18 ottobre 2015 - XXIX Domenica del Tempo Ordinario: Comandare significa servire

News del 16/10/2015 Torna all'elenco delle news

La "destra" nell'Antico Testamento è una posizione privilegiata. Per quanto riguarda Dio e la sua onnipotenza, viene citata la (mano) destra con cui Dio opera portenti e meraviglie specialmente debellando gli avversari (Es 15,6). Alla "destra" del Signore risplende la Regina (Salmo 44). E soprattutto il Salmo 110, probabilmente composto in occasione dell'intronizzazione di un re, colloca il monarca assiso sul trono "alla destra dell'Altissimo, rivelando che egli assume una posizione quasi alla pari di quella di Dio. "Sedere alla destra del Padre" è per il Figlio di Dio essere pari a Dio Padre nella sostanza e nell'eternità.

Non è difficile allora comprendere quanto sia pretestuosa la richiesta avanzata da parte di Giacomo e Giovanni, apostoli figli di Zebedeo: vogliono innanzitutto che Gesù soddisfi la loro volontà, che si atteggi nei loro confronti secondo i loro desideri. Quindi descrivono nei dettagli ciò che pretendono: che possano sedere uno alla sua destra, l'altro alla sua sinistra ed essere così particolarmente avvantaggiati rispetto agli altri, insigniti di un onore irripetibile per altri. Discorso non estraneo ai nostri giorni, quando l'arrivismo e la vanagloria ottenebrano i nostri rapporti sociali determinando confusione e scompiglio a motivo della volontà di emergere gli uni sugli altri Non di rado si ricorre alle amicizie e alle raccomandazioni per ottenere quanto ad altri spetterebbe per merito.

Gesù rimprovera la caparbietà di questi due discepoli, sottolineando che probabilmente essi ignorano quanto hanno chiesto o non ne sono abbastanza consapevoli: "Voi non sapete quello che chiedete", soprattutto perché intendevano così sfidare la libertà decisionale di Dio, l'unico che avrebbe potuto stabilire a quale grado di grandezza essi avrebbero potuto accedere, quale onorificenza avrebbero potuto meritare e in quale misura avrebbero potuto usufruirne.

Frena così il loro entusiasmo e limita la loro immodestia, e alle loro pretese fa seguire la pedagogia del sacrificio e del servizio. Piuttosto che chiedere l'inverosimile, essi devono saper accettare di "bere al calice" del loro maestro, rendendosi così compartecipi del sacrificio che egli farà di se stesso per la salvezza di tutti. Insomma, come più volte è stato sottolineato, anziché aspirare a posizioni di predominio e di preponderanza sugli altri, bisogna saper accettare la croce, cioè il sacrificio, la rinuncia, l'immolazione ed esercitare il dono continuo di sé, sull'esempio di Cristo che ha abbracciato volentieri la croce. Anziché chiedere e pretendere occorre configurarsi a lui, che non è venuto per essere servito ma per servire (Mc 10, 45) e che al posto del predominio sui popoli eserciterà il suo Regno accogliendo l'umiliante incoronazione di spine prima del patibolo. Oltretutto, la vera autorità sta nel servizio e il più grande, il vero superiore nonché dominatore del mondo, è colui che è capace di servire con umiltà, mansuetudine e pazienza (Ef 4, 1 - 3) essendo capace di dare senza aspettarsi di avere il contraccambio. Nella dedizione al servizio risiede anche la soddisfazione personale proclamata dallo stesso Signore Gesù Cristo in una frase non contemplata dai Vangeli ma dagli Atti: "C'è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20, 35).

L'umiltà e la generosità sono quindi le caratteristiche della vera autorità capace di governo e di amministrazione, perché la competenza organizzativa di un popolo risiede nella capacità di occuparsi delle sue necessità, nell'intraprendenza con cui ci si dispone a procacciare in esso il bene comune e la felicità di tutti. L'autorità, secondo la palese pedagogia di Gesù si fonda sull'amore di estrema auto donazione, del quale Cristo è stato assertore particolarmente nel suo sangue effuso per il riscatto di tutti. Senza amore non c'è servizio e non c'è di conseguenza autorità.

