24 luglio 2016 - XVII Domenica del Tempo Ordinario: «Padre», la parola migliore con cui stare davanti a Dio
News del 23/07/2016 Torna all'elenco delle news
Tema di oggi, in tutte e quattro le letture, è la preghiera: che non è quella misera cosa cui spesso viene ridotta, quando si limita a presentare un elenco di richieste, seguito dalla delusione di non vederle accolte. Pregare è ben altro!?!
Anzitutto, la preghiera dovrebbe scaturire dalla consapevolezza di quanto già abbiamo ricevuto, senza neppure chiederlo. Lo richiama la seconda lettura (Colossesi 2,12-14): "Sepolti con Cristo nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede... Con lui, Dio ha dato la vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe". Consapevoli di questo e degli altri doni ricevuti, viene spontaneo ringraziare, come suggerisce il Salmo 137, usato oggi come responsoriale: "Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore... Rendo grazie al tuo Nome, per il tuo amore e la tua fedeltà... Signore, il tuo amore è per sempre!"
La preghiera, poi, non dovrebbe essere egoistica. Lo ricorda la prima lettura (Genesi 18,20-32), con l'episodio di Abramo che intercede per Sodoma e Gomorra, le città peccatrici che stanno per essere distrutte. Dio cede alla richiesta, e promette che se vi si trovano cinquanta giusti, perdonerà a tutta la città. Allora Abramo, con crescente audacia, abbassa progressivamente il limite: forse ai cinquanta ne mancheranno cinque... forse sono solo quaranta... trenta, venti, dieci... Ogni volta Dio cede alla richiesta; "Non la distruggerò per riguardo a quei dieci", conclude. Due considerazioni. Abramo non chiede per sé; prega per gli altri, e ottiene! I giusti sono il parafulmine dei peccatori: se questo mondo, dove tante volte sembrano trionfare i malvagi, non è ancora andato in rovina, forse è perché ci sono, nascosti ma ci sono, tanti uomini e donne dei quali Dio, nella sua misericordia, ascolta le suppliche. E forse anche ciascuno di noi ha beneficiato senza saperlo delle preghiere di altri: ad esempio i santi, quelli conosciuti e i tanti altri di cui non sospettiamo neppure l'esistenza.
Molto denso, sulla preghiera, è poi il brano evangelico (Luca 11,1-13). "Gesù si trovava in un luogo a pregare...": se qualcuno si chiede se occorra davvero impegnarsi nella preghiera, basta consideri che l'ha fatto persino Lui! Il brano prosegue riferendo che uno dei discepoli, al vedere il Maestro, gli ha chiesto di insegnarci a pregare, e allora Gesù risponde insegnando il Padre nostro. Su questa sublime orazione si può stare a riflettere all'infinito; ma conta, prima di ogni altra considerazione, il fatto che la possiamo recitare, cioè possiamo rivolgerci a Dio senza timore di sbagliare le parole, perché sono quelle che Lui stesso ci ha messo sulle labbra. Subito dopo, Gesù raccomanda una preghiera perseverante e fiduciosa, senza timore di apparire importuni. Lo fa con l'esempio di un tale che nel pieno della notte va da un amico a chiedergli tre pani, e questi, "anche se non si alzerà perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono. Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto".?
Queste assicurazioni sembrano contraddette dalle tante richieste non esaudite, a motivo delle quali qualcuno abbandona la preghiera; ma ecco anche su questo l'insegnamento di Gesù: "Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!" In altre parole: chiediamo pure quello che ci pare, ma poi lasciamo fare a Dio che è Padre, e ci dà quello che va davvero bene. Lui lo sa meglio di noi.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Per pregare bene serve fame di vita
«Signore insegnaci a pregare!». Non tanto: insegnaci delle preghiere, delle formule o dei riti, ma: insegnaci il cuore della preghiera, mostraci come si arrivi davanti a Dio. Nel linguaggio corrente la parola «pregare» indica l'insistere, il convincere qualcuno, il portarlo a cambiare atteggiamento. Per Gesù no, pregare è riattaccarsi di nuovo a Dio, come si attacca la bocca alla fontana. È riattaccarsi alla vita. «Pregare è aprirsi, con la gioia silenziosa e piena di pace della zolla che si offre all'acqua che la vivifica e la rende feconda» (Giovanni Vannucci).
