2 aprile 2017 - V Domenica di Quaresima: Non è la vita che vince la morte, ma l'amore
News del 01/04/2017 Torna all'elenco delle news
Di Lazzaro sappiamo poche cose, ma sono quelle che contano: la sua casa è ospitale, è fratello amato di Marta e Maria, amico speciale di Gesù. Il suo nome è: ospite, amico e fratello, insieme a quello coniato dalle sorelle: colui-che-Tu-ami, il nome di ognuno.
A causa di Lazzaro sono giunte a noi due tra le parole più importanti del Vangelo: io sono la risurrezione e la vita. Non già: io sarò, in un lontano ultimo giorno, in un'altra vita, ma qui, adesso, io sono.
Notiamo la disposizione delle parole: prima viene la risurrezione e poi la vita. Secondo logica dovrebbe essere il contrario. Invece no: io sono risurrezione delle vite spente, sono il risvegliarsi dell'umano, il rialzarsi della vita che si è arresa.
Vivere è l'infinita pazienza di risorgere, di uscire fuori dalle nostre grotte buie, lasciare che siano sciolte le chiusure e le serrature che ci bloccano, tolte le bende dagli occhi e da vecchie ferite, e partire di nuovo nel sole: scioglietelo e lasciatelo andare. Verso cose che meritano di non morire, verso la Galilea del primo incontro.
Io invidio Lazzaro, e non perché ritorna in vita, ma perché è circondato di gente che gli vuol bene fino alle lacrime. Perché la sua risurrezione? Per le lacrime di Gesù, per il suo amore fino al pianto.
Anch'io risorgerò perché il mio nome è lo stesso: amato per sempre; perché il Signore non accetta di essere derubato dei suoi amati. Non la vita vince la morte, ma l'amore. Se Dio è amore, dire Dio e dire risurrezione sono la stessa cosa.
Lazzaro, vieni fuori! Esce, avvolto in bende come un neonato, come chi viene di nuovo alla luce. Morirà una seconda volta, è vero, ma ormai gli si apre davanti un'altissima speranza: ora sa che i battenti della morte si spalancano sulla vita.
Liberatelo e lasciatelo andare! Sciogliete i morti dalla loro morte. E liberatevi dall'idea della morte come fine di una persona. Liberatelo, come si liberano le vele, si sciolgono i nodi di chi è ripiegato su se stesso.
E poi: lasciatelo andare, dategli una strada, amici, qualche lacrima e una stella polare.
Tre imperativi raccontano la risurrezione: esci, liberati e vai! Quante volte sono morto, mi ero arreso, era finito l'olio nella lampada, finita la voglia di amare e di vivere. In qualche grotta dell'anima una voce diceva: non mi interessa più niente, né Dio, né amori, né vita.
E poi un seme ha cominciato a germogliare, non so perché; una pietra si è smossa, è entrato un raggio di sole, un amico ha spezzato il silenzio, lacrime hanno bagnato le mie bende, e ciò è accaduto per segrete, misteriose, sconvolgenti ragioni d'amore: un Dio innamorato dei suoi amici, che non lascerà in mano alla morte.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Credi che chi ha fede in me, anche se muore vive?
Dopo i temi dell'acqua viva dello Spirito e della luce della salvezza, eccoci al tema battesimale della vita eterna.
Gesù viene avvisato che un suo caro amico, Lazzaro, sta per morire; che fa? Si precipita affannosamente? No, se ne sta lì tranquillo e dice: Questa malattia non è per la morte, ma servirà alla gloria di Dio. È come se ci volesse dirci: tranquilli, Lazzaro è mio discepolo, crede in me, e chi è unito a me attraversa e vince la morte: Io sono la risurrezione e la vita! Sì, chi crede in Gesù e vive unito a Lui, anche se muore, vive per sempre! Gesù infatti a chi crede in Lui comunica la Sua stessa vita divina, immortale, che rende capaci di superare la morte che diventa sorella morte, che non fa paura, che introduce nell'abbraccio con il Dio della vita.
