3 aprile 2016 - Domenica della Divina Misericordia: una Chiesa missionaria della misericordia nel nome del Risorto

News del 02/04/2016 Torna all'elenco delle news

E' la domenica più importante di questo anno giubilare dedicato alla misericordia, perché è la domenica specifica che San Giovanni Paolo II, da Papa, volle dedicare a questo tema, istituendo la seconda domenica di Pasqua come domenica della Divina Misericordia. La motivazione teologica e pastorale del grande papa, ora santo, che addusse il Pontefice furono i testi biblici, che la liturgia di questo giorno prende annualmente in considerazione, per il fatto che Gesù, esattamente, come rammenta il Vangelo di Giovanni, apparve nello stesso giorno della risurrezione e poi otto giorni dopo.

Nella prima apparizione Tommaso non era presente e fu in quel contesto che Gesù diede il mandato agli apostoli di rimettere i peccati, come leggiamo nel vangelo. Sarà stato un caso che Tommaso in quella circostanza non era presente? A leggere il testo mi sembra che non fu un caso. In Tommaso non è ancora maturata l'idea e il convincimento della risurrezione di Gesù. Possiamo dire non c'era ancora la fede necessaria, in quanto il ministero della riconciliazione e del perdono, parte da una prospettiva di fede, senza la quale non è possibile né amministrare il sacramento, né tantomeno riceverlo. Apostoli e fedeli devono avere fede, perché i sacramenti sono sacramenti della fede e non atti magici o di altra natura. L'assenza di Tommaso in quella prima apparizione di Gesù, nel giorno stesso della risurrezione è un'assenza giustificata e comprensibile alla luce di quanto è successo nel giorno di Pasqua. Mi sembra di trovarci in un aula scolastica, all'inizio di una lezione o di una giornata di scuola, quando si fa l'appello dei presenti. D'altra parte Gesù era ed è il Maestro divino di quel gruppo di discepoli, che si erano messi spontaneamente, senza alcuna costrizione alla sequela di Cristo, nel corso della sua vita terra. Con quali prospettive ed attese, lo sappiamo. Dopo la morte e risurrezione, dopo il tempo dello smarrimento e dello scoraggiamento il gruppo, che già ha perso Giuda il traditore, si ricompatta nel Cenacolo, dove attende, insieme a Maria gli eventi successivi. Quando Gesù appare la prima volta, come registra Giovanni, Tommaso non era presente. Infatti, leggiamo che "Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».

Ebbene arriva il tempo della maturazione della fede per Tommaso: appena una settimana, durante la quale quanto volte avrà pensato alle parole dei suoi colleghi che gli avevano detto di aver visto Gesù. E' proprio vero per gli scettici, gli agnostici e gli atei, se non interviene un fatto significativo, rimangono nella loro convinzione di non credenti per tutta la vita. Per Tommaso questo fatto nuovo si verifica subito, dopo una settimana. In quel contesto il quadro familiare cambia, quando Gesù appare nuovamente e allora c'era anche Tommaso, come leggiamo nel testo giovanneo, particolarmente attendibile su questi aspetti dottrinali e teologici. La risposta di Tommaso fu sincera e sicuramente più convinta degli altri apostoli, in quanto era passato attraverso il vaglio della ragione, della riflessione, del dubbio, ma alla fine la risposta fu più convinta e maturata alla luce delle facoltà umane di intendere e di volere. D'altra parte, sappiamo benissimo che la fede e la ragione sono due ali che vanno verso la verità. Quando la fede non è sincera, forte ed immediata, necessità della ragione, del pensiero, della filosofia, del ragionamento che alla fine, se è autentico e segue dei canoni di ricerca, approda per forza di cosa alla fede. Perciò Gesù nel dialogo che intercorre tra lui e l'apostolo dubbioso ed incerto, che mette in dubbio la verità attestata dagli altri, ha un esplicito rimprovero per quanti vogliono dimostrare con la ragione ciò che non è dimostrabile, e dice, toccami, prendi atto della realtà e della verità; pertanto "non essere incredulo, ma credente!».

Credere questo è l'appello fondamentale che ci viene da Gesù, credere nella sua persona, nella sua missione e credere nella sua risurrezione. E scopo di ogni annuncio missionario, di ogni azione sacramentale che la Chiesa è chiamata a compiere in ogni tempo e in ogni situazione è quella di suscitare la fede. D'altra parte i sacramenti sono sacramento della fede. Perciò l'evangelista Giovanni conclude il suo vangelo con questi versetti finali che è tutto un programma missionario, apostolico della Chiesa di tutti i tempi, anche della Chiesa di Cristo, guidata oggi da Papa Francesco, in questo anno della misericordia: "Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome".

