15 gennaio 2017 - II Domenica del Tempo Ordinario: Vedere e testimoniare Cristo
News del 14/01/2017 Torna all'elenco delle news
Dopo il periodo di Avvento e di Natale, conclusosi con la festa del battesimo del Signore, continuiamo il nostro cammino spirituale, da un punto di vista liturgico, per realizzare la nostra personale santificazione, nel contesto della vita della comunità dei credenti. Come assemblea convocata per rendere lode al Signore, siamo chiamati ad ascoltare la sua parola e renderla efficace nella vita di tutti i giorni, rispondendo con intenso amore a ciò che il Signore ci chiede e si aspetta da noi. In questa seconda domenica del tempo ordinario, questa parola ci interpella di vari aspetti della nostra vita.
La prima lettura, tratta dal profeta Isaia, che ci sta accompagnando nella riflessione in tutti questi mesi, si concentra nuovamente sulla persona del Messia, presentato qui come luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino agli estremi confini della terra. Cristo Signore, infatti, è venuto a portare la salvezza, vera ed eterna, a tutti i popoli della terra. Nessuno è escluso da questo progetto di redenzione centrato sulla figura dell'unico messia atteso dai secoli e identificato su Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio, venuto sulla terra per portare luce e giustizia ovunque manchi l'una e l'altra realtà. Che questo progetto sia stato pienamente realizzato, sappiamo benissimo che non è così. La risposta dell'uomo all'amore gioioso e misericordioso di Dio è stata parziale e ancora, oggi, a distanza di 2017 dell'era cristiana siamo alla ricerca di soluzioni di problemi di verità e giustizia di cui l'umanità ha sempre avuto bisogno e che ora maggiormente ne avverte l'urgenza per i tanti drammi che si vivono in un mondo lacerato da guerre e divisioni senza quartiere e frontiere. A questo tema della giustizia da difendere e da estendere fa riferimento anche il Salmo 39 nel quale leggiamo parole come queste, che ci spingono nella direzione giusta ad operare per il bene di tutti: Ho sperato, ho sperato nel Signore, ed egli su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo, una lode al nostro Dio". Ed aggiunge: "Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai".
Il Vangelo di questa domenica, con una versione più soggettiva ed individualizzata nella forma della testimonianza diretta di Giovanni Battista, ritorna su Gesù, il Messia atteso, l'Agnello sacrificale che offre la sua vita in riscatto dell'umanità. Giovanni Battista, in questo brano del vangelo, tratto dall'evangelista Giovanni, ci conferma, meditante la sua testimonianza oculare che in Gesù Cristo, nel momento del battesimo al Giordano, egli ha "contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui". Ed aggiunge: "Ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Vedere e testimoniare, sono i due verbi e le due azioni su cui concentrarsi per rendere efficace la nostra vita in Cristo. Se non abbiamo gli occhi della fede difficilmente possiamo vedere in Gesù Cristo chi effettivamente è, cioè il salvatore, redentore e il Figlio di Dio. Chi non ha occhi di fede limpida e vera, vede in Gesù altra persona o personaggio, non coglie l'essenza della sua missione e del suo venire ed essere nel mondo. Dal vedere scaturisce la testimonianza. Non a caso anche nella giurisprudenza di tutti i tempi i testimoni oculari, quelli che sono presenti ai fatti, sono quelli più credibili, in quanto sono i diretti trasmettitori della notizia e del fatto verificatosi. Giovanni che battezzava nel Giordano, nel momento in cui ha amministrato il battesimo di penitenza a Gesù ha visto quello che realmente è successo e ha reso la testimonianza di quel fatto, ma soprattutto, proprio convinto della figura di Gesù, l'Agnello di Dio, ha poi reso a Lui la testimonianza suprema con il martirio. E su questa scia di testimonianza e di martirio che si colloca anche il breve brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi, in cui Paolo si classifica "come apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio", e si rivolge con parole certe ai cristiani "che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata, insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro", con il saluto ben noto alla cristiani e che fa parte della liturgia della messa, utilizzato per rivolgersi ai fedeli: "grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo!".
E facendo tesoro di questi testi biblici di portata universale, ci rivolgiamo al Signore con queste parole di orazione: "O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo".
Portatori e annunciatori di gioia e speranza, questi sono i veri cristiani di ogni tempo e soprattutto lo devono essere quelli del nostro tempo. Non può essere un vero cristiano chi annuncia morte e disperazione e non sa portare segni di vita e di vitalità, oltre che di speranza nel proprio cuore e in quello dei propri fratelli nel Signore e in umanità.
Omelia di padre Antonio Rungi
Un agnello inerme, ma più forte di ogni Erode
Giovanni vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Un'immagine inattesa di Dio, una rivoluzione totale: non più il Dio che chiede sacrifici, ma Colui che sacrifica se stesso.
E sarà così per tutto il Vangelo: ed ecco un agnello invece di un leone; una chioccia (Lc 13,31-34) invece di un'aquila; un bambino come modello del Regno; una piccola gemma di fico, un pizzico di lievito, i due spiccioli di una vedova. Il Dio che a Natale non solo si è fatto come noi, ma piccolo tra noi.