C'è un bel salto nella fede da fare, come è stato per Marta, alla quale - addolorata per la morte del fratello e per "l'assenza del Signore" - Gesù ha posto anzitutto una domanda, la principale, che rivolge a tutti noi: tu credi in me? Credi che chi ha fede in me, anche se muore vive? Sì, ci crediamo che quel nostro amico o parente morto nell'amore di Dio, e che spesso diciamo che "non c'è più", in realtà è morto fisicamente ma è vivo in Dio? Coraggio caro fratello e cara sorella, apri il cuore alla speranza, lasciati convincere dall'amore e dalla potenza della risurrezione di Gesù! La morte di una persona cara è una cosa bruttissima, certo, ci fa soffrire tanto e ci fa piangere, come ha pianto lo stesso Gesù, ma Lui l'ha vinta! Dunque non disperare! I nostri cari sono in Dio, e Lui è molto più grande e buono di noi! Non piangiamoli come se ormai fossero "estinti nel nulla", ma, dato che ci sono vicini, "incontriamoli nella fede", pregando per loro, ricevendo l'Eucaristia in grazia di Dio, dandoci da fare con la carità, certi che l'amore vince la morte!
L'amore di Dio vince ogni morte: la morte naturale, ma anche la morte del cuore: la morte che causa in noi il peccato, la morte interiore dopo un dramma, un lutto, un tradimento. Chi può "risuscitarci"? Solo Gesù, solo l'Amore... bisogna invocarlo, come farebbe una persona prigioniera delle macerie dopo un terremoto, che chiama i soccorsi... Ma spesso le persone che sono in pesanti situazioni, non riescono nemmeno a pregare; sono come Lazzaro nella tomba: allora ci vuole l'aiuto degli altri, di quei discepoli che Gesù ha mandato a "risuscitare i morti". Ma che intendeva? Se fosse solo letteralmente, si contano sulla punta delle dita i santi che hanno potuto operare questi miracoli. Gesù intendeva anche - e soprattutto di risuscitare i morti nel cuore, i morti spirituali, come il figliol prodigo (R. Cantalamessa).
Come fare? Per esempio: conosci qualcuno solo, o in una casa di riposo? Forse il suo cuore è indurito per il silenzio dei parenti. Telefonagli, cerca di andarlo a trovare: probabilmente hai risuscitato un morto! Un tuo familiare è rimasto demoralizzato dopo l'ennesimo scontro in famiglia; vagli incontro, annunziandogli con le parole e i gesti l'amore di Dio, così che possa rinascere la fiducia. Vedete, non è poi così difficile "risuscitare un morto": bastano piccoli concreti atti di carità! E nel caso di "morte interiore" dovuta al peccato grave, non esitiamo a ritornare con gioia alla misericordia di Dio, ricevendo il suo abbraccio nel sacramento della confessione, così che la sua vita divina riprenda a "scorrere nelle nostre vene"!
Omelia dei Missionari della Via
L'amore più forte della morte
Nel mezzo del Vangelo di oggi risuona una frase terribile, che forse più di ogni altra esprime l'essenza di ogni incredulità, di ogni nostra chiusura del cuore nei confronti del Signore. Irrompe in un momento di grande dolore per Gesù. Il suo amico Lazzaro è morto. Gesù è nel dolore, piange, ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva far sì che costui non morisse?». Sembra di sentire in queste parole l'eco di quelle di Satana nel deserto: Se sei il figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane. O ancora quella degli scherni di coloro che assistettero all'agonia di Gesù sulla croce: Ha salvato altri, salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio.
Anche di fronte a Gesù che viene incontro al nostro dolore, che non lo guarda dal di fuori, ma lo condivide, che si commuove, che è turbato e piange con noi, anche in presenza della rivelazione del vero volto di Dio come di un Dio che geme con noi, non crediamo che faccia sul serio, dubitiamo del suo amore per noi, abbiamo l'ardire di muovergli dei rimproveri. Non vediamo quello che Dio fa con noi in Gesù - vediamo solo quello che non fa o che crediamo non faccia per noi.