Per Gesù, pregare equivale a creare legami, evocando nomi e volti, primo fra tutti quello del Padre: «quando pregate, dite: Padre». Tutte le preghiere di Gesù riportate dai Vangeli (oltre cento) iniziano con lo stesso termine «Padre», la parola migliore con cui stare davanti a Dio, con cuore fanciullo e adulto insieme, quella che contiene più vita di qualsiasi altra.
Padre, fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bontà, di ogni bellezza, un Dio che non si impone ma che sa di abbracci; un Dio affettuoso, vicino, caldo, cui chiedere, da fratelli, le poche cose indispensabili per ripartire ad ogni alba a caccia di vita.
E la prima cosa da chiedere: che il tuo nome sia santificato.
Il nome contiene, nel linguaggio biblico, tutta la persona: è come chiedere Dio a Dio, chiedere che Dio ci doni Dio. Perché «Dio non può dare nulla di meno di se stesso» (Meister Eckhart), «ma, dandoci se stesso, ci dà tutto!» (Caterina da Siena).
Venga il tuo regno, nasca la terra nuova come tu la sogni, la nuova architettura del mondo e dei rapporti umani che il Vangelo ha seminato.
Dacci il pane nostro quotidiano .
Dona a noi tutti ciò che ci fa vivere, il pane e l'amore, entrambi indispensabili per la vita piena, necessari giorno per giorno.
E perdona i nostri peccati, togli tutto ciò che invecchia il cuore e lo rinchiude; dona la forza per salpare di nuovo ad ogni alba verso terre intatte. Libera il futuro. E noi, che adesso conosciamo come il perdono potenzia la vita, lo doneremo ai nostri fratelli, e a noi stessi, per tornare leggeri a costruire di nuovo, insieme, la pace.
Non abbandonarci alla tentazione.
Non ti chiediamo di essere esentati dalla prova, ma di non essere lasciati soli a lottare contro il male, nel giorno del buio. E dalla sfiducia e dalla paura tiraci fuori; e da ogni ferita o caduta rialzaci tu, Samaritano buono delle nostre vite.
Insegnaci a pregare, adesso.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Padre!
Chi prega come Gesù, vive di quell' "Uno" che è il solo Amore necessario che rende l'uomo libero anche dentro l'angoscia e le immancabili preoccupazioni della vita quotidiana e ha un cuore che vede e si commuove di fronte alla persona che soffre e si avvicina a chiunque essa sia, facendone un fratello o una sorella: la preghiera è il centro della novità della esperienza di vita che Gesù sta proponendo ai suoi discepoli nel cammino verso Gerusalemme.
Ma che cosa significa pregare come Gesù? E come pregare come Lui?
"Signore, insegnaci a pregare!": è l'implorazione che sgorga dal cuore di uno dei suoi discepoli, rivolta a lui, in un momento di pausa della sua preghiera.
Gesù in preghiera ritorna spesso nel Vangelo di Luca: 3,22; 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 10,21-22; 22,44-46. Il grido finale di Gesù in Croce, nel momento in cui spira: "Padre, nelle tue mani ripongo il mio spirito", è la sintesi di tutta la sua preghiera. La preghiera di Gesù è il realizzarsi concreto, quotidiano, dinamico, della sua radicale esperienza di Figlio del Padre, che vive nella storia, nella fragilità della carne dell'uomo: per Lui, Dio è il Padre che lo genera in ogni attimo. Per Lui, la preghiera è l'adesione libera alla volontà del Padre per essere unicamente quello che il Padre vuole. "Padre cosa vuoi che io sia?" "Padre, cosa vuoi che io faccia?": è la preghiera che è il respiro continuo della sua vita che significa ascoltare per aderire liberamente alla volontà del Padre a tal punto da farne la volontà del Figlio, la sua vita, la sua parola, il suo agire, e poi gustare, ringraziare, e poi credere, amare, sperare...
