12 marzo 2017 - II Domenica di Quaresima "Reminiscere": Tabor, quella luce divina sotto la superficie del mondo

News del 11/03/2017 Torna all'elenco delle news

La Quaresima ci sorprende: la consideriamo un tempo penitenziale, di sacrifici, di rinunce, e invece oggi ci spiazza con un Vangelo pieno di sole e di luce, che mette energia, dona ali alla nostra speranza.

Gesù prese con sé tre discepoli e salì su di un alto monte. I monti sono come indici puntati verso il mistero e le profondità del cosmo, raccontano che la vita è un ascendere verso più luce, più cielo: e là si trasfigurò davanti a loro, il suo volto brillò come il sole e le vesti come la luce.

L'esclamazione stupita di Pietro: che bello qui, non andiamo via... è propria di chi ha potuto sbirciare per un attimo dentro il Regno. Non solo Gesù, non solo il suo volto e le sue vesti, ma sul monte ogni cosa è illuminata. San Paolo scrive a Timoteo una frase bellissima: Cristo è venuto ed ha fatto risplendere la vita. Non solo il viso e le vesti, non solo i discepoli o i nostri sogni, ma la vita, qui, adesso, quella di tutti.

Ha riacceso la fiamma delle cose. Ha messo nelle vene del mondo frantumi di stelle. Ha dato splendore e bellezza all'esistenza. Ha dato sogni e canzoni bellissimi al nostro pellegrinare di uomini e donne. Basterebbe ripetere senza stancarci: ha fatto risplendere la vita, per ritrovare la verità e la gioia di credere in questo Dio, fonte inesausta di canto e di luce. Forza mite e possente che preme sulla nostra vita per aprirvi finestre di cielo.

Noi, che siamo una goccia di luce custodita in un guscio d'argilla, cosa possiamo fare per dare strada alla luce? La risposta è offerta dalla voce: Questi è il mio figlio, ascoltatelo. Il primo passo per essere contagiati dalla bellezza di Dio è l'ascolto, dare tempo e cuore al suo Vangelo.

L'entusiasmo di Pietro ci fa inoltre capire che la fede per essere forte e viva deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un che bello! gridato a pieno cuore. Perché io credo? Perché Dio è la cosa più bella che ho incontrato, perché credere è acquisire bellezza del vivere. Che è bello amare, avere amici, esplorare, creare, seminare, perché la vita ha senso, va verso un esito buono, che comincia qui e scorre nell'eternità.

Quella visione sul monte dovrà restare viva e pronta nel cuore degli apostoli. Gesù con il volto di sole è una immagine da conservare e custodire nel viaggio verso Gerusalemme, viaggio durissimo e inquietante, come segno di speranza e di fiducia.

Devono custodirla per il giorno più buio, quando il suo volto sarà colpito, sfigurato, oltraggiato. Nel colmo della prova, un filo terrà legati i due volti di Gesù. Il volto che sul monte gronda di luce, nell'ultima notte, sul monte degli ulivi, stillerà sangue. Ma anche allora, ricordiamo: ultima, verrà la luce. «Sulla croce già respira nuda la risurrezione» (A. Casati).

Omelia di padre Ermes Ronchi 

 
E allora sarà Pasqua per tutti

Dopo l'austerità delle tentazioni, riferite dal vangelo della scorsa domenica, oggi si passa a tutt'altro clima: dal Gesù-uomo, soggetto alle tentazioni come tutti, al Gesù-Dio, sfolgorante di bellezza. Matteo (17,1-9) narra l'episodio forse più misterioso della vita di Gesù, la sua Trasfigurazione. Egli "prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui". Seguono l'espressione di meraviglia di Pietro, il quale vorrebbe che la visione non finisse più, e il timore dei tre discepoli all'udire la voce che attesta: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo!" E infine il comando dello stesso Gesù: "Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".?