Scrivere, trasmettere la fede è il compito di ogni cristiano che si fa araldo del vangelo e strumento di pace, riconciliazione, di speranza in ogni angolo del mondo. San Giovanni evangelista, anche nel Libro dell'Apocalisse, evidenzia questa sua missione di diffusore della fede e degli eventi salvifici che fanno espresso riferimento alla persona di Gesù Cristo.

Dai segni di Gesù, si passa ai segni, ai fatti ed eventi straordinari di fede, raccontati dagli Atti degli Apostoli, in particolare dal capo del collegio apostolico, Pietro, nel brano della prima lettura della liturgia della parola di Dio di questa seconda domenica di Pasqua.

Questa è la storia di una Chiesa che da 2000 anni guarisce le ferite di ogni genere nel nome e per mandato di Cristo Redentore dell'uomo, soprattutto quelle interne e spirituali che sono più gravi di quelle materiali e fisiche, con il sacramento della confessione e dell'unzione degli infermi, definiti i sacramenti della guarigione.

Sia questa la nostra preghiera conclusiva della celebrazione della parola di Dio nella Domenica della Divina Misericordia, che tanto affascinò l'esperienza ascetica di Santa Faustina Kowalska, giustamente indicata da Papa Francesco, nella Bolla di indizione dell'Anno Giubilare della Misericordia, come la principale santa della misericordia: Dio di eterna misericordia, che nella ricorrenza pasquale ravvivi la fede del tuo popolo, accresci in noi la grazia che ci hai dato, perché tutti comprendiamo l'inestimabile ricchezza del Battesimo che ci ha purificati, dello Spirito che ci ha rigenerati, del Sangue che ci ha redenti. Amen

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Nel cuore del cielo il nostro alfabeto d'amore

A noi giovò più l'incredulità di Tommaso che non la fede degli apostoli (Gregorio Magno). Tommaso ci è più utile degli altri. Per­ché ci mostra quale grande educatore fosse Gesù: aveva formato Tommaso alla libertà interiore, al coraggio di dis­sentire per seguire la propria coscienza.

Erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per paura dei Giu­dei.

Una comunità chiusa, impaurita, a porte sbarrate; Tommaso no, lui va e vie­ne, è un coraggioso (aveva esortato i suoi compagni: andiamo anche noi a morire con lui!). Lì dentro si sentiva mancare l'aria.

Abbiamo visto il Signore, qui, quando tu non c'eri, gli dicono. E lui: se non vedo con i miei occhi non vi credo.

Tommaso è un prezioso compagno di viaggio, come tutti quelli, dentro e fuo­ri della chiesa, che vogliono vedere, vo­gliono toccare, con la serietà che meri­ta la fede; tutti quelli che sono esigenti e radicali, e non si accontentano del sentito dire, ma vogliono una fede che si incida nel cuore e nella storia.

Che bello se anche nella Chiesa fossimo educati con lo stile di Gesù, che forma­va più alla serietà e all'approfondimen­to, alla libertà e al coraggio, che non al­l'ubbidienza. P. Vannucci esortava: non pensate pensieri già pensati da altri. Per non fare spreco dello Spirito.

Poi il momento centrale: l'incontro con il Risorto. Gesù invece di imporsi, si pro­pone, si espone: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fian­co.

Gesù rispetta la sua fatica e i suoi dubbi; rispetta i tempi di ciascuno e la complessità del vivere. Non si scanda­lizza, si ripropone con le sue ferite a­perte. La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, perché la morte di cro­ce non è un semplice incidente da su­perare, è invece qualcosa che deve re­stare per l'eternità, gloria e vanto di Cri­sto, il punto più alto, la rivelazione mas­sima dell'amore di Dio. Nel cuore del cielo sta, per sempre, carne d'uomo fe­rita. Nostro alfabeto d'amore.

Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e han­no creduto! Ecco una beatitudine che sento finalmente mia, le altre le ho sem­pre sentite difficili, cose per pochi co­raggiosi, per pochi affamati di immen­so.

Finalmente una beatitudine per tutti, per chi fa fatica, per chi cerca a tentoni, per chi non vede, per chi ricomincia.

Beati voi... grazie a tutti quelli che cre­dono senza necessità di segni, anche se hanno mille dubbi, come Tommaso. So­no quelli che se una volta potessero toc­care Gesù da vicino - vedere il volto, toccare il volto - se una volta potranno ve­derlo, ma in noi, anch'essi diranno: Mio Signore e mio Dio!

