Rinascere: ripartire dal Vangelo
News del 02/01/2010 Torna all'elenco delle news
La luce della vita
I vangeli del tempo natalizio sono tratti dai primi capitoli di Matteo e di Luca, i quali parlano della nascita di Gesù vista, per così dire, dal basso, nell’ottica terrena. Giovanni invece apre il suo vangelo guardando “dall’alto” all’ingresso del Figlio di Dio nel mondo: i precedenti divini del fatto, e le sue conseguenze soprannaturali.
E’ una pagina solenne, quella che si legge la seconda domenica dopo Natale; una pagina che pare aprire spiragli sulle insondabili profondità di Dio. Dice tra l’altro: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. A quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, la gloria del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”.
L’unigenito Figlio di Dio, Dio come il Padre, è dunque il Verbo, cioè la Parola divina, che ha creato il mondo; è Colui nel quale sta la vita, che egli ha voluto comunicare agli uomini facendosi carne, vale a dire diventando uno di noi; accoglierlo, comporta il diventare figli di Dio. Per dirla con Sant’Agostino:“il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché gli uomini si facciano figli di Dio”.
Accoglierlo: il dono incomparabile dell’essere adottati da Dio come figli non è automatico e generalizzato; Dio non costringe nessuno ad accettarlo, né lo spreca recapitandolo a chi non è interessato; per ottenerlo, occorre la libera decisione di accogliere il suo Verbo fattosi carne. Occorre la positiva volontà di riconoscere Gesù come il rivelatore del Padre, come il Maestro che insegna la verità su Dio e la via per giungere a lui, come Colui per mezzo del quale è stato creato il mondo e può dare agli uomini la vita eterna. “Io sono la via, la verità e la vita”, ha detto un giorno.
Per esprimere la grandezza del dono, la pagina evangelica di oggi lo paragona alla luce che splende nelle tenebre. Quello della luce è un simbolo di immediata comprensione, e per questo attraversa tutte le culture, dall’antico Egitto all’Illuminismo, e trova multiformi espressioni in ogni campo, dall’arte (il sole, una lampada, il fondo d’oro degli antichi dipinti) al linguaggio comune (basti ricordare che nascere si dice anche “venire alla luce”). Come, sul piano fisico, la luce del sole dà calore e consente la vita, altrettanto avviene sul piano spirituale con la luce divina, senza la quale regnerebbero le tenebre della morte. Nella Bibbia questo simbolo apre e chiude la rivelazione: le prime parole del Creatore sono: “Sia la luce!” (Genesi 1,3), e al termine si dichiara che per i cittadini della celeste Gerusalemme, il paradiso, “Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà” (Apocalisse 22,5). E tra la prima e l’ultima, le citazioni della luce sono innumerevoli; su tutte, ad accompagnare e rischiarare i giorni così spesso tenebrosi dell’umanità, si trova nella pienezza del suo valore perenne la splendente affermazione (Vangelo secondo Giovanni 8,12) con cui Gesù in persona ha dato conferma alle parole riportate sopra, relative al Verbo e a chi lo accoglie: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.
Testo di mons. Roberto Brunelli
Commento Giovanni 1,1-18 (forma breve: Giovanni 1,1-5.9-14)
Otto giorni dopo è ancora Natale. La liturgia ripropone il prologo di Giovanni. Continuare il Natale non è un semplice ricordo di un importante evento. La nascita di Gesù interroga ancora, deve anzi continuare ad interrogarci. C'è un'esigenza diffusa di rinascita; tutti ne sentiamo il bisogno. Non è possibile che le cose continuino come sono. Eppure continuiamo a dire che è impossibile cambiare le cose e ancor più difficile trasformare il cuore degli uomini. Il Vangelo del Natale ci dice che si può rinascere. Apriamo il nuovo anno con la prima pagina del Vangelo di Giovanni: "In principio era il Verbo". "In principio", vuol dire "al fondamento", all'origine, alla sorgente della vita.
