22 novembre 2015 - Solennità di Cristo Re dell'universo: la regalità di Cristo è pienezza d'umano
News del 21/11/2015 Torna all'elenco delle news
Due uomini, Pilato e Gesù, uno di fronte all'altro. Il confronto di due poteri opposti: Pilato, circondato di legionari armati, è dipendente dalle sue paure; Gesù, libero e disarmato, dipende solo da ciò in cui crede. Un potere si fonda sulla verità delle armi e della forza, l'altro sulla forza della verità. Chi dei due uomini è più libero, chi è più uomo? È libero chi dipende solo da ciò che ama. Chi la verità ha reso libero, senza maschere e senza paure, uomo regale.
Dunque tu sei re? Il mio regno però non è di questo mondo.
Gesù rilancia la differenza cristiana consegnata ai discepoli: voi siete nel mondo, ma non del mondo. I grandi della terra dominano e si impongono, tra voi non sia così.
Il suo regno è differente non perché riguardi l'al di là, ma perché propone la trasformazione di «questo mondo».
I regni della terra, si combattono, i miei servi avrebbero combattuto per me: il potere di quaggiù ha l'anima della guerra, si nutre di violenza. Invece Gesù non ha mai assoldato mercenari, non ha mai arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. «Metti via la spada» ha detto a Pietro, altrimenti la ragione sarà sempre del più forte, del più violento, del più crudele. Dove si fa violenza, dove si abusa, dove il potere, il denaro e l'io sono aggressivi e voraci, Gesù dice: non passa di qui il mio regno.
I servi dei re combattono per i loro signori. Nel suo regno no! Anzi è il re che si fa servitore dei suoi: non sono venuto per essere servito, ma per servire.
Un re che non spezza nessuno, spezza se stesso, non versa il sangue di nessuno, versa il suo sangue, non sacrifica nessuno, sacrifica se stesso per i suoi servi. Pilato non può capire, si limita all'affermazione di Gesù: io sono re, e ne fa il titolo della condanna, l'iscrizione derisoria da inchiodare sulla croce: questo è il re dei giudei.
Che io ho sconfitto. Ed è stato involontario profeta: perché il re è visibile proprio lì, sulla croce, con le braccia aperte, dove l'altro conta più della tua vita, dove si dona tutto e non si prende niente. Dove si muore ostinatamente amando. Questo è il modo regale di abitare la terra, prendendosene cura.
Pilato poco dopo questo dialogo esce fuori con Gesù e lo presenta alla folla: ecco l'uomo.
Affacciato al balcone della piazza, al balcone dell'universo lo presenta all'umanità: ecco l'uomo! l'uomo più vero, il più autentico degli uomini. Il re. Libero come nessuno, amore come nessuno, vero come nessuno. La regalità di Cristo non è potere ma pienezza d'umano, accrescimento di vita, intensificazione d'umanità: «il Regno di Dio verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (G. Vannucci).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Davvero il suo regno non è di questo mondo!
Introduzione Per festeggiare Cristo, re dell'universo, la Chiesa non ci propone il racconto di una teofania splendente. Ma, al contrario, questa scena straziante della passione secondo san Giovanni, in cui Gesù umiliato e in catene compare davanti a Pilato, onnipotente rappresentante di un impero onnipotente. Scena straziante in cui l'accusato senza avvocato è a due giorni dal risuscitare nella gloria, e in cui il potente del momento è a due passi dallo sprofondare nell'oblio. Chi dei due è re? Quale dei due può rivendicare un potere reale (Gv 19,11)? Ancora una volta, secondo il modo di vedere umano, non si poteva che sbagliarsi. Ma poco importa. I giochi sono fatti. Ciò che conta è il dialogo di questi due uomini. Pilato non capisce niente, né dei Giudei, né di Gesù (Gv 18,35), né del senso profondo del dibattito (Gv 18,38). Quanto a Gesù, una sola cosa conta, ed è la verità (Gv 18,37). Durante tutta la sua vita ha servito la verità, ha reso testimonianza alla verità. La verità sul Padre, la verità sulla vita eterna, la verità sulla lotta che l'uomo deve condurre in questo mondo, la verità sulla vita e sulla morte. Tutti campi essenziali, in cui la menzogna e l'errore sono mortali. Ecco cos'è essere re dell'universo: entrare nella verità e renderle testimonianza (Gv 8,44-45). Tutti i discepoli di Gesù sono chiamati a condividere la sua regalità, se "ascoltano la sua voce" (Gv 18,37). È veramente re colui che la verità ha reso libero (Gv 8,32).
