Il Figlio si fa uo­mo perché l’uomo si faccia Figlio.

News del 02/01/2010 Torna all'elenco delle news

Quando la polvere è diventata carne

"In principio era il Verbo e il Verbo era Dio". Vangelo immenso che ci impedisce piccoli pensieri, che opera come uno sfondamento verso l'eterno, verso «l'in principio», verso il «per sempre».
Per assicurarci che c'è un senso, un progetto che ci supera, che non viviamo i nostri giorni solo attorno al breve giro del sole, che non viviamo la nostra vita solo dentro il breve cerchio dei nostri desideri. Ma che c'è come un'onda immensa che viene a infrangersi sui nostri promontori e a parlarci di un Altro, che è Primo e Ultimo, vita e luce del creato.

«E il Verbo si è fatto carne». Dio ricomincia da Betlemme. Il grande miracolo è che Dio non plasma più l'uomo con polvere del suolo, dall'esterno, come fu in principio, ma si fa lui stesso polvere plasmata, bambino di Betlemme e carne universale. Da allora c'è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'è santità, almeno incipiente, e luce in ogni vita.
Dio accade ancora nella carne della vita, la mia. Accade nella concretezza dei miei gesti, abita i miei occhi, le mie parole, le mie mani perché si aprano a donare pace, ad asciugare lacrime, a spezzare ingiustizie.
E se tu devi piangere, anche lui imparerà a piangere. E se tu devi morire anche lui conoscerà la morte. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. E nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme. E quegli occhi sono gli occhi di Dio, è la fame di Dio, è l'umiltà di Dio.
«A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». Senso ultimo della storia: per questo Cristo è venuto. Dopo il suo Natale è ora il tempo del mio Natale: Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Dall'alto.
La Parola di Dio è come un seme che genera secondo la sua specie, genera figli di Dio. Se appena viene accolta. Accogliere, verbo che genera. Accogliere, nostro compito umanissimo. L'uomo diventa ciò che accoglie in sé, l'uomo diventa la Parola che ascolta, l'uomo diventa ciò che lo abita.
Vita vera, vita di luce è essere abitati da Dio. Tutte le parole degli uomini ci possono solo confermare nel nostro essere carne, realtà incompleta e inaffidabile. Ma il salto, l'impensabile accade con la Parola che genera la vita stessa di Dio in noi. Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi. Questa è la profondità ultima del Natale. Oltre, c'è solo il roveto inestinguibile. 


Amare la vita, far nascere Dio in sé

Dopo il Natale di Ge­sù viene il nostro na­tale: a quanti l’han­no accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio. Sin­tesi estrema del Vangelo: per questo è venuto, è stato cro­cifisso ed è risorto. Ci tro­viamo proiettati nel centro incandescente di tutto ciò che è accaduto e che av­verrà. C’è un potere in noi, non una semplice possibi­­lità, ma di più, una energia, un seme potente: diventare figli di Dio. Il Figlio si fa uo­mo perché l’uomo si faccia Figlio.

Come si diventa figli? In tut­te le Sacre Scritture figlio è colui che continua la vita del padre, gli assomiglia, si com­porta come Dio: nell’amore offerto, nel pane donato, nel perdono mai negato.
Diventare figli è una con­cretissima strada infinita. U­na piccola parola di cui tra­bocca il Vangelo, ci spiega con semplicità il percorso. La parola è l’avverbio come. Che da solo non vive, che ri­manda oltre, che domanda un altro: Siate perfetti come il Padre, siate misericordio­si come il Padre, amatevi co­me io vi ho amato, in terra come in cielo. Come Cristo, come il Padre, come il cielo. Ed è aperto il più grande o­rizzonte.
Non realizzerai mai te stesso se non provi a rea­lizzare Cristo in te. Io non so­no ancora e mai il Cristo, ma io sono questa infinita pos­sibilità (David Maria Turol­do). Più Dio equivale a più io. Più divinità in me signi­fica più umanità. Dio è in­tensificazione dell’umano.

Il Padre genera e comunica vita. Figlio diventi tu quan­do solleciti negli altri le sor­genti della vita; quando ri­desti luce e calore, generi pace e alleanza, ridoni spe­ranza. Dio è amore; come assomigliare all’amore? Nel Vangelo il verbo amare ha sempre a che fare con il ver­bo dare: non c’è amore più grande che dare la vita. Vita contiene tutto ciò che pos­siamo mettere sotto questo nome: gioia, libertà, corag­gio, perdono, generosità, pa­ne, luce, leggerezza, energia.
In lui era la vita e la vita era la luce. Cerchi luce? Ama la vita, prenditene cura, con­tiene Dio, da Lui contenuta. Amala, con i suoi turbini e le sue tempeste, ma anche, e sia sempre più spesso, con il suo sole e le sue rose. E poi vai, amorosamente, là dove la vita chiede aiuto, senten­do in te la ferita di ogni feri­ta.
Ha fatto risplendere la vita, ma i suoi non l’hanno accol­to.
Io non rifiuto Dio, ma neppure lo accolgo. Questo è il dramma. Rimango a mezza strada, perché so che Dio in me brucia, non mi la­scia indenne. Ma se Dio fos­se nato anche mille volte a Betlemme, ma non nasce in te, allora è nato invano
(sant’Ambrogio). 