Ogni attimo, per Gesù, è preghiera: "ed avvenne che essendo, in un luogo, in preghiera, come si fermò, uno dei suoi discepoli gli disse: Signore, insegnaci a pregare..." (Lc.11,1). Le nostre versioni traducono con "quando ebbe finito..." un verbo che significa piuttosto "sostare", "fare una pausa": Gesù non finisce mai di pregare, semplicemente crea uno spazio perché i discepoli possano entrare nella sua preghiera.
Luca con una sua raffinata operazione redazionale, intende radicare esplicitamente la preghiera dei discepoli nella preghiera di Gesù: vedendo Gesù pregare, vogliono imparare dal Maestro a pregare come lui. Ma vedere Gesù pregare, significa intuire la radice della novità della sua vita: imparare a pregare come lui significa entrare nell'intimità della esperienza che egli vive con Dio.
"Insegnaci a pregare", non si esaurisce nell'imparare una tecnica, ma esprime tutto il desiderio di comunione profonda con Gesù, per vivere con lui l'intimità con il Padre.
E l'aggiunta che il discepolo fa alla sua richiesta: "come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli", contiene la chiara percezione della novità che Gesù esprime in rapporto a Giovanni.
In questo possiamo trovare un ricordo della tensione viva nella prima comunità dei discepoli di Gesù con i discepoli di Giovanni, di cui abbiamo un segno pure nei primi due capitoli di Luca: chi è più grande, Giovanni, intenso predicatore morale, che sta nel deserto e grida forte...o Gesù, che mangia e beve con i peccatori, che non grida, non condanna, ama? Certo i discepoli di Gesù hanno percepito e hanno sotto gli occhi la novità della relazione con Dio che egli vive, ben diversa da quella di Giovanni...
"Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre..." La differenza tra Luca 11,2-4 e Matteo 6,9-13 è evidente: agli esegeti compete affrontare tutti i problemi connessi con queste due diverse tradizioni della preghiera insegnata da Gesù, ed illuminarne l'interpretazione.
Nella essenziale brevità di Luca viene sottolineata la partecipazione della preghiera del discepolo alla preghiera del Maestro: nella comunione con Gesù, il discepolo vive la novità della sua relazione con Dio e di conseguenza, la preghiera è il compiersi dell'esperienza filiale.
"Padre". Gesù invita i suoi discepoli a pregare così, con questa invocazione che nel Vangelo ritorna continuamente sulle sue labbra: dovremmo percorrere tutto il Vangelo di Luca per comprendere che cosa significhi per lui proclamare questo nome, per poterlo rivivere nei nostri cuori e ripetere con le nostre labbra il suo grido filiale.
Solo chi lascia che l'amore del Padre scenda nel profondo del proprio cuore, chi ne gusta la gioia, chi ne sente il sostegno, può dirgli tutto, abbandonarsi in lui anche nell'oscurità più profonda, perché ha la certezza di non essere mai abbandonato.
"Sia santificato il tuo nome": questa frase già presente negli antichi profeti, adesso come preghiera del figlio ha un significato nuovo. Il nome di Dio, la sua natura, è "Padre". Il figlio che sperimenta l'Amore infinito del Padre, prega perché la sua forza divina si manifesti nel mondo: Dio è l'Amore. Ma il figlio sa che perché l'Amore sia riconosciuto nel mondo occorre che il suo cuore si apra, non sia ripiegato su di sé, non abbia paura, perché tutta la sua vita sia la via attraverso la quale l'Amore del Padre entri nel mondo. La preghiera diventa invocazione al Padre perché il suo Amore apra il cuore dei figli e diventi la vita nuova del mondo.
"Venga il tuo regno": il regno del Padre, la sua volontà, non può che essere la felicità dei figli, la vita fraterna, la condivisione, la solidarietà, la giustizia, la pace, l'amore. Ma, ancora una volta, il regno del Padre non può realizzarsi se non attraverso la collabolazione dei figli che aprono gli spazi della loro libertà alla sua volontà paterna: figli che guardano al loro Fratello che affidando tutto se stesso al Padre ha proclamato che il regno ormai è in mezzo a noi .