La Chiesa ci invita a porre all'inizio di questo anno la Parola evangelica. Questo vuol dire rinascere: ripartire dal Vangelo. Se non c'è il Vangelo a fondamento delle nostre giornate, sarà vano il nostro impegno perché saremo privi della luce che è venuta nel mondo. E dobbiamo crescere con il Vangelo, ascoltandolo giorno dopo giorno, sfogliandolo pagina dopo pagina per ascoltarlo e metterlo in pratica. Così diventiamo contemporanei del Vangelo. Le domeniche ci aiuteranno in questo cammino assieme al Signore. Lo seguiremo nell'Epifania, nel suo Battesimo, nella crescita a Nazareth, nella sua missione per le città e i villaggi della sua terra, nella sua passione, morte e resurrezione. Da Natale in avanti il Verbo, la Parola evangelica, deve divenire carne della nostra vita. Per mezzo di essa, infatti, Dio compie la sua opera, la sua storia di salvezza in noi e nel mondo. La salvezza non è una idea ineffabile: Dio si mostra con la comprensibilità della parola. E non è neppure nell'astratto: la parola di Dio si manifesta nella carne, nella vita. Potremmo dire che la parola evangelica chiede di esser veduta, deve divenire fatto, vita concreta. Non a caso i pastori esclamarono: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questa parola che il Signore ci ha fatto conoscere" (Luca 2,15). Quella parola, che era fin da principio, in quella notte divenne carne di un bambino.
Il vocabolo "carne", oltre ad indicare visibilità e concretezza, evoca la condizione di fragilità dell'uomo, manifesta la sua debolezza. Questa è la legge dell'incarnazione che diviene la via anche della rinascita di ognuno di noi. Come si diventa figli di Dio? L'evangelista scrive: "A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di divenire figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati". Si diventa figli di Dio accogliendo il Vangelo. E si cresce manifestando, nella povertà e nella modestia della propria vita, che le pagine evangeliche divengono la carne del nostro vivere.
Testo di mons. Vincenzo Paglia
Nesso logico tra le letture
La Parola incarnata, Gesù Cristo, è un dono del Padre. In questa frase si può tentare di riassumere il senso della liturgia di questa seconda domenica dopo Natale. Il Padre ci ha benedetto con ogni sorta di beni spirituali, tra i quali eccelle il dono messianico, per mezzo di Cristo (seconda lettura). Nella storia delle benedizioni divine, che corrisponde alla storia dell´uomo, Dio ha dato se stesso come dono della Sapienza, innanzitutto al popolo di Israele (prima lettura), e poi al popolo cristiano, giacché Gesù Cristo è Sapienza di Dio, l´unico che abbia visto Dio e che ce lo possa rivelare (vangelo). In codesta medesima lunga storia, Dio ci viene dato come Parola eterna, che ha preso carne mortale in Gesù di Nazaret (vangelo).
Dono per Israele, dono per il mondo. Non c´è nulla di più straordinario del fatto che Dio abbia voluto essere dono per l´uomo. Non si tratta di dargli delle cose, degli oggetti materiali. Questo già sarebbe grande, ma resta piccolo di fronte alla meraviglia di un Dio, che fa dono di se stesso. Nella storia delle relazioni di Dio con l´uomo, innanzitutto è un dono che si incarna sotto la forma di sapienza. È una sapienza divina, quella che troviamo nella prima lettura. Preesisteva presso Dio ed è uscita dalla sua bocca, e allo stesso tempo ha posto la sua tenda in Gerusalemme ed ha il suo luogo di riposo in Israele. Cioè, in mezzo alla sapienza umana, tanto straordinaria, dei popoli confinanti, come Mesopotamia ed Egitto, Israele gode di una sapienza superiore, per mezzo della quale Dio gli rivela i suoi disegni e progetti e gli manifesta il senso delle cose e della storia. Con il passare dei secoli, giungendo il momento culminante di tutta la storia, si verifica un cambiamento singolare: Dio non soltanto si dà come dono spirituale (sapienza), ma personale (incarnazione del Verbo, della Parola di Dio). Nessun segno di ammirazione è capace di esprimere, in modo adeguato, questo dono eccezionale. Che Dio strappi il mistero della sua trascendenza, entri nella storia e si dia a noi in una creatura umana appena nata, chi lo potrà comprendere? (Vangelo). Non basterà l´eternità per sorprenderci davanti a questo grande mistero. Non è una ´necessità´ di Dio; non si sente obbligato da nessuno; non lo perfeziona nella sua divinità. Soltanto l´amore lo spiega, l´amore che è diffusivo e generoso. Inoltre, non è soltanto un dono personale, è anche un dono universale, mondiale. ´Luce per tutte le nazioni´. Finché esisterà la storia, Dio sarà un dono per tutti, senza distinzione alcuna. Gli uomini potranno dire: ´Non lo voglio´, ´Non ne ho bisogno´, ma non potranno mai pronunciare con le labbra: ´Ne sono escluso´, ´Non è per me´. Gesù Cristo è il dono del Padre per tutta l´umanità.
