17 luglio 2016 - XVI Domenica del Tempo Ordinario: Contemplativi nell'azione e attivi nella contemplazione

News del 16/07/2016 Torna all'elenco delle news

"Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo." (Eb 13, 2). L'autore della Lettera agli Ebrei, mentre da' questa bella esortazione, fa riferimento all'episodio delle querce di Mamre, quando nell'ora più afosa del giorno ad Abramo si presentano tre sconosciuti che chiedono assistenza e ospitalità. Questi li accoglie e li rifocilla con tutte le premure, ma non si accorge che si tratta del Signore e dei due angeli. Dio che si presenta in incognito, secondo una certa interpretazione come Dio in Tre Persone (la Trinità) che vive in se stesso la comunione e tende a coinvolgervi anche il suo servo (Abramo) nella stessa richiesta di carità e di accoglienza. Dio viene a visitare l'uomo e tante volte lo fa anche nel forestiero e nel viandante, che sopraggiungono tante volte inaspettatamente. Accogliere il forestiero è accogliere Dio stesso...L'accoglienza, così come la carità in genere, è espressione di una fede matura e comprovata; chi mostra generosità dimostra di credere e di questo ci rende edotti il "padre della fede " per eccellenza, Abramo. Questi, per aver accolto con grande premura e sollecitudine il Signore che sulle prime gli si presentava in incognito, ottiene il grande dono straordinario della gravidanza inaspettata della consorte, nonostante l'avanzata età di quest'ultima...Come tante volte si è detto, Abramo è il padre della fede e in questa circostanza, nella quale riconosce il Signore nei tre viandanti, non smentisce la sua prerogativa ma associa la fede alla carità, poiché questa è un derivato della prima. " Il Signore ama chi dona con gioia", insegna Paolo (2Cor 9, 7) e la vera ragione ultima della gioia è proprio la fede, perché credere e affidarsi è all'origine di ogni atto d'amore.

Per questo Gesù elogia particolarmente Maria, mentre questa, differenza della sorella Marta tanto indaffarata, si intrattiene ad ascoltare la sua parola. Non perché (in fondo) non approvi la premura e l'operosità di Marta e neppure perché esalti come privilegiata la vita contemplativa sulla vita attiva, ma semplicemente perché vede in Maria la predilezione per quella "parte migliore" che "qualifica" e da' senso ad ogni altra attività: la vita contemplativa, l'ascolto e l'attenzione. Certamente l'azione e l'intraprendenza sono in sé lodevoli e encomiabili per la risultante indispensabile della produttività; ciononostante qualsiasi opera perde il suo valore e si svuota di significato quando non è preceduta da un semplice atto di fede: quello dell'ascolto, dell'attenzione e perciò stesso della preghiera. Come dice Hegel,"ogni attività pratica è vuota senza la teoria" e noi possiamo aggiungere che è banale e insignificante e poco duratura nella sua qualità quando non viene accompagnata dalla contemplazione e dall'ascolto che aiutano ad accrescere la fede.

"Contemplativi nell'azione e attivi nella contemplazione" dice una massima della spiritualità cristiana, affinché si possa essere capaci di recare agli altri i "contemplata" della nostra vita. E questo ai fini di riconoscere anche noi il Signore alle querce di Mamre, nell'ora più calda del giorno.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Il falso dilemma tra fare e pensare

All'Angelus di domenica scorsa il Papa, commentando la parabola del buon samaritano, ne ha tratto spunto per invitare ancora una volta a non restare indifferenti di fronte al dramma epocale degli immigrati: in coloro che possiamo aiutare, dobbiamo vedere quel Signore che un giorno ci giudicherà sulle opere di misericordia. E ha insistito: bisogna fare opere buone, non semplicemente teorizzare, ipotizzare, discutere. Oggi troviamo un collegamento tra quelle parole e la prima lettura (Genesi 18,1-10): Abramo offre ospitalità a tre viandanti; così, senza rendersene conto, accoglie Dio, che lo ricompensa con la nascita del tanto atteso figlio.

