Non la fine ma IL fine

News del 14/11/2009 Torna all'elenco delle news

Espressioni simboliche come l'oscuramento improvviso del sole e la caduta degli astri, presenti già a più riprese nel libro del profeta Isaia, come sottolinea mons. Ravasi, non vanno interpretate letteralmente ma assumono un significato simbolico.
Si tratta di immagini che favoriscono un linguaggio escatologico che tende a rafforzare una realtà che si vuole esprimere con tutt'altre forme e che ha invece contenuti di speranza favorendo la gioia dell'attesa anziché l'angoscia e lo sgomento.
Certamente noi attendiamo il compimento finale dei tempi, il ritorno definitivo di Cristo nella gloria per il giudizio finale nel quale il male sarà definitivamente sconfitto, tuttavia espressioni del tipo suddetto e altre immagini indirette che presenziano nei testi sacri ci invitano a guardare non tanto alla "fine del mondo" quanto piuttosto "al fine del mondo" o meglio al nostro fine,. il nostro obiettivo definitivo universale, che è sempre il Signore Gesù Cristo.
Gesù va concepito infatti non solamente come il nostro presente ma anche come il nostro futuro, l'obiettivo per il quale occorre sempre coltivare la nostra fede e accrescere la fiducia e la speranza e verso il quale incamminarci e in forza del quale perseverare nelle avversità e nelle sfide di tutti i giorni, poiché se è vero che l'uomo non può omettere di porsi delle mete e dei progetti, se è vero che la vita è un continuo protrarsi in avanti e un costruire continuamente le nostre tappe, tutti gli obiettivi si compendiano nell'unica meta assunta come nostro destino ultimo, che è il Signore Gesù Cristo. Guardare a Gesù è motivo di sprone e di incoraggiamento per la vita dell'oggi e incute slancio e fiducia nell'impegno quotidiano; intanto però ci dischiude il cammino verso il culmine della storia umana, quando lo stesso Signore tornerà nella gloria e la storia stessa assumerà la sua pienezza. Allora, come promette Daniele, "Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre." Si realizzerà infatti la vittoria definitiva dei giusti, il premio riservato a chi avrà perseverato nel bene e la disfatta di coloro che avranno deliberato per il male.
Quando avrà luogo il compimento di questa speranza definitiva? In tanti si sono sbizzarriti nel calcolare probabili date preconizzando scadenze imminenti e promesse alienanati di paradisi fascinosi a breve distanza di tempo, come nel caso di numerosi movimenti millenaristi che tutt'oggi mietono sempre più adepti rifilando chimere, illusioni e deludenti certezze; ma determinare l'esattezza scientifica del "giorno della fine non può mai corrispondere al volere di Dio, poiché rientra nell'ordine della salvezza non l'attesa trepidante e angosciosa di un limite temporale da attendere con ansia e sgomento, quanto piuttosto l'impegno costante nell'esercizio della virtù e nell'operosità fattiva fiduciosi e motivati nella speranza, per il quale non si necessita la formulazione di data alcuna.

Aspettando la venuta gloriosa del Signore siamo chiamati all'impegno e all'intraprendenza nel bene, alla gioia e alla costruzione del Regno nelle singole opere dell'amore che scaturiscono dalla fede nel Salvatore, alla costante edificazione di noi stessi e degli altri nella costruzione della giustizia, della pace e della solidarietà avendo adesso il pegno dello stesso Signore glorioso, ma come potremmo noi cimentarci nella virtù se ad animarci fosse solo l'angoscia dell'approssimarsi di un giorno segnato sul calendario? Dove avremmo l'opportunità di esternare la libertà e la responsabilità delle nostre azioni nell'aspettativa di una precisa scadenza che incuterebbe solo trepidazione e sgomento, omettendo ogni slancio, fervore ed entusiasmo?