Questa frase mostra fino a che punto è compromessa la nostra concezione di Dio e dell'amore. È a basso prezzo, crede cioè che si possa aiutare senza scomodarsi, si confonde con l'assistenzialismo, ma non sa diventare autentica "com-passione", "patire insieme", "patire con amore". Qui capiamo il nostro bisogno di conversione, scopriamo fino a che punto siamo prigionieri dei sepolcri della nostra incredulità, della nostra durezza di cuore, della nostra incapacità di riconoscere il Signore. Dio viene ad aprire i sepolcri della nostra durezza di cuore. Ci viene incontro non imponendosi a noi con delle prove di forza, non seducendoci con gesti strabilianti di magia o miracoli che lo metterebbero al di sopra di noi. Viene a noi come Dio in Gesù forte solo della sua totale condivisione della nostra esperienza della morte.
Gesù ha voluto sperimentare tutta la realtà della morte fino al punto da accettare di soffrire per la morte di un amico, di condividere le sofferenze, le lacrime e il tormentato cammino verso la speranza di Marta e di Maria. Ha voluto essere esposto al cattivo odore della morte, al disgregamento, all'ineluttabile disfacimento che essa comporta: Signore, non possiamo rotolare via la pietra del sepolcro, perché già la morte ha fatto il suo lavoro. Gesù, coraggiosamente, si espone alla morte in tutte le sue dimensioni, va incontro a tutto il suo orrore e alla fine l'abbraccia lui stesso, muore anche lui, è anche lui rinchiuso in un sepolcro.
Si realizza in questo modo la profezia della prima lettura: Così dice il Signore Dio: «Ecco, io apro i vostri sepolcri». Mai però il profeta Ezechiele si sarebbe aspettato che il Signore non sarebbe venuto ad aprire i sepolcri dal di fuori, ma dal di dentro. Non sarebbe venuto ad aprirli con una prova di forza, ma con un gesto di condivisione e di compassione. Questo dobbiamo ricordare nel momento del dolore, del lutto, della prova, quando diciamo: "Signore, dove sei?". Il Signore sta piangendo con me, è nel dolore con me, muore con chi amo e soffre con me che resto nel lutto da solo. Attraverso questa sua compassione, il Signore semina in me i germi della fede e della speranza che sono, appunto, la resurrezione e la vita.
Infatti, la fede e la speranza sono già resurrezione e vita.
Il sepolcro, in realtà, si apre nell'istante nel quale Gesù conduce Marta a confessare: "Sì, o Signore, io credo. Io credo che tu sei il Cristo. Io credo che tu sei il figlio di Dio, colui che viene nel mondo". Cosa è infatti la resurrezione? Cosa è la vita? Cosa è l'apertura dei sepolcri? Non sono una cosa, ma una persona: Io -dice Gesù- sono la resurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà.
Ecco la nostra resurrezione. Ecco l'istante nel quale i sepolcri si spalancano, nel quale la vita, lo Spirito discende nei nostri cuori per abitarvi. È l'istante nel quale diciamo con il cuore e con la vita: "Credo in te, Signore". Questo atto di fede si erge contro ogni evidenza contraria, non vacilla anche di fronte all'ineluttabilità e alla brutalità della morte, anche nella prova, anche nel dolore, anche nella confusione. Questo "Credo in te, Signore" vuol dire che lo riconosco con me nel mio dolore; riconosco che mi ama non perché mi risparmia il dolore e la morte, ma perché viene a portarli con me; lo riconosco, credo in lui perché viene a trasformare questo dolore, questa morte in via di ritorno al Padre, viene a trasformarli in un amore che non muore, in un amore che è più forte della morte.
Ecco dunque la nostra resurrezione: "Credo in te, o Signore".
Omelia di don Luigi Gioia
Liturgia e Liturgia della Parola della V Domenica di Quaresima (Anno A) 2 aprile 2017
tratto da www.lachiesa.it