Invece quelle parole del Papa sembrano contraddire il vangelo (Luca 10,38-42). Gesù si reca a Betania, accolto da Marta e Maria. Entrambe onoratissime di riceverlo e preoccupate di offrirgli una degna accoglienza, che manifestarono però in modo diverso: Marta si fa in quattro nei lavori domestici (possiamo immaginarla indaffarata a riordinare la casa, cucinare, imbandire la mensa); Maria invece si trattiene a tenergli compagnia. Taluni hanno inteso l'episodio come una contrapposizione tra l'azione concreta, anche buona, e l'ascolto, la meditazione, la preghiera; insomma tra la vita attiva e la vita contemplativa, tra il fare e il pensare, concludendo che Gesù privilegia il secondo. Quando nel Settecento i governi soppressero i monasteri incamerandone i beni, la motivazione formalmente addotta fu che i monaci e le monache, ritenuti (a torto) impegnati solo nella preghiera, erano inutili perché privi di una funzione sociale (quando poi soppressero anche i frati, le suore e le confraternite di laici, pur se accanto alla preghiera svolgevano svariate opere di carità, il vero intento divenne palese). Ma quelle decisioni nascevano anche da una motivazione che tuttora qualcuno condivide: l'uomo, dotato di ragione, opera bene, anche a beneficio di altri, senza bisogno di "perdere tempo" a pregare.

Una tale fiducia nell'uomo, capace da solo di vivere rettamente, è contraddetta in modo clamoroso dalle cronache quotidiane e dalla comune esperienza. Il male dentro e intorno a noi non lo possiamo vincere da soli; tutti abbiamo bisogno di quell'aiuto che unicamente Dio ci può dare. E ce lo dà, tanto quanto ci mettiamo in ascolto di lui, in sintonia con lui attraverso la riflessione e la preghiera. Anche il bene (di cui pure siamo capaci), perché non sia semplice frutto delle nostre corte vedute, perché non si risolva in un autocompiacimento, deve essere quello di cui Gesù ha dato l'esempio, deve sgorgare dall'amicizia con lui. Egli non nega il valore di quello che Marta fa; ne contesta l'eccesso e stabilisce la gerarchia dei valori. Essere è più importante che fare. Essere in sintonia con lui è più importante anche del fare, apparentemente, per lui o in suo nome.?

Gesù dunque non contrappone vita attiva e vita contemplativa, come se pregare fosse da preferire al servizio del prossimo (del resto, anche nella casa di Betania doveva pur esserci chi preparava la cena). Il richiamo a Marta è a non affannarsi, a non esaurire il suo impegno in cucina; accogliere un ospite non significa soltanto "fare cose" per lui, ma anche offrirgli la disponibilità del proprio tempo, della propria attenzione. La vita attiva non dev'essere "altro" da quella contemplativa, ma una sua traduzione, come Gesù stesso in un'altra circostanza (Luca 11,28) ha sintetizzato: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Marta e Maria, il Signore non cerca servitori ma amici

Mentre erano in cammino, una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa.

Ha la stanchezza del viaggio nei piedi, il dolore della gente negli occhi. Allora riposare nella frescura amica di una casa, mangiare in compagnia sorridente, è un dono, e Gesù lo accoglie con gioia.

Quando una mano gli apre una porta, lui sa che lì dentro c'è un cuore che si è schiuso. Ha una meta, Gerusalemme, ma lui non "passa oltre" quando incontra qualcuno, si ferma. Per lui, come per il buon Samaritano, ogni incontro diventa una meta, ogni persona un obiettivo importante.

A Betania il maestro è accolto da donne che non venivano accolte come discepole dai maestri del tempo. Entra nella loro casa: la casa è scuola di vita, il luogo dove la vita nasce e si conclude, dove celebra le sue feste più belle, dove Dio parla nel quotidiano, nei giorni delle lacrime e in quella della danza dei cuori. E il Vangelo deve diventare vero non ai margini della vita, ma nel cuore di essa.

