La strada di Giovanni Battista per incontrare Cristo

News del 05/12/2009 Torna all'elenco delle news

La seconda domenica di Avvento già mette davanti a noi una figura esemplare per preparare la strada al Signore che viene nuovamente a noi nel mistero del Natale di quest'anno.
E' la figura carismatica, coraggiosa, leale e trasparente di Giovanni Battista, il precursore di Cristo.
Egli ci indica tre modalità per incontrare Cristo ben preparati: il deserto, la conversione e l'annuncio.
Si sa che il deserto indica il luogo della solitudine e della penitenza, come pure della preghiera e della riflessione. Non ci può essere vera preparazione al Natale se non ritirandoci in noi stessi non per vivere una sorta di solitudine e di emarginazione, né un modo per rompere i vincoli con il mondo intero e vivere nell'individualismo, ma è un tempo per riflettere, pregare, stare di più con noi stessi, lontani dalle nostre mille occupazioni quotidiane che fanno perdere il senso della vita e il giusto orientamento verso Dio. Certamente noi non lasceremo le nostre case e andremo via lontano dalle nostre famiglie ed attività, ma un tempo di ritiro spirituale, di vero deserto come silenzio, riflessione e meditazione ci farebbe bene anche durante questo Avvento.
L'altra e non minore cosa da fare è quella di mettersi in uno stato di conversione. E quando parliamo di conversione indichiamo il cambiamento radicale di un modo di pensare ed agire. Spesso l'orgoglio, la superbia, ma anche il vuoto esistenziale non possono che ostacolare il nostro andare verso Cristo e verso gli altri. Preparare il nostro Natale annuale significa rivedere seriamente il nostro modo di vivere in netta opposizione con quanto il Natale porta con se.
La terza e ultima modalità è quella dell'annuncio, della missione. Il cristiano che si è convertito ed è toccato dalla grazia di un incontro con Cristo non ha più paura di parlare di Lui. Lo grida forte anche nel deserto dell'immoralità e dell'arroganza, della perdita del senso di Dio e della fede, della carenza dei valori fondamentali dell'etica e della vita sociale. Il messaggio di Cristo deve essere annunciato, anche se questo ci costa il sacrificio della testimonianza coraggiosa, come quella del Precursore. Tutti elementi di un itinerario di fede che è possibile fare mettendosi alla scuola del grande maestro di vita che è Giovanni Battista.

Il vangelo tratto da Luca, è molto chiaro e comprensibile. Questo battesimo di conversione lo dobbiamo nuovamente sperimentare nella nostra vita in questo tempo di preparazione al Natale del Signore. Una conversione che trova il suo naturale sbocco e realizzazione nel vivere la carità, nel condividere la carità, nel sentirsi corresponsabili del bene della comunità dei credenti, nel realizzare quel progetto di santificazione mediante il quale anche l'intero organismo ecclesiale ne beneficia, in quanto noi con la nostra vita santa diamo una mano a rendere più santa la Chiesa.

San Paolo Apostolo, nella seconda lettura di questa domenica, tratta dal Lettera ai Filppesi è molto preciso nell'indicare il percorso che, anche in questo caso, siamo chiamati a fare nella piena adesione a Cristo, nostro Salvatore: possiamo dire che il tempo dell'attesa è tempo di crescita nell'amore e quanto più amore incameriamo dentro il nostro cuore più l'incontro con il Signore sarà splendidamente bello e rassicurante per noi, quasi a venire a confermare in noi quello che abbiamo realizzato man mano non senza sacrifici e difficoltà, non senza ricadute e debolezze, non senza promesse fatte e non mantenute. Tutto questo è possibile realizzare con maggiore sicurezza se diamo spazio nella nostra vita alla preghiera.

