spirituale che ci accompagna nel pellegrinaggio verso la terra promessa. E questa è la santissima eucaristia. Partendo dalla pima lettura che ci racconta la lunga traversata del deserto da parte del popolo eletto, durata 40 anni, che chiaramente creò non pochi problemi di sopravvivenza per il consistente gruppo di israeliti che si diressero verso la terra promessa... E' la storia di sempre dell'uomo che pensa solo allo stomaco e non alla mente ed al cuore. La libertà non a prezzo e per essa si deve anche morire. Quanti esempi dai primi martiri del cristianesimo fino ad oggi che per la libertà religiosa o semplicemente di pensiero sono state sacrificate vittime innocenti e ancora oggi si sacrificano per questo valore non contrattabile della libertà...Le promesse di Dio si attuano e vanno sempre in porto, quelle degli uomini non approdano quasi mai al risultato finale. ..E' la storia di sempre di un'umanità infedele e irriconoscente verso Dio e di un Dio immensamente attento alle necessità dell'uomo.

Stesso scenario nel Vangelo di questa domenica che è la prosecuzione del brano di domenica scorsa, in cui Gesù fa notare alle persone che lo cercano che...è una ricerca interessata e motivata dai vuoti dello stomaco e non del cuore e della fede in Dio. ..Evidentemente la fede in loro non c'era se cercano ancora altri segni. Non sono bastati i segni che finora Gesù aveva compiuto. Ecco che allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: ?Diede loro da mangiare un pane dal cielo?». Il richiamo alla manna ricevuta in dono da Dio durante il cammino verso la terra promessa è riconosciuta con miracolo, come segno divino, perciò obiettano a Gesù, Lui cosa fa per far credere e suscitare la fede. Gesù risponde con queste parole: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Di fronte ad una sicurezza del genere, la chiesta della gente è lapidaria: «Signore, dacci sempre questo pane». Al che Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Ecco la grandezza del nostro Dio: Egli è la piena soddisfazione dei bisogni veri dell'uomo, perché Dio riempie il nostro cuore, al punto tale che ci sentiamo in obbligo di rispondere a questo amore generoso con una vita degna di essere definita cristiana, come ci ricorda l'Apostolo Paolo nel brano della Lettera agli Efesini di oggi: ?Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri, come pure di abbandonare la condotta di prima, quella l'uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli. Bisogna invece rinnovarsi nello spirito e nel modo di pensare, al fine di ?rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità?. E' quello che chiediamo al Signore mediante la preghiera: ?O Dio, che affidi al lavoro dell'uomo le immense risorse del creato, fa' che non manchi mai il pane sulla mensa di ciascuno dei tuoi figli, e risveglia in noi il desiderio della tua parola, perché possiamo saziare la fame di verità che hai posto nel nostro cuore?.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Quel Pane che alimenta l'esistenza senza fine

Chiedono a Gesù: che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Grande domanda. Compiere le opere di Dio è ben altro che osservare i suoi comandamenti.

Opera di Dio è la creazione, opera sua è la liberazione del popolo dalla schiavitù e poi la meravigliosa volontà di costruire, nonostante tutte le delusioni, una storia di alleanza. Compiere l'opera di Dio è parteciparvi, essere in qualche modo capaci di creare, inventori di strade che conducano a libertà e a legami buoni di alleanza con tutto ciò che vive. Una regola fondamentale per interpretare la Bibbia dice: ogni indicativo divino diventa un imperativo umano. Vale a dire che tutto ciò che è descrittivo di Dio diventa prescrittivo per l'uomo. Una proposizione riassume questa regola di fondo: «Siate santi perché io sono santo».

Il fondamento dell'etica biblica è posto nel fare ciò che Dio fa, nell'agire come agisce Dio, comportarsi come Lui si è comportato, come Gesù ha mostrato.

Infatti: Questa è l'opera di Dio, credere in colui che egli ha mandato.

Al cuore della fede sta la tenace, dolcissima fiducia che Dio è Gesù, uno che sa soltanto amare, guaritore del disamore del mondo. Nessun aspetto minaccioso, ma solo le due ali aperte di una chioccia che protegge e custodisce i suoi pulcini (Lc 13,34), con tenerezza combattiva.

Quale segno fai perché vediamo e possiamo crederti? La risposta di Gesù: Io sono il Pane della vita. Nutrire la vita è l'opera di Dio. Offrire bocconi di vita ai morsi dell'umana fame. Pane di cielo cerca l'uomo: vuole addentare la vita, goderla e gioirne in comunione, saziarsi d'amore, ubriacarsi del vino di Dio, che ha il profumo stordente della felicità.