Un dono in pienezza. Sono belle le immagini che utilizza il Siracide per comunicarci codesta pienezza: la sapienza, ricorrendo ad immagini vegetali, dice di se stessa che è come un cedro del Libano, come palma di Engaddi, come una pianta di rose in Gerico o un frondoso terebinto. Ricorre anche ad immagini aromatiche per descrivere, con diversi linguaggi, la stessa pienezza: l´aroma del lauro indiano (cinnamomo), il profumo del balsamo o della mirra, l´odore penetrante del galbano, dell´onice e dello storace; soprattutto, l´incenso che fumiga nel tempio, e nella cui composizione entrano tutti gli aromi qui menzionati. La bellezza e l´eleganza degli alberi, la freschezza e il colorito dei rosai, l´intensità dei profumi si radunano per sottolineare la pienezza del dono divino della sapienza. Il vangelo è più sobrio di immagini, ma più ricco di significato. Parla della ´gloria del Figlio unico del Padre, PIENO di grazia e di verità´ e, poco dopo: ´dalla sua PIENEZZA tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia´. E l´inno della lettera agli efesini, non si riferisce forse alla pienezza dell´uomo, quando dice che ´Dio ci ha destinato ad essere adottati come figli suoi per mezzo di Gesù Cristo´? La grandezza e pienezza del dono ci rimandano alla grandezza e pienezza del Donante. La nobiltà obbliga alla gratitudine!
Un dono venuto da lontano. Non sono gli astri distanti quelli che, dopo molti anni o secoli, ci regalano i loro raggi di luce; non è la terra che, in angoli tanto diversi e lontani, offre all´uomo la prodigalità dei suoi minerali e dei suoi frutti vegetali; non è l´uomo che ci dona la sua creatività, il suo lavoro, il suo genio. Tutte queste realtà appartengono al mondo creato. Il Dono ci viene dal mondo e dalla distanza increati, dall´aldilà di ogni creatura, dal Dio trascendente.
Gesù Cristo, il Dono di Dio, viene da lontano, ma si introduce nel cuore degli avvenimenti e dell´essere umano fino al punto di essere uomo tra gli uomini. Qui si radica la nostra perplessità. Lo vediamo tanto uguale a noi, che ci può capitare di pensare che non venga dal mondo di Dio. Nelle braccia di sua Madre non c´è nulla che lo mostri divino. E purtroppo, in non poche occasioni, noi uomini, dal fatto che Egli non appaia come Dio, concludiamo che non può esserlo, né lo è. Diremo che è un grande personaggio della storia, che la sua personalità è enormemente seduttrice, che la sua morale è di una altezza e nobiltà grandiose, che la sua capacità di trascinare è imponente, che è un paradosso vivente, essendo il più amato e il più odiato tra i nati di donna... Ma, nel nostro ragionamento non possiamo giungere all´affermazione fondamentale: ´È un Dono di Dio, venuto dallo stesso mondo di Dio´. Venendo al mondo e facendosi uomo, è venuto a rimanere con noi; allo stesso tempo, stando con noi, ma provenendo dal mondo di Dio, è venuto a portarci con Lui nel mondo lontano dal quale è uscito, mondo ignoto, ma che è la nostra patria vera e definitiva. Accettiamo con fede e con amore questo Dono vicino, come lo è un bambino, ma trascendente, come lo stesso Dio?
