10 gennaio 2016 - Festa del Battesimo del Signore: l'umiltà, lo stile di Dio

News del 09/01/2016 Torna all'elenco delle news

«Viene dopo di me colui che è più forte di me e vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco, vi immergerà nel vento e nel fuoco di Dio. Bella definizione del cristiano: Tu sei "uno immerso" nel vento e nel fuoco, ricco di vento e di fuoco, di libertà e calore, di energia e luce, ricco di Dio.

Il fuoco è il simbolo che riassume tutti gli altri simboli di Dio. Nel Vangelo di Tommaso Gesù afferma: stare vicino a me è stare vicino al fuoco. Il fuoco è energia che trasforma le cose, è la risurrezione del legno secco del nostro cuore e la sua trasfigurazione in luce e calore.

Il vento: alito di Dio soffiato sull'argilla di Adamo, vento leggero in cui passa Dio sull'Oreb, vento possente di Pentecoste che scuote la casa. La Bibbia è un libro pieno di un vento che viene da Dio, che ama gli spazi aperti, riempie le forme e passa oltre, che non sai da dove viene e dove va, fonte di libere vite.

Battesimo significa immersione. Uno dei più antichi simboli cristiani, quello del pesce, ricorda anche questa esperienza: come il piccolo pesce nell'acqua, così il piccolo credente è immerso in Dio, come nel suo ambiente vitale, che lo avvolge, lo sostiene, lo nutre.

Gesù stava in preghiera ed ecco, venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento». Quella voce dal cielo annuncia tre cose, proclamate a Gesù sul Giordano e ripetute ad ogni nostro battesimo.

Figlio è la prima parola: Dio è forza di generazione, che come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue.

Amato. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è "amato". «Tu ci hai amati per primo, o Dio, e noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una volta sola. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera Tu ci ami per primo» (Kierkegaard).

Mio compiacimento è la terza parola, che contiene l'idea di gioia, come se dicesse: tu, figlio mio, mi piaci, ti guardo e sono felice. Si realizza quello che Isaia aveva intuito, l'esultanza di Dio per me, per te: «Come gode lo sposo l'amata così di te avrà gioia il tuo Dio» (ls 62,5).

Se ogni mattina potessi ripensare questa scena, vedere il cielo azzurro che si apre sopra di me come un abbraccio; sentire il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio mio, amato mio, mio compiacimento; sentirmi come un bambino che anche se è sollevato da terra, anche se si trova in una posizione instabile, si abbandona felice e senza timore fra le braccia dei genitori, questa sarebbe la mia più bella, quotidiana esperienza di fede.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Nella concretezza dell'incarnazione

Riguardo a Giovanni Luca non ci racconta il battesimo di Gesù. La lettura, mutilata dei versetti 17-20, salta l'espressione conclusiva della attività del Battista, con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo (Lc 3,18) e il racconto di Erode che fece rinchiudere Giovanni in prigione (Lc 3,20).

È vero che non dobbiamo tener troppo conto della cronologia dei fatti come appare dai vangeli, ma è anche vero che la redazione finale pone una certa distanza tra l'evento del Battista, e dunque il battesimo appena accennato, e la preghiera di Gesù.

Mentre tutto il popolo Chiuso il racconto del Battista, Luca riprende con una espressione ed un inciso di grande importanza: tutto il popolo veniva battezzato. L'espressione tutto è sicuramente una esagerazione ma fortemente indicativa del sentire dell'evangelista che vuole imprimere un valore universale a quello che sta accadendo: in modo particolare l'inciso, Gesù ricevuto anche lui il battesimo, messo lì quasi di passaggio per concentrarsi sull'episodio che si vuole effettivamente narrare. 

Luca, interpreta il battesimo di Giovanni come prima risposta al bisogno universale di salvezza mentre il battesimo di Gesù sottolinea la sua appartenenza a tutto il popolo e la sua incarnazione in esso. È un mistero non facile da capire e da descrivere, quello di Dio che si fa uomo (carne come in Gv 1,14), che si mischia nell'umanità e non si distingue, che lo accomuna ai peccatori a coloro che sentono il bisogno di conversione mettendosi in fila con gli altri per il battesimo. È interessante notare, invece, come l'iconografia cristiana, sia orientale che occidentale, raffigura il battesimo di Gesù come fatto isolato e solitario, nascondendo o attenuandone la portata simbolica.

La pienezza dell'incarnazione, che il battesimo con l'umanità peccatrice orienta al compimento sulla croce, fa da substrato all'evento successivo della preghiera.

Stava in preghiera Immaginare Gesù in preghiera ci confonde, ma confusi lo erano anche i discepoli se sono spinti a chiedere «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (Lc 11,1). 

Le immagini post seicentesche di Gesù inginocchiato con le mani giunte sono lontanissime dalla realtà e dalla tradizione semitica. Si è tentato di raffigurare la preghiera con un atteggiamento diverso, rituale, separato dagli altri atteggiamenti della vita, così come separiamo la preghiera incorniciandola tra due segni di croce. 

