21 febbraio 2016 - II Domenica di Quaresima: trasfigurati a immagine del suo volto
News del 19/02/2016 Torna all'elenco delle news
La scena evangelica della trasfigurazione del Signore ci colloca davanti al volto dell’Unigenito, volto umano, in tutto simile a quello di ogni altro uomo, nel quale la luce della Pasqua è mostrata non solo in un’anticipazione cronologica come rivelazione ai discepoli del Maestro, ma anche come progetto di compimento per tutta l’umanità, chiamata a riflettersi nei tratti del volto del Figlio. L’attenzione degli evangelisti sul volto del Trasfigurato, dunque, è più che un semplice elemento descrittivo. Permette, al contrario, di considerare come nel volto di Gesù, cioè nei suoi gesti e nelle sue parole, Dio si mostri come affidabile per l’uomo e promettente per la sua vicenda umana. “Gesù è […] presentato come il volto storico della santità misericordiosa del Padre, come misericordiae vultus: «Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza» (Misercordiae vultus 8). Questa, infatti, è la sua missione: rendere visibile e portare al mondo la misericordia di Dio, portare accanto a noi miseri il cuore del Padre, perché ci abbracci con il suo perdono e ci trasformi con la grazia del suo amore” (Traccia CEN).
Tutto questo si compie per la via di un avvicinamento radicale alla vicenda dell’uomo da parte del Figlio di Dio, nel cui volto sono chiari i segni di tale condivisione generosa. Come ci ricorda Papa Francesco, “in Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa” (Messaggio Quaresima 2016). La contemplazione del volto di Gesù è così la via per una nuova docilità alla Parola. “Ascoltatelo!”: è un imperativo che ha la forza di una consegna, ai discepoli di allora e a quelli di ogni tempo, ma anche di una promessa. Chiunque obbedisce a questo comando tocca con mano come la trasfigurazione della propria vita non è rimandata ad un futuro sconosciuto, ma si compie nel “qui ed ora” dell’esistenza dove lo Spirito del Risorto, mentre umanizza la vita, allo stesso tempo la divinizza, rendendola così sempre più conforme alla natura del Figlio di Dio.
Immagini di luce
Nel vangelo di questa domenica il tema della misericordia si declina attraverso immagini di luce. Si tratta di quei momenti eccezionali, radiosi e caldi, a volte quasi con tonalità di sogno, che di tanto in tanto Dio ci concede per illuminare un cammino che altrimenti appare perdersi tra nebbia e oscurità. Momenti di cui fare tesoro e ai quali ritornare con la mente per trovare calore nelle notti di abbattimento. Ma ogni luce donata, ogni grazia e misericordia ricevuta, chiede di espandersi tutt’intorno, come una fiamma che passa di candela in candela.
Nel silenzio della preghiera
Siamo chiamati a trasmettere la luce: far riscoprire la bellezza del silenzio, della preghiera, dell’interiorità è una vera opera di misericordia, a cavallo tra insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi. Nello stesso tempo, si configura come imitazione e conformazione al mistero di Gesù, che nella trasfigurazione si fa incontro ai tre discepoli, nel silenzio della preghiera, per rivelare lo splendore della sua figliolanza.
Uscire fidandosi della promessa
La prima risposta di Dio ad Abramo è, ancora una volta, l’invito ad uscire. La sua parola conduce fuori Abramo a guardare le stelle. Perché Egli è lo stesso Dio che l’aveva fatto uscire da Ur dei Caldei, e che allo stesso modo farà uscire i suoi discendenti dall’oppressione in una terra straniera (a questo alludono i versetti 13-16 del capitolo, che per necessità sono omessi dalla lettura). Dio è il Dio dell’esodo, che sempre fa uscire da un presente che sembra non avere più sbocchi, e crea futuro. Ma dove trovare la forza per abbracciare ancora una volta la promessa?
Abramo chiede un segno a cui aggrapparsi per potere credere che davvero egli avrà il possesso di quella terra che gli viene nuovamente promessa. Dio accondiscende alla richiesta e comanda ad Abramo di mettere in atto un rituale di alleanza. In esso viene confermata con forza la promessa divina e la fede di Abramo.
Il dono di vedere la gloria
Prima dunque di cominciare la sequela di Gesù nella sua difficile salita verso la passione, a Pietro, Giovanni e Giacomo viene dato il privilegio di intravedere in anticipo qualcosa della condizione di gloria che Gesù conseguirà attraverso il suo esodo, e nella quale si manifesterà al suo ritorno. Come abbiamo già sottolineato, predominante è la dimensione della preghiera, della contemplazione. Gesù si trasfigura nella preghiera, e i discepoli lo possono riconoscere nella misura in cui entrano nello stesso stato di comunicazione con il Padre.