Testimoni del dono divino. Giovanni, il Battista, è chiamato nel vangelo ´testimone della luce, affinché tutti credano per mezzo di lui´. Testimone, Giovanni, di codesta luce, di codesta sapienza divina che è Gesù Cristo. Seguendo il Battista, tutti in una certa maniera siamo chiamati ad essere testimoni del dono divino, Gesù Cristo. Il mondo crederà se aumentano i testimoni di Cristo. E se nel nostro paese la fede diminuisce, non sarà perché sono diminuiti i testimoni? I maestri possono chiarire la verità del Dono divino, ma i testimoni fanno la verità, e facendola la accreditano e la garantiscono. Cristo, Dono di Dio per l´uomo, ha bisogno di testimoni. Bambini, testimoni di Cristo per i bambini e per gli adulti; giovani, testimoni di Cristo per i giovani e quelli non tanto giovani; adulti, testimoni di Cristo per gli adulti, e per i bambini e i giovani. Testimoni convinti e audaci, allo stile di Papa Giovanni Paolo II. Cristo ha bisogno di padri di famiglia, che non abbiano paura di donare la fiaccola della loro testimonianza cristiana ai propri figli; di educatori, che siano testimoni di Cristo per i propri alunni; di parroci, che testimonino con la loro vita santa il Dono di Cristo a tutti i loro fedeli. Sono un autentico testimone di Cristo? Che cosa faccio, e che cos´altro posso fare perché la mia testimonianza sia credibile e Dio la renda efficace?
Testo di Totustuus
Foglietto della Messa di domenica 3 gennaio 2010
Liturgia della Parola di domenica 3 gennaio 2010
tratti da www.lachiesa.it
La "Sacra Famiglia", il cosiddetto "Tondo Doni", dipinto di Michelangelo Buonarroti, 1503-4, Galleria degli Uffizi, Firenze
Il verbo si è fatto carne
Tra Maria e Giuseppe è fiorita la vita, quella vita che era presso Dio fin dal principio, che era Luce per gli uomini: il Verbo della vita. Ma ecco che, mentre Maria e Giuseppe sono rivestiti di grazia, Gesù - la grazia stessa - è interamente nudo. Il corpo assunto dal Verbo è il nostro corpo di carne, la stessa carne degli uomini ante legem, la stessa degli uomini sub lege: è una carne mortale. In questa carne Cristo risponde alle attesa di tutta l'umanità. A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, i quali non da sangue, né da volere di carne, ma da Dio sono stati generati. (Gv 1, 12-13) L'unico indumento di cui Cristo è adorno è la fascia che gli cinge il capo, simbolo di vittoria. La morte non ebbe alcun potere su di lui e la sua carne non conobbe corruzione, perciò egli è il primogenito di coloro che risorgono dai morti ed è, per ogni credente, come una primizia di ciò che sarà il loro destino.
La carne del verbo è ormai il vero tempio entro il quale si realizza la comunione perfetta fra Dio e l'uomo. E come il tempio - per l'umanità sub gratia - non è più di pietra, bensì di carne, così anche il cuore dell'uomo che accoglie il verbo - non è più di pietra, ma di carne, è il luogo cioè del vero culto offerto a Dio, fatto non di sacrifici e offerte, ma di adesione amorosa alla volontà di Dio.
Le teste della Sacra Famiglia formano un triangolo equilatero rovesciato: l'uomo e la donna che si amano in Cristo sono l'immagine terrena della Trinità del cielo. Adamo ed Eva dopo il peccato furono colpiti nelle loro relazioni: con la sua incarnazione Cristo, nuovo Adamo, inaugura relazioni totalmente rinnovate dall'Amore.
Eucaristia, memoriale del verbo incarnato
Il dipinto è inscritto in un tondo, una forma che rimanda inequivocabilmente all'Eucaristia. Nell'Eucaristia ogni uomo trova la sorgente per risanare tutto ciò che in lui è ancora ante legem, per orientare tutto ciò che è sub lege e portare a perfezione quanto, in forza del battesimo, è già sub gratia. (testo di Gloria Riva tratto da www.culturacattolica.it).