Il testo di Luca ci suggerisce una cosa diversa, mentre il battesimo è già compiuto, il verbo pregare (al participio presente) indica una azione continua, non un atteggiamento, ma un abito, lontanissimo dal tempo ristretto per dire o recitare preghiere; Gesù stava in preghiera.

La sua era una preghiera ininterrotta come San Paolo raccomanda: pregate ininterrottamente (1Ts 5,17).

Quello che l'abito della preghiera suggerisce è la costante immersione nella relazione col Padre, una perfetta comunione con Lui e il Suo Progetto di salvezza per l'uomo.

È l'abito della preghiera che rivela Gesù nella pienezza dell'umanità che si affida al Padre e riceve la consacrazione per la missione che gli è affidata.

Il cielo si aprì La preghiera di Gesù, consapevolmente in comunione con l'umanità debole e peccatrice, apre i cieli, fa discendere lo Spirito, comunica con il Padre. C'è un parallelo con Luca 11: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto (v.9), la preghiera è bussare alla porta che si apre, comunicare con il Padre che dona lo Spirito, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono! (v.13).

La preghiera, nella sua autenticità, è obbedienza incondizionata al progetto del Padre (con tutti i limiti dell'umano), apre la porta del cielo, ci mette in comunicazione (comunione) con il Padre, fa comprendere noi stessi che ci sentiamo figli amati del Padre, ci dispone ad accogliere il dono dello Spirito.

Come una colomba Come una colomba è un paragone che ha condizionato in futuro l'iconografia dello Spirito Santo che Luca ci racconta nella "corporeità" come ulteriore dono del Padre che si fa incontro alle nostre esigenze umane segnate più dal corpo (carne) che dallo spirito. È ulteriore conferma di Dio che ha scelto come itinerario di salvezza per l'uomo l'Incarnazione, se Dio dà corpo allo Spirito, tanto più noi che siamo già corporei dobbiamo dare corpo (storicità) al dono dello Spirito... che è proprio tutto l'incontrario di spiritualizzare l'uomo e la storia, è invito alla concretezza.

Omelia di don Luciano Cantini

 

Nel Battesimo l'umiltà di Dio

Questa Domenica osserviamo il Figlio di Dio che si confonde con coloro che fanno ressa alla riva del fiume Giordano per ricevere il battesimo di Giovanni. Questo era all'epoca un segno esteriore che avveniva con acqua per significare il pentimento sincero di quanti si erano ravveduti dai loro peccati e intendevano riconciliarsi con Dio; un rito simile ai vari usi iniziatici di altre religioni, anche nel paganesimo. Da Giovanni accorrevano tutti coloro che avevano preso coscienza del loro peccato, che consideravano la loro indegnità e meschinità, si sentivano oppressi dalla loro coscienza e il peccato era stato per loro uno stato di indegnità davanti a Dio. C'è differenza infatti fra peccato e senso di colpa: quest'ultimo riguarda il lato psicologico personale di una persona che si rapporta con se stessa. Il peccato è invece la consapevolezza di aver offeso innanzitutto Dio e di aver perso la comunione con lui e poiché Dio lo si trova nei fratelli il peccato è implicitamente una mancanza anche nei loro confronti, poiché quando non si ama il fratello non si ama Dio. Nella consapevolezza di aver peccato, ai è un rapporto in dimensione verticale e un altro orizzontale.

Di tutto questo doveva essere ben consapevole Gesù, il Figlio di Dio, che entra in contatto con i peccatori per fare la fila con loro e ricevere il battesimo, come se anche lui avesse avuto delle colpe da cui emendarsi. Che Dio avesse fatto assumere a Gesù una carne di peccato è assodato. Come dice infatti Paolo: " Colui che non aveva conosciuto peccato eppure Dio lo trattò da peccato a nostro favore"(2Cor 5, 21) perché potesse partecipare in tutto della nostra natura umana assumendone ogni precarietà. Ciononostante egli "è stato tentato in ogni cosa senza commettere peccato"(Eb 4, 15) e piuttosto "lui ci è stato manifestato per togliere i peccati, ma in lui non c'è peccato"(1Gv 3, 5). Adempiere la volontà del Padre corrisponde per Gesù a eliminare i nostri peccati, a vincere il peccato soprattutto nel riscatto della croce, ma in effetti in tutta la sua vita umana Cristo non ha mai peccato e nessuna imperfezione poteva mai caratterizzarlo. Eppure lo troviamo fra i peccatori a chiedere il battesimo come se avesse peccato alla pari di tutti gli altri. Nella risposta stessa di Gesù a Giovanni si trova la spiegazione di tanto abbassamento da parte del Figlio di Dio: "Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia". Nel linguaggio del profeta Isaia "adempiere ogni giustizia corrisponde a "preparare la via del Signore e raddrizzare i sentieri" (Is 40, 3) invito che aveva proclamato lo stesso Battista sulle orme del profeta medesimo (preparare la via del Signore) ma quale poteva essere il migliore procedimento del Verbo Incarnato per predisporre le nostre vie se non percorrerle insieme a noi? Come poteva aiutarci il Figlio di Dio se non configurandosi con noi peccatori e condividendo tutto, sentimenti, impressioni, timori e prospettive? Gesù fa la fila non perché abbia la coscienza di aver peccato, ma perché vuol rendersi in tutto solidale con i peccatori, condividendo ogni cosa con loro ai fini di poterli liberare dal morbo che li affligge dopo averli condotti e accompagnati. Una decisione di semplice condivisione e abbassamento che indica la pienezza della misericordia di Dio.