Io sono il Pane della vita, il pane che alimenta la vita. L'uomo nasce affamato e il pane della vita sazia la fame, ma poi la riaccende di nuovo e sveglia in noi «il morso del più» (L. Ciotti), un desiderio di più vita che morde dentro e chiama, una fame di più libertà e più creatività e più alleanza.

Come un tempo ha dato la manna ai padri vostri nel deserto, così oggi ancora Dio dà. Due parole semplicissime eppure chiave di volta della rivelazione biblica:

Dio non domanda, Dio dà.

Dio non pretende, Dio offre.

Dio non esige nulla, dona tutto.

Ma Dio non dà cose, Egli non può dare nulla di meno di se stesso. Ma dandoci se stesso ci dà tutto. Siamo davanti a uno dei vertici del Vangelo, a uno dei nomi più belli di Dio: Egli è nella vita datore di vita. Dalle sue mani la vita fluisce illimitata e inarrestabile. E ci chiama ad essere come Lui, nella vita datori di vita. L'opera di Dio è una calda corrente d'amore che entra e fa fiorire le radici del cuore.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Solo un adulto può capire davvero

Prosegue, nel vangelo di oggi (Giovanni 6,24-35), la concatenazione di fatti e parole cominciata la scorsa domenica con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. La folla segue Gesù sino in città, a Cafarnao, ed egli sa bene il perché: sperano che egli continui a sfamarli. Glielo dice chiaro, con un invito: "Datevi da fare non per il cibo materiale, ma per quello che porta alla vita eterna. Credete in me!"

Per credere in lui, la folla pretende di vedere altri miracoli, magari qualcosa di simile a quanto è avvenuto (come narra la prima lettura: Esodo 16) agli ebrei liberati dall'Egitto, sostentati per quarant'anni nel deserto dalla manna, ritenuta "pane dal cielo". Gesù proclama allora di essere lui il vero pane dal cielo: "Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!"

Evidentemente Gesù ha davanti uditori ancora legati al pane materiale, cioè a una visione tutta terrena e umana dell'esistenza, e cerca di elevarli ad un livello superiore, inculcando la necessità di soddisfare un'altra fame, quella dello spirito, della quale non paiono preoccuparsi. Questo difficile dialogo ha duemila anni, ma potrebbe essere di ieri: quanti uomini e donne, e non soltanto nella fase della spensieratezza giovanile, hanno come solo orizzonte quello che vedono dalle finestre di casa o possono raggiungere con qualche ora di viaggio! Quanti e quante soffocano la loro vita interiore nella banalità quotidiana! "Ricevono regali e rose rosse per il loro compleanno", cantava Mina, "dicon sempre di sì, non hanno mai problemi e son convinte che la vita è tutta lì". E' vero, per tanti, per troppi. Peccato che la canzone proponesse come alternativa alla banalità l'avere a che fare con un uomo "capriccioso, egoista e prepotente": sarebbe questa la vita vera?

In realtà tutte le civiltà, nell'arco della loro storia, presentano una sia pur esegua minoranza di uomini che non hanno rinunciato a pensare, a interrogarsi sul senso della vita, proponendo le più disparate risposte. I cristiani si distinguono perché le considerano tutte più o meno manchevoli, e perciò si affidano alla guida non di un uomo, per quanto rispettabile, ma di Dio, che si è degnato di parlare agli uomini proprio per rivelare loro come condurre l'unica vita che abbiamo.

Ha parlato: ma come? quando? La Lettera agli Ebrei comincia così: "Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio". Ecco: Gesù è la Parola di Dio, e in tal senso è il pane della vita, in grado di soddisfare davvero e per sempre la mente e il cuore.

E' una Parola che non si finisce mai di ascoltare, sia perché è di una ricchezza inesauribile, sia perché è l'unica che garantisce di condurre, giorno dopo giorno, al giorno senza tramonto. Eppure i destinatari, cioè gli uomini, sono sempre tentati di trascurarla, per seguire quello che sembra più attraente. Lo sapeva bene anche l'apostolo Paolo, che scrivendo ai primi cristiani (seconda lettura di oggi, Efesini 4,17-24) li esortava così: "Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri. Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti".

Dunque, per conoscere la Parola, occorre evitare un doppio 'sé, che si ripropone anche oggi. Nelle statistiche, in base alle risposte personali, per la stragrande maggioranza gli interpellati si dicono cristiani; ma sulle componenti della fede rivelano lacune abissali. Una delle ragioni: tutti sono andati al catechismo, abbandonandolo però con l'adolescenza e restando così con l'idea che la pratica della fede sia cosa da bambini. In realtà solo un adulto può capire davvero la divina Parola: 'sé però non trascura di ascoltarla!

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 5 agosto 2018

tratto da www.lachiesa.it