Testi di padre Ermes Ronchi 

 

Cristo, Parola di Verità

La parola di Dio della seconda domenica del tempo natalizio ci offre come riflessione principale il prologo del Vangelo di San Giovanni, il quarto vangelo, detto anche vangelo teologico. In esso troviamo un’approfondita analisi della figura e della missione del Cristo, unico Salvatore del mondo, partendo proprio dall’inizio di tutto, espresso nella premessa a tutto quello che l’apostolo prediletto del Signore ed evangelista ci dirà di Cristo nei capitoli successivi, avendo egli seguito passo passo Gesù, nel ministero pubblico e fino alla morte, risurrezione ed ascensione. Essendo stato più vicino al Signore, avendo percepito il battito del suo cuore, nell’ultima cena, l’evangelista Giovanni, mosso dal profondo amore a Cristo, fino ad essere l’unico presente alla morte del Signore sul Calvario, potè rileggere e quindi scrive con la sua forte esperienza di fede vissuta nei confronti del divino Maestro, chi era davvero Cristo e cosa ha fatto per noi. Egli è il Verbo del Padre, Lui ha rivelato il mistero dell’Amore di Dio, Lui si è fatto carne ed ha assunto su di sé la natura umana, Lui è venuto per portare la vera luce, quella che illumina ogni uomo, Lui ci ha donato la vera libertà, Lui ha vinto il peccato e la morte, Lui ci ha aperto il passaggio all’eternità e alla vera felicità.

Il testo del Prologo del quarto vangelo è una sintesi straordinaria della teologia del Verbo Incarnato, dell’identità del Cristo della fede e della storia.
Facendo riferimento a questo brano centrale della liturgia della parola di Dio, che è finalizzato a tenere l’alta l’attenzione sul mistero del Verbo Incarnato che abbiamo celebrato nel santo Natale, si comprendono i rimanenti testi della liturgia odierna, che già idealmente ci proietta verso la solennità dell’Epifania, come pregheremo nell’orazione iniziale della messa, la colletta: “Dio onnipotente ed eterno, luce dei credenti, riempi della tua gloria il mondo intero, e rivelati a tutti i popoli nello splendore della tua verità”.
San Paolo apostolo, nel brano della lettera agli Efesini, ci riporta al contenuto essenziale della fede cristiana, che è Gesù Redentore. Egli è il centro di ogni cosa, il punto di partenza e di arrivo nell’ambito del divino. In lui trovano le ragioni della fede, dell’amore e della speranza quanti hanno aderito a Cristo con una risposta libera di fiducia filiale in Lui e di quanti vanno ancora alla ricerca del senso della propria esistenza e della propria vita. Si tratta di un testo di grande respiro teologico che ci apre alla speranza, ma che ci riporta alla nostra grande dignità di figli di Dio, mediante il dono della fede, nonostante le nostre debolezze e fragilità umane.

Il mistero di Cristo, la sua venuta nella storia dell’umanità, la sua redenzione operata nel mistero della Pasqua hanno un senso e una valenza nella misura in cui noi aderiamo a Lui con una fede, che è abbandono totale in Lui che è nostra vita e nostra risurrezione. Il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, non è stata un decisione improvvisa da parte di Dio. Sappiamo che fin dall’eternità Egli ha pensato al bene dell’uomo e che per amore ha creato ogni cosa. E quando, per la nostra caparbietà e superbia, ci siamo incamminati nella via del rifiuto della supremazia di Dio nella nostra vita e nella nostra storia, generando il peccato d’origine, Dio non ci ha abbandonato alla nostra condizione, ma ha pensato da subito alla nostra redenzione.
Lo comprendiamo alla luce sia del testo del Vangelo di oggi, sia anche dalla prima lettura, molto bella tra l’altro, ricavata dal Libro del Siracide, ove è posta l’attenzione alla Sapienza, che non è qualcosa astratto e astruso, ma è Qualcuno, anzi è Dio stesso che si avvicina all’uomo per parlare a lui il linguaggio dell’amore e della verità.
Il disegno di Dio di salvare l’umanità, passa attraverso l’incarnazione del suo Figlio, Sapienza del Padre e Potenza del Padre.

A Gesù vogliamo rinnovare il nostro grazie per quanto ha fatto per noi, sia nascendo povero tra i poveri e sia morendo da povero, nella sofferenza più atroce sul Calvario. Il legame inscindibile tra Incarnazione, Passione, Morte e Risurrezione del Signore lo si comprende alla luce di quanto abbiamo ascoltato e meditato in questa seconda domenica di Natale.

Ora non ci resta altro che mettere in atto quanto Dio ci ha ipirato per la nostra personale santificazione e per la santificazioni di quanti il Signore ha affidato alle nostre cure spirituali, culturali, umane e sociali. 


Testo di padre Antonio Rungi 

tratti da www.lachiesa.it