23 ottobre 2016 - XXX Domenica del Tempo Ordinario: Davanti all'Io o davanti a Dio?
News del 23/10/2016 Torna all'elenco delle news
Domenica scorsa l'invito di Gesù a perseverare nella preghiera. La parabola infatti era sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1). Oggi Gesù invita a verificare l'anima della nostra preghiera e a interrogarsi sulla sua autenticità.
Due uomini salgono al Tempio per pregare. Colpisce subito che la preghiera del fariseo, credente-praticante tipo in Israele, cominci con un grazie a Dio cui segue un immediato inno al proprio io (Lc 18,11-12). E' come uno che ad un banchetto richiama tutti a dire la preghiera prima di cominciare a mangiare; ringrazia Dio per quello che c'è sulla tavola da condividere insieme, ma poi a tutti si affretta a dire: "tutte queste pietanze le ho preparate io!". Inoltre, ma guarda un po', sono il digiuno e la decima di tutto, cioè offerte da fare a Dio, l'oggetto discriminante tra lui e gli uomini che lo circondano, tutti dei poco di buono, compreso quel disgraziato di pubblicano che gli sta alle spalle. In realtà quest'uomo non parla con Dio, perché davanti ha un altro Dio come interlocutore: il proprio io. Il suo è un monologo, non un dialogo. Notate bene: stando in piedi. C'è una vita di fede che non sta in piedi, ma che si ostenta stare in piedi. Nel nome dell'osservanza della legge di Dio, ci si rende protagonisti del bene che si fa dimenticando ciò che fa lievitare le opere della autentica fede: nascondimento e umiltà.
Il pubblicano, figura di uomo notoriamente deprecato dall'autorità religiosa, non riesce nemmeno ad avvicinarsi e ad alzare gli occhi al cielo, ma si riconosce semplicemente e sinceramente peccatore (Lc 18,13). Gesù dice che costui torna a casa giustificato da Dio mentre l'altro no: per Dio quel giusto non è affatto giusto! Il che vuol dire che il pubblicano invece aveva davanti a sé il Dio vivo e vero, Colui che giustifica l'uomo che riconosce la propria verità. Perché la verità è principio di umiltà, e né l'una né l'altra sono nella natura umana. Perciò il Signore aggiunge alla fine che è necessaria all'uomo l'umiliazione (Lc 18,14).
Dalla parabola, quale insegnamento per il nostro cammino nella preghiera? Sembra che il vero peccato per Dio sia quello del fariseo, ovvero quello che ci si nasconde accuratamente dietro una falsa immagine di bontà. La vera preghiera, in quanto incontro con il vero Dio, ha questo passaggio necessario: fa uscir fuori la verità del mio cuore. Mi fa vedere il mio peccato e mi unisce a tutti gli uomini facendomeli vedere per quello che sono: sono peccatori, ma sono miei fratelli! Diversamente, mi porta a guardarmi e a cercare me stesso nelle opere di bene fatte magari con tanto sacrificio, ma contrapponendomi e distinguendomi dagli altri uomini. Quest'ultima preghiera (se si può chiamare tale) non spicca nemmeno il volo, rimane nell'illusione di chi parla così tra sé (Lc 18,11).
La grazia allora da chiedere davanti a questo vangelo è di riconoscere il fariseo che è in me! Perché se il pericolo di costui era dire al Signore ti ringrazio che non sono come quei peccatori, per noi cristiani invece il pericolo è dirgli ti ringrazio perché non sono come quel fariseo.
Fu chiesto da un giovane a un monaco padre del deserto: cos'è l'umiltà? Quegli rispose: L'umiltà è un opera grande, anzi, è un opera divina. La strada che conduce all'umiltà è la seguente: bisogna pregare, bisogna compiere lavori corporali, bisogna considerarsi uomini peccatori, bisogna sottomettersi a tutti. Allora quel giovane aggiunse: e che cosa vuol dire essere sottomesso a tutti? Il vecchio replicò: uno è sottomesso a tutti quando non bada ai peccati degli altri, ma piuttosto osserva i suoi supplicando ininterrottamente Dio (A.Grün, Il cielo comincia in te, Queriniana, p.29).
Un giorno il Signore Gesù disse a S.Maria Faustina Kowalska: ci sono anime per le quali non posso fare nulla. Sono le anime che spiano continuamente quello che fanno le altre e non sanno quello che avviene nell'intimo del proprio cuore...Povere anime che non ascoltano le mie parole! Restano vuote nel loro intimo perché non mi cercano all'interno del proprio cuore, ma nei pettegolezzi e nei giudizi degli altri, dove io non ci sono mai. Sentono il loro vuoto, ma non riconoscono la loro colpa; e così le anime dove io regno costituiscono per loro un rimorso insopportabile di coscienza (Sr.Maria Faustina Kowalska, Diario, VI quaderno parte 2, LEV).
Il cammino della preghiera è il cammino dell'umiltà di chi si sta conoscendo mentre sta conoscendo Colui che gli dona di conoscersi.