Vi si parla di luce, ma è un episodio misterioso, perché non paragonabile ad acun'altra esperienza umana. Tuttavia è chiaro nel suo significato: Gesù ha preparato i tre alla Pasqua, preannunciando la propria morte seguita dalla gloriosa risurrezione, eventi in continuità con la lunga preparazione dell'antico testamento, rappresentato da Mosè ed Elia. Tra l'antico e il nuovo testamento, tra l'orizzonte ebraico e quello cristiano, non vi è infatti rottura o separazione, ma appunto continuità: il primo ha preparato il secondo, come il fiume sfocia nel lago, che è più ampio e vario ma non esisterebbe senza il flusso d'acqua di cui si alimenta.?

La continuità è espressa anche dalle altre due letture di oggi. La prima (Genesi 12,1-4) parla di Abramo, punto di partenza di tutta la tradizione ebraico-cristiana. Egli era un ricco pastore seminomade originario di Ur, nell'attuale Iraq; si trovava a Carran, nell'attuale Turchia, quando l'unico vero Dio lo trasse fuori da un mondo pagano, invitandolo alla fede, cioè a fidarsi di lui. "Vattene dalla tua terra - gli disse -, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedirò (...) e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra". 

Abramo si fidò, e da lui ebbe origine il popolo d'Israele, culla entro cui si preparò l'adempimento della seconda parte della promessa, la benedizione divina estesa agli altri popoli del mondo. Gesù, in quanto uomo, apparteneva al popolo d'Israele (come sua Madre, come gli apostoli); ma la redenzione da lui compiuta con la sua Pasqua vale per tutti gli uomini, a qualunque popolo appartengano. Con lui, non solo Abramo, né solo i suoi discendenti sono chiamati a riconoscere e fidarsi dell'unico vero Dio: nella seconda lettura (2Timòteo 1,8-10), riferendosi appunto ai non-ebrei, l'apostolo Paolo ricorda che Dio "ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto".?

Si intravede, dietro le letture di oggi, la regia di un piano grandioso, drammatico e insieme esaltante, relativo alla storia dell'umanità intera. I popoli e i singoli si agitano, si scontrano, si spengono, senza rendersi conto di essere i destinatari di un progetto volto a valorizzare la loro esistenza: il progetto della loro salvezza, vale a dire la vita non chiusa entro gli angusti limiti terreni, alla quale si accede non per i propri meriti ma rispondendo a una vocazione. Con questo termine di solito si intende la speciale chiamata di preti frati e suore; ma prima viene la vocazione rivolta a tutti: ad Abramo, ai suoi discendenti, all'umanità intera; la vocazione alla fede, cioè a fidarsi di Dio, ad affidarsi a lui.

La fede piena è quella in Gesù, morto e risorto per amore dell'uomo; ma anche chi non l'ha conosciuto può conseguire la vita eterna: il progetto di Dio vuole tutti salvi, e per questo li ha dotati della coscienza: basta seguirla, e sarà Pasqua per tutti.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 
Una luce già in noi

Due volte, nelle letture di questa seconda domenica del tempo di quaresima, risuona la voce stessa del Padre. La sentiamo una prima volta del vangelo della trasfigurazione, quando dalla nube essa proclama: Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo. La sentiamo poi dichiarare nella prima lettura ad Abramo: Esci dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti indicherò.

C'è un parallelo tra l'ascolto chiesto dal Padre nel vangelo e l'atteggiamento indicato come espressione di questo ascolto ad Abramo, quello cioè di uscire. Ascoltare conduce ad uscire. La Parola ci fa uscire dalle nostre abitudini che, anche senza essere dei peccati, ci chiudono alla relazione con il Signore e nei confronti degli altri. Per farci uscire dalle nostre abitudini di passività, di rassegnazione e di cinismo, per farci uscire dal nostro peccato, però, non basta la nostra volontà. Non basta neppure ascoltare Gesù e proporci di mettere in pratica la sua parola. Non ne saremmo infatti capaci perché prima di poter fare qualsiasi cosa di buono abbiamo bisogno di essere salvati. Lo afferma chiaramente la seconda lettura: Figlio mio, con la forza di Dio soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha prima salvati e poi chiamati con una chiamata, una vocazione, santa. E poi aggiunge: non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia.