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

misericordia perdon dei peccati

Oggi, in tutta la Chiesa, si celebra la Domenica dell'Amore Misericordioso: questa ricorrenza, istituita da San Giovanni Paolo II, più di quindici anni fa, assume quest'anno una rilevanza particolare. Chissà se il Giubileo straordinario della misericordia riuscirà a far fiorire di nuovo la misericordia seminata dal Buon Dio nei solchi della Chiesa? Ce lo auguriamo tutti!

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci ricorda che l'espressione massima della misericordia di Dio è il perdono dei peccati: il Risorto invia gli Undici (in tutto il mondo) a perdonare i peccati con il potere dello Spirito Santo. La chiesa sgorgata dal sangue di Cristo crocifisso, vive già la (nuova) stagione apostolica; il Signore ha passato la mano, ha lasciato le sue consegne; la vita di Cristo è già nascosta in Dio, come scrive san Paolo ai cristiani di Colosse (3,1-4). Dalla domenica di Pasqua in poi tocca agli apostoli, tocca a noi! Elia aveva gettato ad Eliseo il suo mantello... Il Risorto ci ha dato molto, molto di più che il suo mantello: Cristo risorto ci ha dato lo Spirito Santo, la sua vita! Secondo il disegno teologico del quarto evangelista, il Figlio di Dio aveva già effuso il Spirito Santo su Maria sua madre e su Giovanni, l'amico del cuore, mentre esalava il suo ultimo respiro. Ai piedi della croce nasce dunque la Chiesa. Ma la Chiesa rappresentata dagli Undici, attendeva ancora la missione ufficiale: eccola!

Naturalmente non c'è missione senza fede nel Risorto; la pagina del Vangelo di oggi ci presenta un gruppo non ancora del tutto convinto della Risurrezione di Cristo. Di fronte alla testimonianza degli altri dieci, Tommaso esita, prende tempo, vuole delle prove... Sembra che la mancanza di fede di uno solo indebolisca la fede di tutto il gruppo.

In verità è così, e gli Apostoli lo sapevano bene: era appena successo, pochi giorni prima, con il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Simon Pietro. L'inizio della Chiesa dev'essere un inizio col botto! Nessuna divisione, nessuno strappo nel tessuto del gruppo - dopo la crisi del Getzemani -, assoluta comunione di fede e di intenti.

Tuttavia, la sera di Pasqua, questa comunione ancora non c'è... come oggi!

Ma Cristo sa aspettare. Lo sapeva, Gesù che i suoi tempi non sono i nostri tempi...

Sapeva però anche che la Chiesa appena nata, e nata divisa, senza l'unità della fede, non sarebbe andata lontano. 

Venendo a noi, qualcuno potrebbe sentirsi addirittura rincuorato: "Beh, se neppure tra gli Undici c'era comunione di fede, qualche divisione ci può stare anche oggi, dopo più di venti secoli, no?"

Francamente, io non mi sento affatto rincuorato! E neppure il Signore lo era, tant'è vero che otto giorni dopo è di nuovo lì, nel cenacolo, arrivato appositamente per confermare la fede di Tommaso. Ricordate la parabola delle 99 pecore? Gesù entra nuovamente nel cenacolo, a porte chiuse, sapendo di andare a colpo sicuro: stavolta c'era anche Tommaso; e si rivolge a lui direttamente. La lezione di fede data all'undecimo apostolo serve per tutto il gruppo, naturalmente. E serva di lezione anche per tutti noi! È necessario superare le divisioni! Una Chiesa divisa non può stare! 

Non è un dettaglio, che, prima di affrontare la Passione, il Signore abbia raccomandato ripetutamente agli Undici l'amore reciproco: "Amatevi come io vi ho amato, abbiate fede in me!" (cfr. Gv 15, 9-17); e non è un dettaglio che lo abbia anche invocato, questo amore reciproco, come dono dal Cielo: "Padre, siano essi una cosa sola, come Tu ed io siamo una cosa sola!" (cfr. Gv 17,20-26).

I versetti 30 e 31 non chiudono il capitolo 20 soltanto, ma l'intero Vangelo, la Bibbia li definisce PRIMA CONCLUSIONE. Il capitolo 21 è stato aggiunto dopo e lo vedremo domenica prossima.

Anche i versetti 30 e 31 ribadiscono che il fine ultimo del Vangelo è l'unità della fede nel Cristo. Credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, è la garanzia della vita eterna! e vi pare poco?

Omelia di fr. Massimo Rossi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Pasqua o della Divina Miericordia (Anno C)

tratto da www.lachiesa.it