Strettamente connessa alla carità è la virtù della speranza. L'avvento è tempo di speranza nel senso più vero e pieno del termine. Si spera nella salvezza che non è una chimera, né un'illusione, ma certezza assoluta in quanto il Cristo annunciato da secoli viene, nel mistero dell'Incarnazione a realizzare tutte le promesse fatti ai padri di Israele e ai loro discendenti e comunicate al popolo eletto mediante l'autorevole voce dei profeti.

Baruc, nel brano della prima lettura, ci esprime esattamente quello che è la speranza in senso cristiano che mira ad una persona ben precisa che è il Messia e Salvatore. Il Signore che viene a noi nel mistero del Natale deve portare solo gioia, deve eliminare dalla nostra vita ogni velo di malinconia, tristezza, depressione e male di vivere. Solo chi si lascia guidare da una fede vera e sicura in Cristo potrà assaporare la vera gioia di questo incontro annuale con il Signore nel Santo Natale che ci apprestiamo a vivere e a sentire maggiormente man mano che ci avviciniamo alla grande solennità. Temi come la pace, la giustizia, la gioia, la serenità del cuore sono raccordati in modo inscindibile con il Natale. Non sperimentare queste e non viverle nel periodo di attesa e preparazione significa non prepararsi in modo adeguato al Natale.

Sia quindi questa la nostra umile preghiera che vogliamo innalzare al Signore, facendo tesoro dell'insegnamento che ci viene da Giovanni Battista:

"O Dio grande nell'amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia, e preparaci a celebrare con fede ardente la venuta del nostro salvatore, Gesù Cristo tuo Figlio. Amen". 
 

Testo di padre Antonio Rungi

 

La Parola di Dio venne su Giovanni nel deserto

Il brano del Vangelo di Luca che la Liturgia della seconda domenica di Avvento ci presenta (Lc.3,1-6), è come il portale di ingresso per la presentazione del lieto annuncio della salvezza operata da Gesù di Nazareth per tutta l'umanità. Immediatamente facciamo la conoscenza di Luca scrittore raffinato, preoccupato di collocare l'evento di Gesù nella storia, per farci comprendere che egli non vuole farci conoscere una teoria, insegnarci una filosofia, comunicarci una dottrina di salvezza, ma farci incontrare una persona precisa che è entrata nella storia dell'umanità e con il dono totale di sé, l'ha salvata. L'intenzione fondamentale di Luca è di annunciarci che la Salvezza è entrata nella storia umana e, come scrive il Papa, mostrarci che "all'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva". Con il brano che oggi leggiamo, Luca ci prende per mano e comincia a guidarci verso l'incontro con Cristo, perché anche per noi accada l'evento che ci cambia la vita: Cristo è una persona precisa venuta nella storia, desiderata dall'umanità, preannunciata dai profeti, indicata da Giovanni il Battista, egli ha dato se stesso fino alla morte, è risuscitato per poter incontrare ogni uomo nello scorrere del tempo e donargli il suo Spirito.

Lc.3,15 ci avverte che "tutto il popolo era in attesa": il popolo di Israele a cui Luca si rivolge è attraversato da tanti motivi di crisi e da una crescente attesa "messianica", attende che venga qualcuno che restauri la indipendenza politica ormai perduta. Lo stesso clima di attesa Luca lo percepisce presente nella situazione generale del suo tempo: ci sono momenti della storia nei quali tutto sembra essersi esaurito e l'umanità, stanca, entra in uno stato di attesa.

Luca ci dice esattamente la data, i luoghi, i personaggi del quadro che vuole descriverci.

"Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare…": il quadro ha un'ampiezza universale, siamo nel 27 o 28 d.C. Il quadro poi si restringe alle regioni della Giudea, della Galilea, e a tre regioni non giudaiche, Iturea, Traconitide, Abilene e ai personaggi politici ad esse preposte: in modo sintetico e certamente non esaustivo, Luca ci avverte che ciò di cui vuole parlare riguarda sia i giudei che i pagani, e la salvezza, che lui che proviene dal paganesimo ha sperimentato, è offerta a tutti gli uomini senza nessuna preclusione. Luca nomina poi i personaggi religiosi Anna e Caifa', con la formula curiosa "sotto il sommo sacerdote (al singolare)": in realtà solo uno doveva essere il sommo sacerdote in carica, Anna lo era stato dal 6 al 15 d.C. e Caifa suo genero dal 18 al 36 d.C.: unendoli in una forma anomala, forse Luca vuole alludere al fatto singolare che Anna ha continuato ad esercitare un grande influsso su Caifa (anche nel momento della passione di Gesù). Se Luca si sofferma così a lungo su questo sincronismo è certamente perché vuole insistere sulla dimensione storica della salvezza, e vuole educare i suoi lettori di ogni tempo a guardare alla storia con gli occhi disincantati del realismo: la storia che egli descrive è il dipanarsi di eventi segnati dall'arroganza del potere politico romano, dal cinismo e dalla crudeltà del potere provinciale, dagli intrighi del potere religioso. In questo contesto si comprende l'osservazione di Luca: "tutto il popolo era in attesa", in una atmosfera pesante, il popolo aspetta chi lo aiuti ad alzare il capo, gli infonda speranza.

E in questo orizzonte cupo, irrompe l'imprevedibile luce che viene dall'alto e che rinnova la storia: "ci fu una parola di Dio su Giovanni, il figlio di Zaccaria, nel deserto". All'attesa della gente risponde la Parola di Dio: la Parola di Dio in tutta l'opera di Luca, Vangelo e Atti degli Apostoli, si manifesta come il vero soggetto capace di dare un senso nuovo alla storia. La Parola di Dio chiede di essere ascoltata, accolta, chiede di diventare carne in persone che da essa si lasciano rigenerare. Qui "la Parola di Dio è su Giovanni", che diventa il profeta, il servo della Parola, colui che rinunciando ad ogni protagonismo, impara a lasciarsi afferrare totalmente da essa. E Luca sottolinea che Giovanni è "il figlio di Zaccaria", il sacerdote: eppure egli si è allontanato dal Tempio, il luogo nel quale gli uomini rischiano di voler rinchiudere Dio. La Parola di Dio lo raggiunge "nel deserto", il luogo della solitudine, della povertà, del nulla, dove Dio solo è presente e fa ascoltare la sua voce, il luogo dove il popolo di Dio riprende il suo cammino verso la libertà. Giovanni, ricco soltanto della Parola, diventa l'annunciatore itinerante (Lc.3,18 lo descrive come l'evangelizzatore, colui che porta il lieto annuncio che dà forza al popolo) di una "mentalità nuova" (la conversione) che fa rinascere gli uomini, liberi dalla schiavitù del peccato.

E in Giovanni risuona per il popolo la profezia che da alcuni secoli taceva in Israele e con la profezia ritorna la speranza, la gioia di una vita rinnovata. La voce di Isaia nella quale Dio parla al suo popolo, torna a gridare per bocca di Giovanni: "Voce di uno che grida nel deserto…"

Leggendo oggi questa pagina di Luca nella Liturgia, torna a risuonare per noi la parola di Giovanni e dell'antico Isaia, la parola profetica, eco della Parola di Dio: "Nel deserto della nostra vita triste, una voce grida: è una voce di speranza. Preparate le vie del Signore…, ogni burrone sarà riempito…le vie tortuose diverranno diritte…Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio".

Ma siamo noi cristiani, oggi, veramente in attesa. per poter ascoltare la voce piena di speranza che grida nel nostro deserto? Forse corriamo il grande rischio di lasciarci schiacciare dalle potenze che ci rattristano, o di illuderci di poterle vincere seguendo le loro stesse logiche: solo la freschezza della Parola profetica può risvegliarci e riaccendere le nostre speranze. 

Testo di mons. Gianfranco Poma

tratti da www.lachiesa.it