La pretesa di trattenere la grazia
E tuttavia, benché affascinati dallo splendore della scena, i discepoli – nella persona di Pietro – non riescono a cogliere adeguatamente il significato della visione Gesù che conversa con Mosè e Elia. Costoro infatti – rappresentando rispettivamente la Legge e i Profeti nel loro valore di testimonianza profetica di Cristo – parlano dell’esodo di sofferenza che Gesù sta per intraprendere, laddove Pietro – proprio quando si accorge che Mosè ed Elia stanno per allontanarsi e svanire – vorrebbe “fermare l’attimo”, catturare ed eternizzare la gloria di quel momento raggiante. Non è possibile.
Sul monte della trasfigurazione i tre discepoli hanno fatto esperienza della misericordia di Dio che si è abbassa su di loro – anche letteralmente: vedi la nube – concedendo la grazia di un’esperienza escatologica anticipata in vista del difficile cammino che li attende.
Piantare le tende sul monte significherebbe vanificare il dono ricevuto. I discepoli sono invece chiamati a seguire Gesù nel suo esodo, e soprattutto a obbedire al Figlio di Dio, l’Eletto, ascoltando la sua parola.
La fatica nel restituire
Ancora una volta il contesto del brano ci aiuta ad entrare in una comprensione più profonda. Proseguendo nella lettura del capitolo 9 di Luca, vediamo che, appena discesi dal monte, i discepoli incontrano una grande folla (Lc 9,37). Gente che soffre e alla disperata ricerca di una scintilla di luce che dia loro speranza. Tra tutti emerge il dolore di un padre che non sa più come aiutare il suo unico figlio vessato dal demonio, e che chiede ai discepoli di scacciarlo (Lc 9,38-40).
Ci si aspetterebbe che possano riuscire, che le loro persone possano essere specchio e rimando di quella luce gloriosa che ha inondato i loro volti sul monte. E invece falliscono, suscitando l’ira di Gesù (Lc 9,41). Essi devono capire che Gesù non sarà con loro per sempre (anzi egli si sta già iniziando il suo esodo) e imparare di conseguenza a irradiare essi stessi sul mondo quella luce con cui sono stati illuminati. C’è ancora tanta strada da fare…
Stare sul monte e restituire la luce
È dunque un atto di accoglienza della misericordia di Dio stare sul monte insieme con Gesù. Lasciare tempo e spazio alla preghiera, all’ascolto, al silenzio, tirarsi fuori dalla vita convulsa di coloro che hanno perso la bussola della loro esistenza. Il discepolo è però chiamato a restituire il dono ricevuto: si lascia inondare dalla luce, non per trattenerla, ma per rifletterla.
Il tempo della Quaresima offre una preziosa occasione di conversione innanzitutto a tutti i credenti, a coloro che sono già discepoli di Cristo: sia a coloro che nel loro attivismo o nella loro dispersione dimenticano di lasciarsi illuminare da Cristo; sia per coloro che pretendono di abitare nel tepore della sua grazia, senza aprirsi alla missione. Gesù indica la via dell’“Esodo”, verso Gerusalemme, verso la sua Passione, verso il dono pieno e totale, in cui l’umanità può riscoprire la figliolanza divina.
(Dal Sussidio CEI per la Quaresima)
Pregare cambia il cuore, diventi ciò che ami
Dal deserto al Tabor; dalla domenica dell'ombra che ci minaccia, alla domenica della luce che ci abita. Ciò che è avvenuto in Cristo avverrà in ciascuno, lui è il volto ultimo e alto dell'uomo, icona di Dio dipinta, come le antiche icone greche, su di un fondo d'oro, che traspare dalle ferite e dai graffi della vita, come da misteriose feritoie. Il racconto della trasfigurazione è collocato in un contesto duro e difficile: Gesù ha appena consegnato ai suoi il primo annuncio della passione: il figlio dell'uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso. E subito, dentro quel momento di oscurità, il vangelo ci regala il volto di Cristo che gronda luce, su cui tenere fissi gli occhi per affrontare il momento in cui la vita gronda sangue, per tutti, come per Gesù nell'orto degli ulivi.
Gesù salì su di un alto monte a pregare. I monti sono come indici puntati verso il cielo, verso il mistero di Dio e la sua salvezza, raccontano che la vita è un ascendere silenzioso e tenace verso più luce, più orizzonti, più cielo.
Gesù sale per pregare. La preghiera è mettersi in viaggio: destinazione Tabor, un battesimo di luce e di silenzio; destinazione futuro, un futuro più buono; approdo è il cuore di luce di Dio.
Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto. Pregare trasforma. Pregare cambia il cuore, tu diventi ciò che contempli, ciò che ascolti, ciò che ami, Colui che preghi: è nel contatto con il Padre che la nostra realtà si illumina, e appare in tutta la sua lucentezza e profondità.
In qualche momento privilegiato, toccati dalla gioia, dalla dolcezza di Dio, forse ci è capitato di dire, come Pietro: Signore, che bello! Vorrei che questo momento durasse per sempre. Facciamo qui tre tende? E una voce interiore diceva: è bello stare su questa terra, gravida di luce. È bello essere uomini, dentro questa umanità che pian piano si libera, cresce, ascende. È bello vivere.