Omelia Oggi è la festa del Signore che è re dell'universo. Davvero il suo regno non è di questo mondo! Il Vangelo, infatti, ci parla di un uomo debolissimo, spogliato di tutto, povero, la cui vita dipende interamente da altri. Come si può pensare che un uomo in quelle condizioni potesse essere re di qualcosa? Non ha alcun aspetto di potenza. Nel nostro mondo dove quello che conta è ciò che appare, come possiamo affidarci ad un uomo così, che mostra esattamente il contrario della forza? Perfino i passanti possono deriderlo, tanto che gli buttano in faccia il suo fallimento, gridando a lui, condannato a morte: "Salva te stesso!". Noi i forti li cerchiamo, spesso li corteggiamo, facilmente sappiamo tutto di loro (e magari non sappiamo nulla del nostro vicino!) perché pensiamo ci diano protezione, successo, sicurezza, riconoscimento, benessere. Ma uno come Gesù non può certo soddisfarci! Anzi, lo sfuggiamo, perché ci ricorda la nostra debole umanità. Come può lui essere re? Di cosa? Al massimo può suscitare la pietà. Eppure dice a Pilato: "Tu lo dici; io sono re! Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo!". Quell'uomo, sconfitto da tanti piccoli re di arroganza e violenza, da una folla che gli urla in faccia la sentenza, proprio lui reclama di essere re. I re di questo mondo vogliono essere serviti, non servire. Vogliono avere e non donare. Vogliono imporre, parlare sopra gli altri, non stare a sentire nessuno. Vogliono stare bene loro, ma non sanno fare stare bene gli altri. Vogliono avere ragione e non cambiare mai; comandare e non obbedire a nessuno. Mettono le loro condizioni e si irritano se non sono osservate; eliminano chi sentono come un nemico o chi non piace. I re di questo mondo vogliono essere amati ma non si sforzano di umiliarsi a farlo per davvero; sono soli, perché finiscono per avere paura dell'altro. Si circondano di complici e di sudditi, ma non hanno amici. Anche Gesù venne tentato di diventare un re in questo modo. Il male lo voleva legare al potere del consumo, delle cose, del piegare tutto, anche la Parola di Dio, ai propri interessi. "Tutte queste cose ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai", gli aveva detto il diavolo nel deserto. Gesù non è comprato dal denaro; non scende a compromessi. Si rifiuta di servire i regni di questo mondo. "Il mio regno non è di questo mondo", dice a Pilato. Gesù è re perché serve ed ama. Re, perché solo l'amore comanda realmente ed è il vero potere sul creato, l'unico che può capirlo e non sciuparlo. Re perché figlio. Re non sugli altri o contro gli altri, ma insieme e per gli altri. È re perché niente può resistere all'amore. Per questo lui è l'alfa e l'oméga, la prima e l'ultima lettera, come è scritto nel libro dell'Apocalisse.
La sua forza, l'unica che conta e che resta della vita, è quella dell'amore. Per questo è il più forte di tutti i forti della terra; per questo è re dell'universo. Chiede anche a noi di confidare nella forza del volere bene, di non svuotarla di sentimenti, di intelligenza, di cuore; chiede di non rinunciare per paura, di non pensare che è troppo poco. Gesù, debole, mite ed umile di cuore, è re perché tutti noi, che siamo deboli e bisognosi, che siamo poca cosa, possiamo vincere con lui il male, il nemico della vita e dell'amore. Anche noi possiamo essere suoi. Il suo regno passa per questo mondo, per i nostri cuori. Chi non appartiene a lui finisce per essere schiavo della logica dei re o della seduzione del potere e della spada. È bello e dolce appartenere a lui, perché nel suo regno di amore tutto è nostro, senza limiti. "Ama e fa ciò che vuoi". Perché il potere dell'amore, come dice il profeta Daniele, dura in eterno, non tramonta mai. I tanti re di questo mondo, finiscono, passano, come la loro forza; si rivelano ignobili, caduchi, volgari, pieni di ossessioni. Il suo regno non finisce. Signore, re dell'universo, vieni presto ad asciugare le lacrime degli uomini, a liberare dal male, dall'odio, dalla violenza, dalla guerra. Venga presto il tuo Regno di pace e di giustizia. Insegnaci ad appartenere a te, a non avere paura, ad essere forti e liberi nell'amore, deboli come siamo, deboli come te, Signore, che sei un re debole che ha vinto il male. A te gloria e potenza, nei secoli dei secoli.