Omelia di don Giacomo Falco Brini
L'«ego» del fariseo e il «cuore» del pubblicano
Due uomini vanno al tempio a pregare. Uno, ritto in piedi, prega ma come rivolto a se stesso: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, impuri...».
Inizia con le parole giuste, l'avvio è biblico: metà dei Salmi sono di lode e ringraziamento. Ma mentre a parole si rivolge a Dio, il fariseo in realtà è centrato su se stesso, stregato da una parola di due sole lettere, che non si stanca di ripetere, io: io ringrazio, io non sono, io digiuno, io pago. Ha dimenticato la parola più importante del mondo: tu. Pregare è dare del tu a Dio. Vivere e pregare percorrono la stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di un tu, un amore, un sogno o un Dio, in cui riconoscersi, amati e amabili, capaci di incontro vero.
«Io non sono come gli altri»: e il mondo gli appare come un covo di ladri, dediti alla rapina, al sesso, all'imbroglio. Una slogatura dell'anima: non si può pregare e disprezzare; non si può cantare il gregoriano in chiesa e fuori essere spietati. Non si può lodare Dio e demonizzare i suoi figli. Questa è la paralisi dell'anima.
In questa parabola di battaglia, Gesù ha l'audacia di denunciare che la preghiera può separarci da Dio, può renderci "atei", mettendoci in relazione con un Dio che non esiste, che è solo una proiezione di noi stessi. Sbagliarci su Dio è il peggio che ci possa capitare, perché poi ci si sbaglia su tutto, sull'uomo, su noi stessi, sulla storia, sul mondo (Turoldo).
Il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, ci insegna a non sbagliarci su Dio e su noi: fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore».
C'è una piccola parola che cambia tutto nella preghiera del pubblicano e la fa vera: «tu». Parola cardine del mondo: «Signore, tu abbi pietà». E mentre il fariseo costruisce la sua religione attorno a quello che egli fa per Dio (io prego, pago, digiuno...), il pubblicano la costruisce attorno a quello che Dio fa per lui (tu hai pietà di me peccatore) e si crea il contatto: un io e un tu entrano in relazione, qualcosa va e viene tra il fondo del cuore e il fondo del cielo. Come un gemito che dice: «Sono un ladro, è vero, ma così non sto bene, così non sono contento. Vorrei tanto essere diverso, non ce la faccio, ma tu perdona e aiuta».
«Tornò a casa sua giustificato». Il pubblicano è perdonato non perché migliore o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l'umiltà), ma perché si apre - come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento - si apre alla misericordia, a questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza, la sola forza che ripartorisce in noi la vita.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Chi si umilia sarà esaltato
Ottobre è il mese che la Chiesa dedica alla missione: è necessario continuare ad evangelizzare, ripetendo che ogni uomo, nessuno escluso, non è ?totalmente uomo', creatura di Dio, se non è illuminato e sostenuto dalla stupenda verità che Gesù ha condiviso con i Suoi, cioè la Buona Novella del Vangelo: siamo tutti amati dal Padre e Lui attende il nostro amore, una verità che deve diventare esperienza di vita. In questo mese è doveroso pensare ai tanti nostri missionari che senza badare ai sacrifici, condividendo la povertà di tanti,, mettendo in conto il pericolo di sacrificare la vita, portano l'amore di Dio in terre lontane e spesso pericolose. Ma proprio il ricordarli ci deve spingere ad altrettanta generosità, iniziando la missione evangelizzatrice nelle nostre famiglie, nelle comunità, ovunque.... senza false paure, ma anche seguendo la via maestra per diventare portatori della Gioia del Vangelo, facendone partecipi i nostri fratelli - vera essenza della missione - e cioè l'umiltà: "CHIUNQUE SI ESALTA SARÀ UMILIATO E CHI SI UMILIA SARÀ ESALTATO"
La Parola di Gesù nel Vangelo di questa domenica è diretta a noi, Suoi discepoli, che viviamo in un tempo in cui si assiste alla voglia sfrenata di mettersi in mostra, di ?contare', senza più la capacità di ?guardarsi dentro' e riconoscere il ?poco' che siamo. Sembra ripetersi all'infinito, nella storia dell'uomo, la tentazione che in origine portò i nostri progenitori a disobbedire a Dio, per... diventare come Lui. Si è persa in troppi la misura della propria condizione di semplice creatura, per cui si fa di tutto per ?sentirsi onnipotenti'.... senza più pensare che è ben altra la ?vera immagine divina', che dobbiamo coltivare dentro di noi e davanti agli occhi di Dio. Così oggi Dio ci parla attraverso il Libro del Siracide: "Il Signore è giudice e per Lui non c'è preferenza di persone. Non è parziale a danno del povero e ascolta la preghiera dell'oppresso. Non trascura la supplica dell'orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi la soccorre è accolto con benevolenza, la sua preghiera arriva fino alle nubi. La preghiera del povero attraversa le nubi né si quieta finché non sia arrivata; non desiste finché l'Altissimo non sia intervenuto e abbia reso soddisfazione ai giusti e ristabilito l'equità". (Sir. 35, 15b-17.20-22a)
Più una persona è davvero interiormente "grande" e più è davvero umile, non si dà arie, ma anzi ha la netta percezione di essere l'ultimo... e per questo il Cuore del Padre ha un debole per lei! Quanta gente umile, che non ha mostrato la sua importanza o posizione, ho avuto modo di conoscere ed ammirare. La loro modestia, questo quasi sentirsi inferiori a tutti, li corazzava di un grande silenzio, che però illuminava, senza che loro stessi se ne accorgessero. Gesù, oggi, evidenzia con chiarezza i due atteggiamenti dell'umile e del superbo. Tutto nel fariseo indica una sorta di colloquio alla pari con Dio: la posizione eretta del corpo, e soprattutto la preghiera snocciolata tra sé e sé, come incensasse...se stesso! Quest'uomo non solo non sta pregando Dio, ma potremmo dire che... non sta proprio pregando!!! Semplicemente sta esaltando se stesso a se stesso, s'inchina all'idolo della sua presunta giustizia: il suo io. Si autoconvince della propria ?superiorità'. Un quadro che sa di molto narcisismo. Ben diverso è l'atteggiamento del pubblicano: il suo quasi non osare di alzare gli occhi al cielo e le scarne parole, in cui vi è tutta la consapevolezza di essere peccatore, quindi... nessuno!