Deve essere l'entusiasmo e la gioia dell'appartenenza a Cristo a fondare il nostro presente in vista del futuro e anzi il futuro stesso, che per noi è Cristo va immediatamente riconosciuto e identificato nell'oggi e nell'attualità poiché Cristo è il nostro presente e al contempo il nostro futuro. E' legittimo pertanto che nessuno sappia "il giorno e l'ora" e che procediamo nella costruzione della storia attivi nel presente per la costruzione progressiva del futuro, predisponendoci all'incontro definitivo con la Gloria infinita del Risorto.

Nell'attesa del compimento della storia siamo invitati dal Signore ad adoperarci attivamente, a vigilare e ad adoperarci nella costruzione del presente in vista del futuro prestando attenzione come farebbe un agronomo osservando l'avvento dell'estate dal germogliare delle foglie del fico: quando l'albero, che durante l'inverno è sempre spoglio, inizia a germogliare e a produrre le prime foglie, è certo prossimo l'arrivo dell'estate; così pure dai segni dei tempi e dai copiosi frutti di grazia di cui il Signore ci beneficia anche noi siamo edotti sulla maturità dei tempi. Questa avviene di fatto in ogni epoca e in qualsiasi momento della storia ma si esaudirà in pienezza solo nel giorno che non ci è dato di sapere.
Siamo invitati quindi non alla considerazione della fine della storia ma DEL FINE di essa e dell'obiettivo che ci si dispiega di fronte man mano che procedono i nostri giorni e che non può essere che lo stesso Signore. 

Testo di padre Gian Franco Scarpitta 
 

Quella breccia di luce sul futuro

Per noi che viviamo di solo presente, la litur­gia apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre. Non per anticipare la data di un futuro, ma per insegnar­ci a vivere giorni aperti al fu­turo. Il Vangelo non parla della fine del mondo ma del senso della storia.
Dice parole d'angoscia, ep­pure ci educa alla speranza, in questa nostra vita che è un impasto di dramma e di delicatezza. Parla di stelle che si spengono e cadono dal cielo, ma il profeta dice che il cielo non sarà mai spento, mai vuoto di stelle: «I saggi risplenderanno come stelle per sempre». Cadano pure i vecchi punti di riferi­mento, uomini nuovi si ac­cendono su tutta la terra, e da questa storia che sembra risucchiata verso il basso, «salgono invece nella casa delle luci». Uomini giusti e santi, uomini e donne in tut­to il mondo salgono nella ca­sa della luce: sono coloro che conservano in fondo agli oc­chi il riverbero della speran­za, che hanno passione per la pace, che inducono il mondo a essere più giusto e più buono loro «risplende­ranno come le stelle per sem­pre». Oggi non c'è bisogno di grandi Profeti, ma di piccoli profeti che vivano con sem­plicità, senza chiasso, senza integralismi il Vangelo nella vita quotidiana.
E questi sono come stelle, e sono molti, e sono legione, e sono come astri del cielo e della storia: basta saperli ve­dere, basta alzare lo sguardo attorno a noi: non sprechia­mo i giusti del nostro mon­do, non dissipiamo il tesoro di bontà delle nostre case.
Cristo è vicino, sta alle porte,
Cristo che è alla periferia del­la mia casa, della mia città, a­gli orli murati dei nostri mondi separati, sta lì, come una porta, come una brec­cia nel muro, come una breccia di luce a indicare in­contri e offerte di solidarietà e di amore.
E se ogni Eucaristia, se ogni vita, se ogni sera della vita si chiudesse con le parole stes­se con cui si chiude la Bibbia, parole di porte aperte, di battenti spalancati, di cuore e di braccia larghi quanto la speranza: «Lo Spirito e la Sposa dicono vieni! e chi a­scolta ripeta: vieni».
E se ognuno dicesse a tutti e a tutto, a Dio e ad ogni crea­tura «Vieni»; se dicesse alla persona amata ma anche al­l'estraneo, all'ultima stella del cielo e al povero «Vieni»; se dicesse agli uomini giusti e saggi di cui è pieno il mon­do «Vieni»; in questa ospita­lità reciproca troveremmo il senso dell'avvento, in que­sto non sentirsi gettati via il senso della storia. 

Testo di padre Ermes Ronchi 
tratti da www.lachiesa.it