Tutto è Amore del Padre: occorre soltanto crederlo, accoglierlo, viverlo, entrare nella logica dell'Amore.
Chi crede l'Amore del Padre, ha occhi nuovi per vederlo: vede e vive in modo nuovo. Tutto è dono: non vince l'angoscia, l'ansia, la paura, la prepotenza, il potere...Chi crede l'Amore lo gusta e si apre ad accogliere un dono sempre più grande: la preghiera è un'esperienza concreta.
"Donaci il pane di cui noi abbiamo bisogno ogni giorno". È Lui, il Padre, che ci nutre ogni giorno, se noi non violentiamo la natura, se non dimentichiamo che la terra è di tutti e noi siamo tutti fratelli.
"Perdona a noi i nostri peccati, perché proprio noi perdoniamo a tutti coloro che hanno dei torti verso di noi": noi abbiamo bisogno di essere perdonati dal Padre, di sentire il suo Amore gratuito per vincere le nostre paure, ed è l'esperienza quotidiana della fragilità delle nostre relazioni fraterne, l'esperienza quotidiana del valore del nostro concreto perdonarci a vicenda i nostri torti, che ci rende sinceramente imploranti del suo perdono. Solo questa concreta circolarità del perdono ci fa gustare la novità della vita nuova, filiale e fraterna.
"E non condurci nella tentazione": questa è l'implorazione estrema del Figlio rivolta al Padre, che Gesù insegna ai suoi discepoli, perché Lui stesso l'ha gridata. Tutto è Amore: ma credere e vivere l'Amore nella carne umana, nella fragilità, nell'oscurità, rimane un dramma. Gesù, nel Gethsemani ha pregato: "Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Ma non sia fatta la mia, ma la tua volontà". La "tentazione", alla fine, è una sola: nella drammaticità estrema della vita, come posso credere l'Amore? E allora la preghiera del Figlio, in alcuni momenti non può non diventare drammatica. Lui ha gridato: "Padre..." anche nel momento estremo. Ai suoi discepoli, a noi, che siamo infinitamente più fragili, ha insegnato a pregare: "Non condurci nella tentazione". "Padre, credo che tu mi ami, ma in alcune situazioni le mie forze sono troppo deboli, ti prego: non condurmi nella tentazione di non credere il tuo Amore": e Dio che ci ama con la tenerezza del Padre, ascolta il nostro grido e trova la via, misteriosa, solo sua, per rinnovare il suo Amore per noi.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Preghiera e misericordia
..Gesù ci invita a vedere in Dio il Padre di misericordia del quale avere fiducia e al quel rivolgerci con estrema confidenza anche nella preghiera e nel rapporto personale...Nelle preghiera Gesù invita a vedere in Dio innanzitutto il Padre provvido e generoso al quale rivolgersi con filiale disinvoltura e apertura di cuore e con estrema confidenza...La fede ci invita non soltanto a credere in Dio, ma a credere e ad aderire a un Dio che per noi è Padre e a collocarci nella posizione di figliolanza e di fiduciosa sottomissione, consapevoli che appunto come si è detto il suo agire è ben diverso da quello dell'uomo..E questo spiega anche il motivo per cui noi non sempre siamo esauditi nelle nostre richieste oranti o per cui occorre attendere con pazienza lunghi tempi prima che Dio conceda una risposta alle nostre preghiere: se Dio non fosse veramente Padre, esaudirebbe ogni nostro desiderio immediatamente e senza condizioni, ma questo sarebbe solamente a scapito nostro poiché noi non siamo mai in grado da noi stessi di discernere ciò che ci è più conveniente. Un Dio tappabuchi ed esauditore di desideri è per lo più un Idolo e non un Dio Padre, quale Gesù vuole mostrarcelo.
Il Padre Nostro non va solo recitato, va imparato ogni giorno di nuovo, sulle ginocchia della vita: nelle carezze della gioia, nel graffio delle spine, nella fame dei fratelli. Bisogna avere molta fame di vita per pregare bene.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Liturgia e Liturgia della Parola della XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 24 luglio 2016
tratto da www.lachiesa.it