10 dicembre 2017 - II Domenica di Avvento: Conversione e convinzione
News del 09/12/2017 Torna all'elenco delle news
L'autore ignoto del secondo libro di Isaia, dal quale proviene il testo di cui alla Prima Lettura, parla di novità e di speranza e nuove prospettive che fanno seguito a un lungo periodo di prove e di punizioni. Ci si rivolge in questo caso al popolo d'Israele prigioniero a Babilonia, che attende la fine dell'esilio e viene esortato alla consolazione: il prezzo della sua protervia e infedeltà è stato pagato e presto avrà fine la condanna. Il Signore stesso provvederà, come un pastore fa con il suo gregge, a risollevare il suo popolo e a condurlo all'unità e alla salvezza, mostrandosi provvido e benevolo come prima era stato determinato nella giustizia. Il rinnovamento viene descritto come una sorta di voce che grida nel deserto, cioè nelle oscurità e nel nulla che l'uomo è stato capace di procurarsi con il peccato; il deserto è infatti assenza, privazione e vacuità, che contrassegnano le false certezze dell'uomo pervertito e disilluso dal peccato. Nel deserto e nelle asperità di questa solutudine, Dio fa sentire la sua voce che promette novità, invita alla speranza e proclama il cambiamento. Riguarda però l'uomo provvedere al cambiamento radicale di se stesso, alla propria trasformazione interiore. Da lui dipende l'accoglienza del monito divino alla conversione, cioè alla radicale trasformazione della mente, delle attitudini, dei punti di vista e del cuore perché smettano le abitudini puramente secolari e terrene e si orientino verso Dio. Convertirsi non significa passare repentinamente dalle cattive opere agli atti di bontà. Significa convincersi e accettare e per ciò stesso mettersi in discussione. Se non si ricorre a questo necessario processo di revisione dibse stessi, non si avranno i frutti sospirati delle opere buone.McCant dice, a proposito dei matrimoni, che nessun vincolo è felice quando non si è capaci di divorziare da se stessi: ogni matrimonio di successo comporta in un certo qual modo una rinuncia a se stessi e un consapevole abbandono delle proprie esclusive preferenze per entrare in sintonia con il proprio coniuge; convertirsi impone appunto una scelta di "divorzio" da se stessi che attesti la volontà di abbandono delle proprie convinzioni fallaci, dei pregiudizi e delle personali convinzioni erronee. In parole povere la conversione comporta coscienza del proprio peccato e dei propri limiti e volontà di rinunciarvi. Di conseguenza impone la fuga dal falso orgoglio e dallabpresunzione, la vittoria sulle nostre miserie morali e la capacità di distruggere in noi stessi ciò che si oppone alla verità. Ciò che in definitiva si oppone a Dio. È necessario pertanto prestare attenzione alla "voce che grida nel deserto" che viene ravvisata dalla figura ulteriore di Giovanni Battista, uomo dall'aspetto austero e dall'atteggiamento dimesso e mortificato all'estremo: nella sua figura, sulla quale si impronterà l'immagine dei successivi anacoreti e Padri del deserto, vi è l'insistenza dell'appello divino al ravvedinento dai propri peccati. Il suo appello a "preparare la strada del Signore è profondo e promettente, perché mentre impone un cambiamento radicale di vita, dischiude le vie per la futura salvezza. Se infatti ci si converte, "si vedrà la salvezza di Dio". Come nel caso di Isaia, si prospetta la gioia, si invita alla speranza, ma si confida nella buona disposizione d'animo perché l'Avvento di Dio (non solo liturgico) non rimanga cosa vana.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Il vero nuovo inizio si chiama conversione
Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, figlio di Dio». Per Marco il Vangelo, che nell’antichità designava la buona notizia di un matrimonio, della nascita di un figlio o della vittoria sul nemico, è di Gesù Cristo, non è il nostro. È Lui la buona notizia; d’ora in avanti ogni notizia che non rifletta la sua persona e il suo pensiero non è buona. Egli salva (Gesù), è il Messia atteso (Cristo), è in una relazione unica col Padre (Figlio). In Lui c’è tutto quello che serve per avere una vita che sia anch’essa una bella notizia per noi e per gli altri, addirittura un vangelo vivente. Questo inizio è diverso da tutti gli altri, è persino più grande del «principio» di Genesi 1 in cui Dio creò il cielo e la terra, perché è il principio che fonda una storia di salvezza.