Diceva un autore che "l'umiltà è la ricchezza della povertà", perché essa è all'origine di tutto ciò che può nobilitare l'uomo e di conseguenza non si è mai miseri quando si è umili. Secondo Marcel Aymè "l'umiltà è l'anticamera delle perfezioni, e senza di essa le virtù sono vizi." Anche se non sempre l'esperienza ce ne da conferma, mostrarci umili e sottomessi dischiude la strada per conseguire ogni successo e per consolidarci nelle virtù. Anzi, la buona disposizione all'umiltà coltiva e accresce qualsiasi virtù acquisita e qualsiasi pregio o facoltà possiamo ritrovarci. Non avere vanagloria e presunzione da ostentare, non coltivare ambizioni o false e altezzose pretese, considerare gli altri al di sopra di noi stessi e non avere di che autoesaltarci evitando la megalomania e la presunzione sono tutti effetti dell'unica virtù senza la quale nessun obiettivo è possibile, appunto l'umanità. Papa Francesco in qualche luogo ci ricordava che l'umiltà innanzitutto è lo stile di Dio, al quale l'uomo è chiamato ad attingere e sul quale ci si deve conformare. In questo Anno dedicato alla misericordia ci rendiamo conto che essa è una prerogativa del Dio amore che sacrifica se stesso superando ogni nostra aspettativa. Dio per amore dell'uomo si umilia e su questo ci dà esempio concreto di umiltà. Dio che spoglia se stesso rinunciando al predominio e alle sue certezze, e che per amore dell'uomo si fa piccolo per innalzare tutti è già un emblema di umiltà proficua e munifica.

Ora Gesù si dispone in fila davanti al Battista per condividere lo stato di debolezza morale di tutti i suoi contemporanei, anche se è inesistente il suo stato di debolezza e di peccaminosità attuale. Con la fuoriuscita dall'acqua Gesù ottiene il dono dello Spirito Santo simboleggiato metaforicamente dalla colomba (dolcezza, pace e gioia nella novità di vita) dell'avallo del Padre che lo istituisce "Figlio suo prediletto". Non che non lo fosse già prima, ma adesso in forza dello Spirito Dio Padre ce lo manifesta come tale in vista della missione di annuncio del Regno di Dio che egli darà al mondo. Sarà lo Spirito Santo a condurre Gesù prima nel deserto e poi a Cafarnao, dove inizierà il suo ministero pubblico; sempre lo Spirito condurrà Gesù in tutta la sua predicazione e nella missione pubblica, facendo in modo che egli venga riconosciuto ed esaltato Figlio del Padre. In Cristo si evince il vero e inconfondibile Signore che salva e che redime, cioè il Dio che non potrebbe essere mai confuso con nessun altro: il Dio Trinitario.

Dio che nella sua pienezza di gloria e di grandezza si china sulle nostre miserie e prende sulle spalle la nostra povertà morale, facendo propri i nostri bisogni e che non disdegna di confondersi con i peccatori, mentre agli occhi del mondo c'è sempre stata incompatibilità fra peccatori e giusti.

Lo stesso Cristo Signore istituirà un Battesimo diverso da quello di Giovanni. In esso non vi sarà semplicemente un "segno" esteriore di acqua. Questa sarà solamente la materia del Sacramento, per mezzo della quale lo stesso Cristo, in forza dello Spirito Santo, ci libererà egli medesimo dal peccato che tutti ci caratterizza (peccato originale) risollevandoci e chiamandoci a vita nuova. Nel battesimo operato da Gesù riceveremo direttamente la grazia santificante e diventeremo figli di Dio. Figlio nel Figlio, partecipi della stessa missione sacerdotale del Cristo, anche noi missionari con lui.

Il solo termine Battesimo (Bautizo) è espressivo degli effetti di grazie che esso comporta nella nostra vita: vuol dire etimologicamente "lavacro", questo da intendersi nel duplice senso di lavacro di distruzione e debellamento e lavacro innovativo di rigenerazione. Nel primo caso si ha infatti che nel Battesimo si ottiene la liberazione dal peccato che è la radice di tutti i mali; nel secondo caso, una volta liberi e riscattati si rinasce a nuova vita e ci si dispone a camminare secondo nuova dignità di vita. Del nostro Battesimo, che non di rado dalle famiglie dei piccoli battenzandi viene frainteso quasi alla stregua di una festa gratuita senza conseguenze, dovremmo allora essere e manifestarci orgogliosi e testimoniare nella gioia la nostra appartenenza al Dio che si è umiliato per noi.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Festa del Battesimo del Signore (Anno C) 10 gennaio 2016

tratto da www.lachiesa.it