Anche solo per sentire la chiamata di Dio quindi abbiamo prima bisogno di essere salvati, di essere condotti - come Pietro, Giacomo e Giovanni - in un luogo in disparte, di essere avvolti, anche noi, dalla nube dello Spirito Santo. Soprattutto abbiamo bisogno di riconoscere questa voce del Padre che ci invita. Notiamo che il Padre non ci chiede genericamente di ascoltare, ma ci dice: Ascoltatelo! cioè "Ascoltate Gesù!". Proprio in questo risiede la grande differenza tra la voce del Padre nel Nuovo Testamento e nell'Antico Testamento.

Il Padre parla a noi come aveva parlato ad Abramo. Al tempo di Abramo, però, Gesù ancora non era venuto, perciò il Padre gli dice solo: Vai! Esci!. A noi invece non dà semplicemente una parola da ascoltare, a noi dice: Ascoltatelo! Cioè "Ascoltate lui, ascoltate Gesù!". Il riferimento a Gesù è la chiave di tutto: lui possiamo ascoltarlo, vogliamo ascoltarlo, perché ci ha dato la prova del suo amore per noi, ha dato la vita per noi e, come ha detto lui stesso, nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.

Nei suoi riguardi possiamo citare questa bella frase del salmo: Di te ha detto il mio cuore: sei tu il mio Dio. Il nostro cuore riconosce in Gesù il nostro Dio, discerne nella sua Parola una voce che veramente ci raggiunge nel profondo, ha la forza di introdurre un cambiamento autentico nella nostra vita, ha questo potere proprio perché prima di cambiare la nostra vita tocca il nostro cuore.

Ascoltare produce allor come frutto la benedizione nel doppio senso di questa parola: nel senso che noi siamo benedetti e che a nostra volta diventiamo strumento e segno di benedizione per il mondo.

C'è una parentela molto stretta tra la parola benedizione e le beatitudini. Essere benedetti è entrare nello spirito delle beatitudini. I veri benedetti sono i beati di Matteo perché la loro vita è stata trasformata, perché hanno trovato la gioia, hanno avuto accesso alla consolazione del Signore già nella povertà, nella sofferenza, nelle lacrime. Questo è essere benedetti. Una volta benedetta, la nostra vita diventa beata, cioè assume un senso nuovo, anche quando esteriormente tutto sembra restare come prima. Le circostanze della vita infatti cambiano lentamente, ma il nostro cuore, sotto l'azione della benedizione, si converte per primo e con esso si trasforma il nostro sguardo e lentamente anche il nostro comportamento e tutta la nostra vita.

Essere benedetti è quindi essere trasfigurati, prima nel cuore, poi nello sguardo e infine in tutta la nostra vita.

La trasfigurazione di Gesù è visibile solo per un momento. Quando egli scuote i discepoli dal sonno nel quale sono sprofondati per l'impossibilità di sostenere oltre la visione della gloria di Dio, ritrovano Gesù solo. Ma anche nella sua forma terrena Gesù resta il trasfigurato e il trasfigurante perché porta la luce della sua divinità, la luce della presenza del Padre in lui, la luce della sua unione con il Padre. Con lui, anche noi siamo avvolti in questa luce. Questa luce è già in noi anche se non la vediamo ancora.

Siamo benedetti quindi perché anche noi, in Gesù, siamo trasfigurati. Anche noi, grazie alla nostra unione con Gesù, abbiamo ricevuto lo Spirito Santo, che è già resurrezione, è già primizia della vita eterna. Ci è promessa una vita che non finisce, la risurrezione, un corpo che risplende, una relazione senza ostacoli, libera, tra noi, in Cristo, nello Spirito, con il Padre.

Omelia di don Luigi Gioia


Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Quaresima (Anno A) 12 marzo 2017