Maria, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Sapienza del cuore di donna, intuito che sceglie ciò che fa bene alla vita, ciò che regala pace, libertà, orizzonti e sogni: la Parola di Dio

Mi piace immaginare Maria di Betania e Gesù totalmente presi l'uno dall'altra: lui a darsi, lei a riceverlo. E li sento tutti e due felici, lui di aver trovato un cuore in ascolto, lei di avere un rabbi tutto per sé. Lui totalmente suo, lei totalmente sua.

A Maria doveva bruciare il cuore quel giorno. Da quel momento la sua vita è cambiata. Maria è diventata feconda, grembo dove si custodisce il seme della Parola, apostola: inviata a donare, ad ogni incontro, ciò che Gesù le aveva seminato nel cuore.

Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose. Gesù, affettuosamente, rimprovera Marta. E lo fa contraddicendo non il servizio, ma l'affanno; non contestando il cuore generoso, ma l'agitazione.

Quelle parole ripetono a tutti noi: attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, che affanna, che toglie libertà e distoglie dal volto degli altri.

Marta - sembra dirle Gesù - prima le persone, poi le cose. Non sopporta che sia confinata in un ruolo di servizio, affogata nei troppi impegni: tu, le dice, sei molto di più; tu puoi stare con me in una relazione diversa. Tu puoi condividere con me pensieri, sogni, emozioni, conoscenza, sapienza, Dio.

«Maria ha scelto la parte migliore», si è liberata e ha iniziato dalla parte giusta il cammino che porta al cuore di Dio, dall'ascolto. Perché Dio non cerca servitori, ma amici; non cerca delle persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose, che lo lasci essere Dio.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Accoglienza, generosità e riconoscenza

La liturgia di questa sedicesima domenica del tempo ordinario si apre con la bellissima testimonianza del patriarca Abramo che accoglie con generosità, affetto e bontà alcuni ospiti nella sua casa. In questo testo della Genesi, i tre uomini che si presentarono ad Abramo mentre viaggiavano, potrebbero essere legittamente interpretati come la Santissima Trinità o tre Angeli messaggeri di Dio.

Abramo oltre ad essere esempio di fede, è anche, in questo caso, modello di accoglienza ed amore verso gli altri.

Un esempio a cui dobbiamo ispirarci, soprattutto, oggi, noi credenti del XXI secolo dell'era cristiana, in cui il tema dell'accoglienza di ogni persona è molto predicata e poco praticata. C'è il rischio della globalizzazione dell'indifferenza, rispetto ai fratelli che sono nel bisogno e nella necessità. Fossero extracomunitari, immigrati, poveri del nostro territorio, ammalati, affamati o qualsiasi altra persona che chiede aiuto e soprattutto chiede di aprire il nostro cuore alle loro reali necessità. Rileggere il brano della prima lettura di questa domenica ci aiuta a capire come dobbiamo comportarci sempre, di fronte ai reali bisogni di una persona. Certo, qui, nel testo biblico, è ben altra situazione che viene richiamata alla nostra attenzione ed è la presenza e la vicinanza di Dio nella vita del patriarca e nella vita della sua legittima moglie Sara. Una presenza vitale e che si trasforma in dono di vita, di fronte alla sterilità fisica di Sara, che, dopo questo fatto, riceverà il dono del figlio Isacco...E' sempre vero che la generosità del cuore premio sempre. E chi dona con gioia, ricevere sempre cento volte di più quello che dona. Bisogna far tesoro dell'insegnamento di Abramo, che si presenta in questo brano del Libro della Genesi, come l'uomo che ha bisogno di Dio e che una volta che sente di averlo incontrato, dona tutto se stesso per Lui. Da parte sua il Signore che si ferma presso la tenda di Abramo, accolto in un modo così singolare, affettuoso e generoso, non si tiene per sé quello che ha ricevuto, moltiplica all'infinito che che l'uomo gli dona, al punta tale che a quest'uomo dona la cosa più importante che è il dono della paternità, della maternità e della discendenza. Sarà da sterile, diventa feconda a Abramo, da non padre, diventa vero padre con tutti i crismi della legittimità. Non più un padre abusivo o illegittimo o biologico, ma un padre vero e pieno nelle sue funzioni di responsabile della vita del suo figlio, che nascerà e che si chiamerà Isacco. Non più il figlio della schiava, ma il figlio di un matrimonio vero e di una famiglia vera.