Ecco l'agnello, che ha ancora bisogno della madre e si affida al pastore; ecco un Dio che non si impone, si propone, che non può, non vuole far paura a nessuno.
Eppure toglie il peccato del mondo. Il peccato, al singolare, non i mille gesti sbagliati con cui continuamente laceriamo il tessuto del mondo, ne sfilacciamo la bellezza. Ma il peccato profondo, la radice malata che inquina tutto. In una parola: il disamore. Che è indifferenza, violenza, menzogna, chiusure, fratture, vite spente... Gesù viene come il guaritore del disamore. E lo fa non con minacce e castighi, non da una posizione di forza con ingiunzioni e comandi, ma con quella che Francesco chiama «la rivoluzione della tenerezza». Una sfida a viso aperto alla violenza e alla sua logica.
Agnello che toglie il peccato: con il verbo al tempo presente; non al futuro, come una speranza; non al passato, come un evento finito e concluso, ma adesso: ecco colui che continuamente, instancabilmente, ineluttabilmente toglie via, se solo lo accogli in te, tutte le ombre che invecchiano il cuore e fanno soffrire te e gli altri.
La salvezza è dilatazione della vita, il peccato è, all'opposto, atrofia del vivere, rimpicciolimento dell'esistenza. E non c'è più posto per nessuno nel cuore, né per i fratelli né per Dio, non per i poveri, non per i sogni di cieli nuovi e terra nuova.
Come guarigione, Gesù racconterà la parabola del Buon Samaritano, concludendola con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero, una vita più vera e bella? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu guaritore della vita. Lo diventerai seguendo l'agnello (Ap 14,4). Seguirlo vuol dire amare ciò che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, e toccare quelli che lui toccava, e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza. Essere solari e fiduciosi nella vita, negli uomini e in Dio. Perché la strada dell'agnello è la strada della felicità.
Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Io non lo conoscevo
Ecco l'agnello di Dio. Cosa effettivamente abbia detto il Battista vedendo Gesù venire verso di lui non è dato di saperlo, il Vangelo ci dona l'immagine dell'Agnello, assai caro all'evangelista Giovanni che fa coincidere il sacrificio della Croce all'offerta sacrificale degli agnelli per la Pasqua dei giudei. È abbastanza plausibile che l'affermazione del Battista sia più frutto della esperienza pasquale della comunità cristiana che un fatto reale, oltretutto la parola aramaica talià è ambigua e potrebbe indicare sia agnello che servo. Si potrebbe ipotizzare che il Battista avesse l'intenzione di applicare a Gesù l'immagine del Servo di cui ci parla Isaia (Is 42,1-8; 49,1-6; 50,4-9.10; 52,13-53,12), una figura di scelto da Dio che vive pienamente la dimensione del servizio, nell'obbedienza fino alla fine; lascia alla violenza che lo circonda e incombe su di lui di sovrastarlo e umiliarlo ma la sua coerenza è motivo di salvezza.
Il peccato del mondo! Prima ancora di cercare di capire il significato del peccato è opportuno notare l'uso del singolare per superare un certo moralismo che tende a individuare peccati in ogni dove, a scoprirne dimensioni e caratteristiche diverse, a alimentarne la casistica. Non interessano le multiformi manifestazioni quanto la radice stessa del peccato, l'atteggiamento di fondo, l'opzione fondamentale dell'umanità.
Peccato traduce il termine greco hamartia con il significato di errore fatale, fallimento, mancare il bersaglio. È il fallimento dell'umanità di cui il Servo di Dio si fa carico (cfr. Is 53,4) subendone le conseguenze fino alla morte, rispondendo però con un amore talmente pieno da far fallire la morte nel suo intento.
Invece la parola italiana peccato deriva dal latino peccatum che significa violazione, trasgressione, infrazione di una norma stabilita. Si capisce allora come la cultura e l'uso di una lingua possa aver condizionato il senso delle cose. Ancora diverso è il significato del corrispondente ebraico, che appartiene alla cultura dell'evangelista, khata significa smarrirsi, perdere la strada che conduce a Dio. Non possiamo non pensare ai tanti smarriti che il Signore cerca e incontra.
Dovremo domandarci l'origine dei tanti fallimenti del genere umano, dei bersagli mancati e degli obiettivi sbagliati. Perché ci lasciamo dominare dall'egoismo, dal potere sulle cose e sulle persone, dalle strade facili; perché siamo attratti dalla trasgressione nelle piccole e nelle grandi cose perdendo di vista ciò che è buono.
Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12,2).
Gesù è l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Lui ha già fatto tutto quanto era necessario fare. Non c'è da conquistarsi una salvezza tentando di rimanere dentro delle regole o riparare al peccato con penitenze, sacrifici, piuttosto con un nuovo modo di vedere, con un cambiamento di mentalità che ci permette di superare i fatti contingenti e dare un orientamento alla nostra vita. Uno solo è il vero peccato: vivere senza Cristo, e senza il Prossimo, incapaci di lasciarsi amare e di tessere relazioni d'amore. Più che fissarci sui cumuli di peccati che disseminano la vita dovremmo essere affascinati da ciò che ci sta davanti.