Le parole di Pietro trasmettono una esperienza precisa: Dio è bello. Invece La nostra predicazione ha ridotto Dio in miseria, relegato a rovistare nel passato e nel peccato dell'uomo. Ora sta a noi restituirgli il suo volto solare, testimoniare un Dio bello, desiderabile, interessante. Il Dio del futuro, delle fioriture, un Dio da gustare e da godere. Come san Francesco quando prega: tu sei bellezza, tu sei bellezza. Come sant'Agostino: tardi ti ho amato bellezza tanto antica e tanto nuova. Sarà come bere alle sorgenti della luce, agli orli dell'infinito.
Davvero il cristianesimo è proprio la religione della penitenza, della mortificazione, del sacrificio, come molti pensano? No, il vangelo è la bella notizia che Dio regala vita a chi produce amore.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Trasfigurati dal perdono di Dio e dei fratelli
La seconda domenica di questo itinerario quaresimale dell'anno giubilare della misericordia ci porta a salire, con Gesù e coi i tre Apostoli, Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, il Monte della Trasfigurazione del Signore, ma anche a riscendere da questo monte, dopo l'esperienza della contemplazione della gloria di Dio, immergendoci nella vita di tutti i giorni e sapendo accogliere anche le prove che ci attendono. Oggi, infatti, il Vangelo di Luca ci racconta di questo momento estasiante dei tre discepoli del Signore che si trova ad assistere, per la stessa volontà di Gesù, a questo momento della sua vita, prima di salire il monte del Calvario. Cosa successe su quel monte è detto con precisione dall'evangelista: "Mentre pregava, il suo volto di Gesù cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante".
Prima costatazione di una trasformazione esteriore di Gesù visibile e percepibile agli occhi dei tre apostoli, che rimasero sbalorditi e positivamente impressionati da quella visione celestiale. Gesù sul monte Tabor non è solo in questo suo apparire, in questa sua nuova teofania, Insieme a Lui ci sono due uomini che conversavano con lui: "erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme". Sono due personaggi molto conosciuti presso il popolo ebraico. Per cui agli apostoli non è difficile riconoscerli, anche se Pietro, Giacomo e Giovanni, pur essendo assonnati, "quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui".
Questa apparizione di Mosé ed Elia vicino ha Gesù facci capire esattamente di cosa ha bisogno l'uomo per incontrare Dio, per trasfigurarsi in Lui, per contemplarlo nella sua gloria. Ci vogliono tre cose essenziali: la fede-contemplativa, la parola che è vita e la profezia che è speranza ed annunzio. In un attimo i tre discepoli sperimentano contemporaneamente questo stato di benessere spirituale ed anche fisico, al punto tale, che Pietro prende la parola e si rivolge a Gesù, trasmettendo a Lui lo stato di benessere assoluto in cui si trovano tutte e tre in quel momento: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa».
Commentando questa situazione, l'Evangelista Luca, annota questo fatto: "Egli, Pietro, non sapeva quello che diceva". Sarà stato il sonno, sarà stata la visione beatifica a cui assistono, certo è che, nel descrivere il fatto, Luca annota che "mentre Pietro parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura". Immersi totalmente nella dimensione della contemplazione dell'eterno i tre discepoli sentirono con chiarezza una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». In altra circostanza una voce aveva detto di ascoltare Gesù e fu in occasione del Battesimo al Giordano. Anche in quella circostanza Gesù è indicato come il Figlio di Dio al quale bisogna prestare la giusta attenzione a quanto Egli afferma. Chiaro invito a fare tesoro di ogni parola che esce dalla bocca del Signore se vogliamo rinnovarci e convertirci a Lui.
Non senza una sottile connotazione spiritualistica che l'Evangelista Luca, afferma a chiusura di quanto è successo il Monte della Trasfigurazione che "appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto". Il silenzio interiore, la meditazione, la contemplazione richiedono tempi di concentrazione su se stessi, perché ciò che si è udito e visto possa trasformare il cuore, la mente e la vita.
Questo invito al cambiamento radicale di noi stessi, soprattutto in questo tempo di Quaresima ci viene suggerito, indicato e dettagliatamente proposto dal brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési: "Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi. Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo". Chi sono i nemici della croce di Cristo, sono tutti coloro che non hanno fede, non accettano l'insegnamento di Cristo nel suo vangelo, non agiscono rettamente e vivono la solo dimensione terrena e materiale della propria esistenza, al punto tale che il ventre è il loro Dio e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi".
Per gli amici della croce del Crocifisso invece esiste un'altra prospettiva ed un altro modo di vivere che è quello che guarda il cielo e agisce in prospettiva dell'eternità. Infatti, scrive l'Apostolo che "la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose".
Omelia di padre Antonio Rungi
Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Quaresima (Anno C)
tratto da www.lachiesa.it