La parola greca archè, infatti, sta ad indicare il punto di partenza, il principio dominante da cui trae impulso quella forza d’amore che pervade la storia, la sorgente cui tutti dobbiamo attingere per ricevere vita buona. Allora in Gesù l’Origine non è più inaccessibile, il suo inizio può diventare il nostro inizio: ecco la buona notizia! Questa storia di salvezza era stata sognata e annunciata dai profeti, come dimostra la citazione di Isaia, che in realtà riprende anche Esodo e Malachia, Legge e Profeti, tutti orientati a «preparare la strada» che Dio percorre verso gli uomini. In Isaia era la strada attraverso la quale Yhwh faceva tornare il popolo dall’esilio babilonese; adesso, nella pienezza dei tempi, è il cammino del Figlio per riscattare la creatura dall’esilio del peccato e ricondurla al Padre. È anche la via che l’uomo è chiamato a percorrere per diventare discepolo, fatta di rinnovamento interiore e di scelte chiare. La strada rimane sua, l’«inizio» coincide con la sua “iniziativa” verso di noi, ma i passi sono anche i nostri. Il Padre ha scelto come «messaggero» e «voce» che precede la venuta del Figlio un uomo antico come Elia e nuovo come l’acqua pura. Giovanni vive nel deserto, mangia e veste con l’austerità del profeta che è tutto di Dio e non ha nulla da chiedere agli uomini, se non di cambiare vita. Il deserto arido, che nella tradizione biblica è il luogo dell’obbedienza faticosa e della educazione del cuore, diventa con Giovanni il giardino dei nuovi germogli; con lui le acque del Giordano, soglia da oltrepassare per entrare nella terra promessa, brulicano di esseri viventi come alla creazione. Questa volta però gli esseri viventi non sono i pesci, ma uomini attratti dalla coerenza dell’uomo di Dio che parla di cambiamento. La conversione è infatti la trasformazione di mentalità necessaria per superare la soglia dell’indecisione mortale e fare ingresso nella vita vera. «Viene colui che è più forte di me», dice Giovanni, tracciando visibilmente in quel «dopo di me», che in Marco indica la sequela di Gesù, il cammino nuovo del discepolo prima annunciato. Colui che viene dopo è il Dio forte di cui parla la Scrittura, e il battesimo che amministrerà non sarà, come quello di Giovanni, la richiesta di purificazione attraverso il pentimento, bensì l’unzione dello Spirito che perdona i peccati E qui il lettore è condotto dentro la vita stessa di Dio, l’Inizio raggiunge il fine della sua opera, ossia il congiungimento del Santo con l’uomo per opera dello stesso Spirito/respiro di Dio, che nel Battesimo diventa il nostro. Il credente deve però ricordare che non si può entrare nella vita nuova senza lasciare la vecchia, come facevano i penitenti sulle sponde del fiume. L’umiltà con cui il Battista svolge l’altissimo compito di convertire l’uomo alla giustizia di Dio e predisporlo alla libertà di figlio, è raffigurata da una immagine di inaudita piccolezza, quella di uno schiavo che non si sente neanche all’altezza di chinarsi sul padrone. Essa interroga anche la nostra fedeltà umile alla missione specifica che Dio ci affida: o, a differenza di Giovanni, avanziamo dentro di noi pretese di onori e risultati derivanti dal nostro servizio ecclesiale? E se invece mi sembra di non essere all’altezza del grande dono e compito che il Signore al Battesimo mi hai affidato, quello di mostrare ai fratelli la bellezza di una vita immersa nell’Amore? Eppure, sostando sulle sponde del mio Giordano, avverto, come Giovanni, che Dio continua a volere usare la mia voce, il mio sguardo, le mie mani per dire che Egli è nella porzione di terra che io abito. Allora proverò a raccontare ancora la mia storia salvata. E alla fine della vita, che vorrei fosse anche la conclusione del mio vangelo vissuto, dopo che fin da bambino ho ascoltato da Giovanni l’annuncio che Gesù è il Figlio di Dio, anch’io come il centurione potrò dire: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!».