Di ospitalità generosa, gioiosa e sincera si parla anche nel Vangelo di oggi, in cui al centro del racconto c'è la visita di Gesù ai suoi amici, Lazzaro, Marta e Maria. Tre fratelli che accolgono Gesù nella loro casa. Tre uomini si presentano ad Abramo, tre persone accolgono Gesù nella loro abitazione. Il brano del Vangelo di questa domenica è tra quelli più conosciuti ed usati, nell'applicazione concreta di come operare da cristiani o, se possibile, saper conciliare le tante esigenze di essere cristiani, non solo operando, ma soprattutto ascoltando la parola di Dio, con l'essere suoi discepoli nella preghiera, per poi essere operativi, fortificati dal dono della comunione intima e spirituale con il Signore. Marta e Maria sono un duplice modo di vivere da cristiani. Il primo, in modo operativo e concreto; il secondo, in modo contemplativo e ascetico. L'uno e l'altro aspetto della vita di un discepolo si possono integrare e compensare arricchendosi reciprocamente e vicendevolmente. Marta si lamenta con Gesù che vede la sorella, Maria, che sta ai suoi piedi, senza far nulla, mentre c'è molto da fare in casa, soprattutto quando ci sono ospiti così importanti. Quante volte queste cose capitano anche nelle nostre case e nelle nostre famiglie. E l'ospite che viene, invece di essere motivo di gioia e di festa, diventa solo motivo di preoccupazione ed ansia per accoglierlo in modo speciale o eccezionale. Quando il tutto dovrebbe essere fatto con la massima naturalezza e forse dando più importanza non tanto alle cose da preparare, ma al cuore che deve accogliere e la disponibilità delle persone a relazionarsi con l'ospite. Gesù, in fondo, questo fa notare a Marta nel breve dialogo che intercorre tra loro due. Da una parte Marta che si lamenta di Maria e Gesù che fa notare a Marta che quello non è l'atteggiamento migliore per accogliere un ospite. La distrazione che produce l'attivismo eccessivo, allontanano il cuore delle persone da Dio, dalla sua parola. Marta a Gesù: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Gesù a Marta: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

La scelta di Cristo è la parte migliore per ogni cristiano. Le altre cose saranno pure importanti, ma non premiano e danno gioia e serenità come l'essere in ascolto di Dio che parla, mettersi ai piedi di Cristo e comprendere ciò che vuole il Signore da noi. Mettersi come ci ricorda l'apostolo Paolo: essere lieti di sopportare ogni prova nella vita per amore di Cristo. Quante sofferenze l'umanità è chiamata ad accettare. Tante dolorosissime prove della vita, come i fatti di cronaca di questi giorni ci richiamano alla mente. Solo una grande fede può accettare certe prove dolorosissime di vedere figli morti ed uccisi, tragedie di ogni tipo. Solo una vera visione della vita che è aperta all'eternità può aiutare a sopportare i tanti dolori e le tante sofferenze che, se, ben inquadrate nel discorso di fede sono la manifestazione attuale di essa nei segni e nei fatti della storia di oggi e di sempre, dove al centro c'è l'uomo che soffre e muore. Nell'immigrato, nel bambino, nell'emarginato, nel povero, in qualsiasi persona debole ed indifesa c'è Lui il Signore, come continuamente tentano a farci capire mediante le voci profetiche dei nostri tempi, in primo luogo, Papa Francesco.

Sia questa la nostra preghiera, fratelli e sorelle: "Padre sapiente e misericordioso, donaci un cuore umile e mite, per ascoltare la parola del tuo Figlio che risuona ancora nella Chiesa, radunata nel suo nome, e per accoglierlo e servirlo come ospite nella persona dei nostri fratelli. Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 17 luglio 2016

tratto da www.lachiesa.it