Celebrazione della Giornata Mondiale dell’Infanzia Missionaria - Morosini: “Riscopriamo, reimmettiamo la legge di Dio in mezzo a noi!

News del 06/01/2017 Torna all'elenco delle news

Nel cuore del tempo di Natale, in cui contempla il mistero di Dio che si fa Bambino, la Chiesa celebra la Giornata Mondiale dell’infanzia missionaria. Ed essa coincide con la Solennità dell’Epifania, proprio perché quel Dio Bambino adorato dai Magi nella grotta di Betlemme si manifesta, attraverso di essi, a tutti i popoli. Le figure di questi primi missionari, di questi primi cercatori di Dio e primi credenti, tratteggiate dal Vangelo, invitano tutti a fare della propria vita un cammino,  a seguire quella stella che ci porta alla fonte della salvezza, Gesù Cristo. Ma rappresentano anche l’inizio della missione che ogni cristiano è chiamato a compiere partendo da quella grotta, indicano, dopo aver fatto esperienza di quella Luce, il cammino dell’annuncio che segue quello della ricerca.

Attraverso le parole dell’apostolo Paolo, figura emblematica della testimonianza cristiana, e proprio da quella Cattedrale dove la prima fiaccola della predicazione cristiana è stata accesa dall’apostolo delle genti, l’arcivescovo Morosini nella Celebrazione della Solennità dell’Epifania, ha introdotto la sua omelia sottolineando come “da sempre la festa dell’Epifania ha avuto questo intento particolare, di far riflettere la comunità cristiana su questo impegno di Paolo che continua ancora oggi nella vita della chiesa”. Trasmettere a tutti gli uomini il messaggio che “Gesù, il figlio di Dio fatto uomo, che è venuto a manifestarci l’amore del Padre e a rivelarci il volto del Padre , è l’unico salvatore del mondo,  per cui tutti i popoli, tutte le genti sono chiamate ad entrare a far parte di questa famiglia, ad essere seguaci di Cristo”.  Questo compito, che “la Chiesa ha sempre sentito e per il quale ha impegnato le energie più grandi” si manifesta efficacemente nell’opera dei suoi missionari, che incarnano questo ministero con la propria vita, e che – ha ribadito l’arcivescovo – “ci danno il senso di questa universalità della fede”. 

Segno visibile di questa azione missionaria della Chiesa la presenza in Cattedrale di due padri scalabriniani e di un loro confratello, venuto dal Vietnam, che ha servito all’altare, con la comunità della  Parrocchia dei SS. Filippo e Giacomo in S. Agostino, da loro curata, insieme ad una rappresentanza dei vari gruppi etnici che vivono nella città di Reggio. E’ stata l’occasione per padre Giuseppe per puntualizzare, con le sue indicazioni di vescovo, due aspetti cruciali della vita di fede che, in una società ed in una città sempre più multirazziale e multiculturale, dove si incrociano religioni diverse, diventano emergenti, ma rispetto ai quali spesso si insinuano dubbi e confusione. 

Innanzitutto il tema del rispetto: “Oggi la cultura mondiale insiste sul rispetto che dobbiamo a tutte le persone di qualunque cultura, razza, religione, e noi questo lo riaffermiamo, nella consapevolezza che qualche volta, storicamente, i cristiani hanno compiuto anche qualche errore nell’imporre la fede. Però il rispetto che noi dobbiamo alla cultura e alla religione che altri professano non vuol dire essere dispensati dal’annuncio che Cristo è l’unico salvatore del mondo”. Rispettare “i fratelli che vengono qui in mezzo a noi e hanno altre religioni”, garantire la libertà di esprimere il loro culto, impegna ancora di più il cristiano a dare testimonianza a “partire sempre da quel mandato di Cristo: annunziate il Vangelo a tutte le genti”, ma soprattutto “a vivere come Cristo, perché oggi questo vuol dire per noi annunciare”. “Rispettate ma annunziate”, dunque, la prima indicazione  dell’arcivescovo, che ha precisato: “Certamente a questo atto di fede bisogna arrivare, a Gesù bisogna condurre prendendo per mano”, invitando i fedeli ad approfondire questo concetto leggendo, al ritorno a casa, il capitolo 3 della prima lettera di S. Giovanni, dove si dice chiaramente che quando Gesù parla del suo comandamento nuovo, esso non sta semplicemente nell’amare, ma “nell’amare come Dio ci ha amati, cioè dando la vita: questa è la novità cristiana, e questo è il grande annuncio di fede, che costituisce la salvezza per l’umanità”.

E quello della salvezza è il secondo aspetto che l’arcivescovo ha voluto mettere a fuoco, come “mistero dell’accettazione o del rifiuto della legge di Dio”. Il benessere umano, sociale, familiare – ha spiegato l’arcivescovo - noi credenti lo costruiamo e lo difendiamo se all’interno della vita immetteremo il Vangelo di Gesù Cristo”. “Proviamo a guardarci attorno: tanti mali l’uomo li costruisce perché si allontana dalla legge di Dio”. Ecco la radice della violenza che imperversa nella cronaca quotidiana: “i delitti contro le donne che avvengono all’interno delle famiglie, i delitti a sfondo sessuale,  la violenza criminale da cosa dipendono se non dal fatto che abbiamo rinnegato la legge di Dio, mettendola alla porta?”. Ed a nulla serve, ha fortemente precisato, cercare di “riparare i mali negando che alcune cose siano male e cercando di acquisirle come bene”, riferendosi all’uso delle droghe leggere da liberalizzare per frenare  la criminalità o lo spaccio delle droghe pesanti, come se l’uso di queste non fosse ugualmente nocivo, e all’educazione alla sessualità dei ragazzi da parte della famiglia. Temi di forte impatto, su cui l’arcivescovo torna sempre, temi fondamentali per la costruzione di una società e di una città da padre Giuseppe fortemente voluta come sintesi tra il credere ed il fare, tra il Vangelo di Cristo e la vita.

“Riscopriamo, reimmettiamo la legge di Dio in mezzo a noi”: è questo l’invito con cui padre Giuseppe conclude la sua omelia, formulandolo come augurio e come auspicio per tutti, “proprio davanti a quel Bambino che noi oggi riconosciamo come salvatore del mondo”, proprio come i Magi primi cercatori e testimoni della Luce di Dio, perché “ogni volta che noi spegniamo questa luce che ci viene dal Signore, siamo smarriti tutti e rischiamo di essere vittime di quel mistero di iniquità che pervade purtroppo  tutta la terra. Lo sforzo che faremo per riaccendere queste luci, per reimmettere la luce del Vangelo, la luce che ci viene da Cristo, nella nostra società, ci darà la garanzia che la nostra società sarà sicuramente una società migliore!”.

di Antonia Cogliandro