Omelia di don Luciano Cantini
Attraversando l'umano
Dobbiamo leggere anche questa seconda domenica con l'attenzione rivolta al manifestarsi di Dio nella vita di un popolo e nella nostra vita...
La prima lettura che abbiamo ascoltato ci dice una volta di più che siamo avvolti da un mistero di piccolezza; quel servo di cui si parla salva il suo popolo. Un servo capite? Non un re forte, potente, ma un servo!
1) È il servo che rivela che Dio è sempre un Dio-con-noi: è il servo che rivela la gloria (ovvero presenza) di Dio; letteralmente il testo in ebraico dice, a proposito del servo: "Nel quale sarò glorificato"; cioè Dio sarà pienamente rivelato da questo piccolo servo e dalla minorità della sua vicenda. Cioè: non malgrado tale piccolezza, ma attraverso di essa noi possiamo cogliere chi sia Dio. grazie alla sua piccolezza è capace di uno sguardo a 360 gradi, di un amore a 360 gradi... sguardo ed amore che sono per il mondo intero.
2) È il servo ad essere luce per le nazioni ? bello andare a Simeone e al suo cantico di lode nel vangelo di Luca: Gesù è luce per illuminare le genti... proprio la piccolezza del servo fino alla croce di Gesù, proprio questa genera la grandezza universale della sua missione.
3) È il servo a portare la salvezza nei posti più lontani e nascosti, fino ai confini della terra
Ci sono da aggiungere due cose importanti: il servo è Israele, è un popolo chiamato a farsi piccolo. Alla luce del vangelo questo servo che ha assunto un senso collettivo è la comunità, è la chiesa, chiamata ad annunciare Gesù senza fare distinzioni; il servo non è un eroe, non è un protagonista solitario... l'efficacia della sua missione è custodita da Dio stesso che si fa incontro all'uomo (anche oggi il vangelo ci ricorda che Dio in Gesù viene verso di noi) e decide di condividere con l'uomo fatica e responsabilità, così come il vangelo di domenica scorsa ci suggeriva: la volontà di Dio è da compiere insieme...
Anche la seconda lettura è un invito a guardare lontano, a guardare oltre, perché c'è un dono che viene fatto all'apostolo, che egli estende ai Corinti, e deve essere esteso a tutti, perché non c'è una santità (questo il termine usato da Paolo) singola, personale, ma di chiesa. Ma quello che mi colpisce è che nel testo greco non c'è: "santi per chiamata" ma piuttosto "chiamati santi"... nel senso che tutto come sempre viene gratuitamente da Dio, è una sua azione precisa il donare e la vita non è come qualcuno potrebbe interpretare uno sforzo etico: ce la farò a diventare santo? Ma piuttosto vivere è accogliere il dono camminando con Gesù e riconoscendo la nostra piccolezza invocando la sua vicinanza.
Trovo anche di grande importanza e consolazione questo insieme a quelli che invocano il nome del Signore perché come dicevo prima, appare ancora più chiaro che non è un cammino personale, da battitori liberi, ma capiamo che siamo parte di una comunità molto più grande
È molto significativo che, terminato il tempo di Natale, all'inizio del tempo ordinario la chiesa ci proponga questa pagina di vangelo, perché questo tempo è propizio per conoscere ed amare Gesù. Giovanni Battista infatti dice: sono venuto a battezzare nell'acqua perché egli fosse manifestato, ovvero fatto conoscere. E Gesù viene fatto conoscere essenzialmente come un Dio vicino, un uomo che viene dopo un altro uomo dice il vangelo di oggi...
Dopo di me viene un uomo... Quante donne e quanti uomini dopo l'uomo Gesù... quante persone si sono spese in famiglia, in parrocchia, sulla strada per far conoscere e amare Gesù... quante donne e uomini oggi dopo l'uomo Gesù, anche nelle nostre chiese, nelle nostre comunità!
Dopo di me viene un uomo... Molto semplicemente siamo spronati a riconoscere il Signore in mezzo a noi, a sentirlo presente, a sentirne la vicinanza e la chiamata. Nella scelta di Dio di incarnarsi c'è una promessa di fedeltà, c'è il riconoscimento della qualità umana come strumento per realizzare la salvezza e il disegno di Dio... è attraverso l'umanità che si compie il cammino che porta Gesù a salvarci e la salvezza è Dio che si abbassa togliendo ogni forma di superiorità e di soggezione....
Ecco il Dio che ci si rivela in Gesù, il Dio che siamo chiamati a conoscere e ad amare: lo possiamo riconoscere là dove non c'è il dominio dell'uno sull'altro (dominio = paura), ma là dove Dio stesso vede nell'altro un compagno cui andare incontro per scioglierlo da ogni paura.
Omelia di don Maurizio Prandi
Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 15 gennaio 2017
tratto da www.lachiesa.it