Omelia di don Tonino Sgrò
Due figure per rappresentare tutti
Nell'anno liturgico cominciato domenica scorsa, il vangelo che sentiremo leggere più spesso durante la Mesa è quello secondo Marco. Oggi ne viene presentata la prima pagina (1,1-8), con l'espressione iniziale che può considerarsi il titolo dello scritto (?Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio?), Marco presenta subito la figura di Giovanni Battista, ?voce che grida nel deserto? per proclamare imminente l'avvento del Messia, da secoli annunciato e atteso. Abbiamo appena celebrato la festa dell'Immacolata, che ha richiamato l'attenzione sulla Madre del Messia. E così, quest'anno il calendario porta ad accostare le due figure principali tra quante del Messia hanno preparato la venuta; le due figure principali, che perciò la liturgia pone al centro dell'Avvento.
Da sempre la fede cristiana riconosce gli stretti vincoli esistenti tra il Battista e la Vergine, in rapporto al Cristo. Li esprimono visivamente le numerose immagini che presentano quest'ultimo in trono, affiancato dai primi due in atteggiamento adorante; è uno schema iconografico caro ai cristiani d'oriente, ma con riscontri anche nell'arte occidentale. Nella cattedrale di Mantova, ad esempio, alto dietro l'altare, nel catino dell'abside, campeggia l'affresco raffigurante Gesù risorto con le altre due Persone della Trinità, cui si rivolgono in ginocchio Maria e Giovanni.
Per quell'atto di adorazione che compete all'intera umanità essi sono stati scelti a rappresentarla tutta, perché dell'umanità sono i migliori esponenti: li qualifica la nobiltà della loro missione, in vista della quale Dio li ha esentati dal peccato originale. (Per quanto riguarda Maria, questo privilegio è noto: lo si è appena celebrato; circa Giovanni, è da sempre nella tradizione della Chiesa, che in tal senso interpreta alcuni passi della Scrittura e perciò di lui - unico tra i santi, a parte lo stesso Gesù e sua Madre - celebra non solo la ?nascita al cielo?, cioè il passaggio da questa all'altra vita, ma anche, il 24 giugno, la nascita terrena).
La missione di Maria e di Giovanni in rapporto alla venuta del Messia non poteva essere più grande: l'una lo ha fisicamente generato, come ci si appresta a celebrare nell'imminente Natale; l'altro ne ha preparato dappresso la manifestazione al mondo e, giunto il momento, l'ha individuato e presentato. Egli ha così dato compimento alle profezie che da secoli annunciavano al popolo eletto la divina promessa di un Salvatore: profezie di cui è esempio quella di Isaia, proclamata nella prima lettura di oggi. La seconda lettura ricorda poi che il cristiano è in attesa di una seconda venuta, alla fine dei tempi, quando questo mondo scomparirà e gli eletti vivranno con lui in ?nuovi cieli e una terra nuova?. Dunque le tre letture di oggi richiamano l'ingresso e l'opera di Gesù nel mondo, e insieme il fatto che essi sono stati preceduti da una lunga preparazione e a sua volta precedono il definitivo instaurarsi del Regno di Dio; in tal modo esse danno il senso dell'Avvento che si sta celebrando, la contemplazione ammirata del grandioso piano, predisposto da Dio per il bene dell'umanità.
Ma come sempre la liturgia non si limita a contemplare: essa è fatta apposta per coinvolgere chi vi partecipa, perché si lasci afferrare da Chi vuole soltanto il bene. La seconda lettura ricorda tra l'altro che Dio ?usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi?; e già Isaia, pur ricordando che ?il Signore Dio viene con potenza?, subito dopo lo presenta nella tenera immagine del pastore premuroso, che ?porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri?. Non si può non ricordare come questa immagine si sia concretizzata in Gesù, il quale si è definito nei termini con cui il profeta aveva delineato la figura e l'opera di Dio: ?Sono io il buon pastore. Chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita?.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Avvento (Anno B) 10 dicembre 2017
tratto da www.lachiesa.it e da www.reggiobova.it