Uno scritto per ogni Teòfilo

News del 23/01/2010 Torna all'elenco delle news

Viene da chiederci seriamente alla luce del Vangelo e della lettera di Paolo ai Corinzi, quale sia la parte che noi abbiamo nell'esprimere la serenità e la fiducia, frutti della presenza dello Spirito Santo in noi. Oggi, i cristiani di buona volontà si pongono questo problema.
Siamo in tanti a parlarne, ma a volte è 'suono di parole vuote', quando addirittura non fanno male. Tante volte si ha l'impressione di 'battere l'aria', senza lasciare una traccia di verità, di serenità, di 'buona novella', insomma.
E questo tra di noi, in famiglia, nella società. Eppure Gesù, e quindi la sua Chiesa, in virtù del Battesimo e della Confermazione, hanno, non solo la missione, ma soprattutto la grazia dell'ispirazione, data dalla presenza dello Spirito Santo, che rende 'viva ed efficace' la parola, accompagnata dalla testimonianza, tanto da poter affermare: 'Ciò che dico è vero, perché è frutto dello Spirito che è in me'.

Essere cristiani non è solo un modo di dire, ma un modo di vivere la fede, che si esprime nel come pensiamo, come parliamo, come ci comportiamo, insomma nel come 'viviamo Cristo'.
Occorre, credo, prendiamo coscienza che non possiamo più essere cristiani di 'facciatà, ma dobbiamo diventare cristiani 'vivi', che, dove sono, operano 'ispirati', ossia mossi dallo Spirito Santo. difficile? Si, ma necessario se vogliamo 'realizzare' noi stessi ed aiutare gli altri, crescendo insieme nella fede e nella santità.
Non è più tempo - e sono certo che voi, che siete 'di buona volontà', siate d'accordo - di 'segni senza significato', ma di presenze che tornino ad essere 'sale della terra e luce del mondo'.

Abbiamo oggi due letture che dovrebbero aiutarci a crescere nella fede.
L'evangelista Luca ci pone innanzi GESÙ che, a 30 anni, dopo una lunga preparazione nel silenzio di Nazarerh, si presenta ufficialmente nella sua città, nella sinagoga, iniziando a farsi 'PAROLA NUOVA E VERA', come solo Dio può e sa essere.
Possiamo facilmente immaginare lo stupore di quell'assemblea nel sentire che la profezia di Isaia si 'incarnava' in quel giovane, Gesù, che loro da sempre conoscevano come 'il figlio del falegname'. E ancor più stupefacente - in quell'epoca, simile alla nostra, dove i deboli erano emarginati, privi di ogni diritto, come non avessero posto nel cuore dei fratelli, - era l'affermazione, senza mezzi termini, che un'epoca nuova era iniziata, in cui era iniziata la liberazione dei più emarginati.
È lo stesso problema e necessità che si pone anche oggi.
Basta avere uno sguardo illuminato dallo Spirito, per vedere come il mondo sia diviso in chi si realizza e conta e in chi è messo al bando senza pietà.
Una divisione che non è solo bestemmia alla giustizia umana e divina, ma è sempre sorgente di guerre aperte e sotterranee.
La Chiesa - noi, che ci diciamo Chiesa - dobbiamo sentire rivolto a noi, quell'OGGI si è adempiuta la salvezza.
Per grazia di Dio, tanti, in tanti modi, questo 'oggi' lo stanno già attuando nelle innumerevoli forme della carità, animata dallo Spirito Santo.

Paolo, scrivendo ai Corinzi, ci viene incontro, dando una risposta alla nostra domanda: Come possiamo noi cristiani realizzare quell'OGGI di Gesù?
"Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra pur essendo molte sono un solo corpo, così anche Cristo... ORA VOI SIETE CORPO DI CRISTO E SUE MEMBRA, CIASCUNA PER LA SUA PARTE.
Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di fare guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Aspirate ai carismi più grandi
" (Ef 12, 12-31).
Con una chiarezza davvero incredibile, Paolo, scrivendo alle prime comunità cristiane, e in questo caso a quella di Efeso, dove forse si dibatteva sul ruolo o su quello che era 'il posto' nella Chiesa e la parte da svolgere, descrive i carismi di ciascuno.
E ce ne sono tanti, che si adattano alle varie necessità di una Chiesa che vuole essere tutta missionaria, non lasciando alcuno con le mani in mano!
Non si tratta qui solo dei ruoli o carismi, che siamo soliti vedere incarnati nelle varie vocazioni o al sacerdozio, o all'episcopato o alla vita consacrata, nelle diverse Congregazioni religiose, ognuna delle quali ha il suo proprio carisma, o al laicato, come operatori pastorali nelle parrocchie, ma dei carismi 'semplici', legati alle realtà dove siamo e per ciò che facciamo.