Ma è proprio questa preghiera che commuove il Cuore di Dio. Diceva il nostro caro e beato Paolo VI: "Non abbiamo la sapienza - e si chiama umiltà - di chiamarci creature. Perciò manchiamo di capacità e spesso di volontà di riconoscere la trascendenza divina che darebbe a tutto il nostro pensiero la visione della proporzione, dei valori, la voglia di pregar e sperare, la gioia vera di vivere. Noi parliamo di noi stessi come fossimo padroni della nostra vita e non soltanto responsabili del suo impegno... Siamo egoisti e perciò orgogliosi e presuntuosi. Se avessimo il senso delle proporzioni vere e totali del nostro essere, avremmo maggiore entusiasmo di ciò che siamo realmente. La piccolezza nostra e la grandezza di Dio formerebbero i poli del nostro pensiero e, sospesi tra il nulla della nostra origine e il tutto del nostro fine, comprenderemmo qualche cosa del grande e drammatico poema della nostra vita". (15-08-1957)
Meditando sulla grande virtù dell'umiltà, sfilano nei ricordi della mia vita tanti esempi di grandi santi, la cui grandezza appariva proprio dalla loro semplicità. Voglio solo ricordare uno degli incontri con Santa Madre Teresa di Calcutta. Un giovane, ammirato dalla sua notorietà, le chiese press'a poco così: Madre, cosa si sente nel vedersi ammirata per la sua grandezza spirituale?. "Mi sento quello che veramente sono davanti a Dio, un nulla. Quello che opero non sono mie opere, ma Sue. Io sono solo la matita tra le mani di Dio, di cui Lui si serve per compiere grandi cose'. Era come risentire il cantico di Maria SS.ma, nella sua visita a S. Elisabetta, dopo l'annuncio dell'Angelo, chiamata a essere madre del Figlio di Dio: "Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva, Santo è il Suo Nome".
Come ha detto Papa Francesco in un'Udienza Generale, spiegando proprio questa parabola, ricordiamo che "non basta domandarci quanto preghiamo, dobbiamo anche chiederci come preghiamo, o meglio, com'è il nostro cuore: è importante esaminarlo per valutare i pensieri, i sentimenti, ed estirpare arroganza e ipocrisia... dobbiamo pregare ponendoci davanti a Dio così come siamo. Siamo tutti presi dalla frenesia del ritmo quotidiano, spesso in balìa di sensazioni, frastornati, confusi.
È necessario imparare a ritrovare il cammino verso il nostro cuore, recuperare il valore dell'intimità e del silenzio, perché è lì che Dio ci incontra e ci parla. Soltanto a partire da lì possiamo a nostra volta incontrare gli altri e parlare con loro... Nella vita chi si crede giusto e giudica gli altri e li disprezza è un corrotto e un ipocrita. La superbia compromette ogni azione buona, svuota la preghiera, allontana da Dio e dagli altri. Se Dio predilige l'umiltà non è per avvilirci: l'umiltà è piuttosto condizione necessaria per essere rialzati da Lui, così da sperimentare la misericordia che viene a colmare i nostri vuoti. Se la preghiera del superbo non raggiunge il cuore di Dio, l'umiltà del misero lo spalanca.
Dio ha una debolezza: la debolezza per gli umili. Davanti a un cuore umile, Dio apre totalmente il suo cuore... Ci aiuti lei, la nostra Madre, a pregare con cuore umile. E noi, ripetiamo per tre volte, quella bella preghiera: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Così sia!
Omelia di mons. Antonio Riboldi
Liturgia e Liturgia della Parola della XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 23 ottobre 2016
tratto da www.lachiesa.it