Omelia di mons. Vincenzo Paglia
Festa di Cristo RE. Affidiamoci a Gesù, il Signore
Gesù si dichiara Re, Re della nostra vita, Re della nostra storia personale e umana. Un Re che non ci tiene sottomessi, ma ci libera. Ci libera da tutte le tentazioni e schiavitù mondane che ci fanno male, che fanno male a tutti. Lui è il liberatore, il Salvatore. Noi siamo felici di essere suoi, di essere figli di Dio, perché Lui è il Figlio.
Il Vangelo di oggi ci mostra una regalità speciale, una regalità contro corrente, una regalità alternativa. Gesù si proclama Re, non nel momento di massimo trionfo (dopo aver compiuto uno strepitoso miracolo, come la moltiplicazione dei pani, la risurrezione di Lazzaro...), ma proprio nel momento del suo massimo fallimento.
Non è seduto su di un trono, ma in piedi, con le braccia spalancate per abbracciare l'umanità intera che tutta gli appartiene; non porta vesti regali e preziose, è spogliato delle sue vesti, spogliato del suo mantello di porpora, è rivestito del suo sangue versato per la salvezza dell'umanità.
Ha anche lui una corona, ma la sua corona è di spine, le pietre preziose sono sostituite da rivoli di sangue sul volto, per lavare ogni volto deturpato dalle brutalità umane.
Non ha lo scettro: la sua forza è l'umiltà, l'abbandono fiducioso nelle mani del Padre; il suo potere gli viene dalla sua unità alla volontà del Padre.
La regalità di Gesù può sembrare un po' scomoda, non per nulla i discepoli lo abbandonano, non si credono capaci di accogliere una tale umile regalità; non desiderano essere sudditi di un Re fallito in partenza. Si attendevano il trionfo, vedono invece il massimo fallimento di colui al quale hanno consegnato la loro vita. Credere alle parole di Gesù, "io sono Re", può sembrare difficile.
Gesù dice ancora: "Il mio Regno non è di questo mondo." Il suo infatti, è un Regno che non ha confini, non ha fine, è eterno; non ha bisogno della luce del sole, né della luna, perché la gloria di Dio lo illumina. In esso non vi sarà morte, né lutto, né lamento, né affanno... Nessuno nel suo Regno avrà fame e sete... Nel suo Regno regnerà la Pace, perché Lui è il Principe della Pace. Per far parte del suo Regno non servono passaporti speciali o domande di cittadinanza particolari. Al buon ladrone, crocifisso con Gesù che gli chiede di essere ricordato quando sarà nel suo regno, Gesù dice: "Oggi stesso sarai con me in paradiso, nel mio regno". In fondo, un ladro ha capito questo segreto: ha saputo riconoscerlo Signore, Re, nonostante si mostrasse apparentemente un fallito.
Ci possiamo soffermare anche sulle ultime parole di Gesù: "Tu lo dici: io sono Re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce." Noi molte volte facciamo come Pilato: ascoltiamo tante verità, ma non la Verità: Gesù Cristo. Nella confusione attuale, c'è più che mai bisogno di ascoltare la Verità, cioè la rivelazione dell'amore del Padre
La regalità di Gesù si identifica con la sua missione rivelatrice e salvifica. Lui è Re perché comunica la vita divina all'umanità, la vita di amore del Padre. Ogni volta che facciamo un gesto di Amore, di Pace, di Giustizia, stiamo proclamando la Verità, perché Gesù è amore, pace e giustizia. Riconoscere Gesù Re, significa usare lo stesso scettro di perdono di fronte alla tentazione del potere e della vendetta; essere disposti a farci mettere la stessa corona quando qualcuno ci insulta o ci prende in giro senza motivo; cingerci della stessa veste, qualora fosse necessario testimoniare la nostra fede negli ambienti più difficili dove, come cristiani, siamo chiamati a vivere.
Il Papa ha indetto questo Anno speciale della Fede, proprio perché la Chiesa rinnovi l'entusiasmo di credere in Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ravvivi la gioia di camminare sulla via che ci ha indicato, e testimoni in modo concreto la forza trasformante della fede.
Omelia di don Roberto Rossi
Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità di Cristo Re (Anno B) domenica 22 novembre 2015
tratto da www.lachiesa.it