Per esempio: l'Istituto cui appartengo, fondato dal beato Rosmini, ha come carisma la carità a tutto tondo, dalla carità temporale, che riguarda la cura del corpo, e quindi verso i poveri e gli ammalati, a quella intellettuale, a quella spirituale. Sarà l'obbedienza poi a discernere e dire quale carità ciascuno debba in modo più specifico esercitare. E così per le Congregazioni tutte... ognuna con il suo carisma... come a rendere presente ed efficiente la figura del 'corpo', attraverso le 'membrà.
Ma quello che è davvero stupendo, o dovrebbe esserlo, è come tutti convergono, seppur in modo diverso, al bene dell'intera umanità e della Chiesa.
Nel piano di carità e di salvezza, che Dio ha disposto per tutti, ha fatto ín modo che ciascuno, senza eccezioni, sia costruttore.
Dai genitori agli educatori, ad ogni fedele. C'è davvero posto e necessità che tutti, ma proprio tutti, ciascuno con il suo carisma, mettiamo mano all'edificazione del Regno di Dio e, quindi, ad un mondo più giusto, più bello.
Non è ammesso il disimpegno, perché sarebbe come fare mancare il nostro necessario apporto, creando un 'vuoto' nell'edificazione del Regno e nella comunità.
E, ringraziando Dio, nella Chiesa, oggi, si stanno rendendo conto in tanti dell'urgenza di mettere a frutto i carismi che Dio ha donato. Ci sono una miriade di gruppi e di associazioni, che sono oggi il miglior commento alla lettera di Paolo.
Ma anche se non si appartiene a qualche gruppo, c'è davvero tanto posto per sviluppare i propri carismi, silenziosamente, ma con efficacia, là dove il Signore ci ha posti a vivere.
L'importante è non nascondere i nostri carismi 'sotto terrà, per pigrizia o per paura, come dice Gesù nella parabola dei talenti da far fruttare.

Scriveva Paolo VI: "A tanti cristiani, forse a noi stessi, è rivolto l'interrogativo che sa di rimprovero, rivolto dall'apostolo Paolo agli Efesini, perché la nostra vita spirituale non è un soliloquio, una chiusura dell'anima in se stessa, ma un dialogo, un'ineffabile conversione, una presenza di Dio, da non ricercare più nel cielo, né fuori, né solo nelle nostre chiese, ma in se stesso: quanta gioia e quanta speranza saremo capaci così di donare a tutti, ognuno a suo modo e dove è".

Abbandoniamo i nostri desideri nel cuore dello Spirito con le parole di Madre Teresa di Calcutta:

Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno?
Signore, oggi ti dono le mie mani.
Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata
visitando coloro che hanno bisogno di un amico?
Signore, oggi ecco i miei piedi.
Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata
parlando con quelli che hanno bisogno di parole di amore?
Signore, oggi ti do la mia voce.
Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata
amando ogni uomo, solo perché è un uomo?
Signore, oggi ti do il mio cuore. 

Testo di mons. Antonio Riboldi


Due parti distinte compongono il brano evangelico della Messa di domenica 24 gennaio.
La prima è data dall'esordio del vangelo prevalente quest'anno, quello secondo Luca, il quale, prima di mettersi a riferire della vita terrena di Gesù, professa il suo scrupolo di storico: quanto scrive è frutto di "ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi" sugli "avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari". Segue la dedica e lo scopo del suo scritto: "per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto".
Chi sia il personaggio per il quale Luca ha composto il suo vangelo non ci è dato sapere; ma considerando il suo nome (Teòfilo significa amico di Dio) non è escluso che esso indichi chiunque voglia essere appunto amico di Dio e perciò si preoccupi di conoscerlo meglio, per dare fondamento alla fede che professa. Questo è anche il senso in cui sin dagli inizi i cristiani hanno inteso lo scritto di Luca, accostandolo agli altri tre scritti che espongono i fatti e gli insegnamenti del loro Signore.

La seconda parte della lettura odierna riguarda un episodio collocato nella fase iniziale della vita pubblica di Gesù. Dopo avere percorso i villaggi della Galilea, insegnando tra gli elogi generali, per la prima volta egli fece ritorno al suo villaggio di Nazaret e, da buon ebreo rispettoso della legge, il sabato intervenne all'assemblea comunitaria nella sinagoga. Il momento centrale del rito consisteva nella lettura e relativo commento di un passo della Scrittura. Quella volta si alzò a leggere lui: e possiamo facilmente immaginare con quanta curiosità i presenti attendessero di vedere, quel loro compaesano divenuto famoso, quale brano avrebbe scelto e quale senso gli avrebbe dato. E tutto potevano aspettarsi, i nazaretani, tranne quello che invece avvenne.
Gesù scelse di leggere un passo del profeta Isaia, uno di quelli in cui meglio si delineano i tratti del futuro Messia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio", eccetera. Il passo era di quelli più importanti: il popolo d'Israele viveva dell'attesa del Messia; la promessa di un liberatore inviato da Dio accomunava tutti i discendenti di Abramo nella speranza di un riscatto dalle umiliazioni subite nei secoli e perduranti nella dura soggezione all'imperatore di Roma. E tuttavia, i presenti a quell'ennesima lettura del profeta si saranno aspettati un commento simile ad altri già sentiti: il nostro Dio non ci ha dimenticato, secondo la sua promessa manderà il suo Inviato, del quale dobbiamo restare in fiduciosa attesa. E invece, mentre "nella sinagoga gli occhi di tutti erano fissi su di lui", il commento di Gesù risuonò come una bomba. Disse infatti: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato"; vale a dire: la profezia sul Messia si realizza oggi, adesso, perché il Messia annunciato sono io!

Come si leggerà domenica prossima, gli abitanti di Nazaret non gli credettero, e anzi lo cacciarono dal paese. In qualche misura li si può capire; non era facile riconoscere il Messia in uno, vissuto sino ad allora in mezzo a loro come un uomo "qualunque". E anche oggi non è facile, riconoscere nell'umile operaio di Nazaret il "consacrato con l'unzione" (o, per dirla all'ebraica, il Messia, e alla greca, il Cristo). Non è facile; ma è necessario, è vitale, per chiunque voglia essere Teòfilo, cioè amico di Dio.
 

Testo di mons. Roberto Brunelli
tratti da www.lachiesa.it