Siamo sulla linea del profeta Isaia, nella prima lettura, similmente ai giorni di Passione ci mostra la realtà esemplare del Servo Sofferente di Yahvè, votato al ludibrio e alla morte infame e truculenta, il quale non disdegna di offrire le sue membra per gli altri. Esso prefigura il Figlio di Dio la cui umiliazione raggiunge l'inverosimile quanto inverosimile è la nostra presunzione e la nostra vanagloria: accetta il dolore, il sacrificio, la prova e la morte in riscatto dell'intera umanità. E ci suggerisce che non si governa né si amministra se non con la prova e con il sacrificio che equivale all'amore.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Come Gesù chi vuol essere grande sia servitore

Giovanni, non un apostolo qualunque ma il preferito, il più vicino, il più intuitivo, chiede per sé e per suo fratello i primi posti. E l'intero gruppo dei dieci immediatamente si ribella, unanime nella gelosia.

È come se finora Gesù avesse parlato a vuoto: «Non sapete quello che chiedete!». Non sapete quali argini abbattete con questa fame di primeggiare, non capite la forza oscura che nasce da queste ubriacature di potere, che povero cuore ne esce.

Ed ecco le parole con cui Gesù spalanca la differenza cristiana: «tra voi non sia così». I grandi della terra dominano sugli altri... Tra voi non è così!

Credono di governare con la forza... non così tra voi!

Chi vuole diventare grande tra voi. Una volontà di grandezza è innata nell'uomo: il non accontentarsi, il "morso del più", il cuore inquieto. Gesù non condanna tutto questo, non vuole nel suo regno uomini e donne incompiuti e sbiaditi, ma pienamente fioriti, regali, nobili, fieri, liberi.

La santità non è una passione spenta, ma una passione convertita: chi vuole essere grande sia servitore. Si converta da "primo" a "servo". Cosa per niente facile, perché temiamo che il servizio sia nemico della felicità, che esiga un capitale di coraggio di cui siamo privi, che sia il nome difficile, troppo difficile, dell'amore.

Eppure il termine servo è la più sorprendente di tutte le autodefinizioni di Gesù: «Non sono venuto per farmi servire, ma per essere servo». Parole che ci consegnano una vertigine: servo allora è un nome di Dio; Dio è mio servitore!

Vanno a pezzi le vecchie idee su Dio e sull'uomo: Dio non è il Padrone dell'universo, il Signore dei signori, il Re dei re: è il Servo di tutti! Non tiene il mondo ai suoi piedi, è inginocchiato lui ai piedi delle sue creature; non ha troni, ma cinge un asciugamano. Come sarebbe l'umanità se ognuno avesse verso l'altro la premura umile e fattiva di Dio? Se ognuno si inchinasse non davanti al potente ma all'ultimo?

Noi non abbiamo ancora pensato abbastanza a cosa significhi avere un Dio nostro servitore. Il padrone fa paura, il servo no. Cristo ci libera dalla paura delle paure: quella di Dio. Il padrone giudica e punisce, il servo non lo farà mai; non spezza la canna incrinata ma la fascia come fosse un cuore ferito. Non finisce di spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta, ma lo lavora finché ne sgorghi di nuovo il fuoco. Dio non pretende che siamo già luminosi, opera in noi e con noi perché lo diventiamo.

Se Dio è nostro servitore, chi sarà nostro padrone? Il cristiano non ha nessun padrone, eppure è il servitore di ogni frammento di vita. E questo non come riserva di viltà, ma come prodigio di coraggio, quello di Dio in noi, di Dio tutto in tutti.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Gesù, sommo ed eterno sacerdote, inchiodato sulla croce per noi

Il testo del Vangelo di questa domenica ci immette nel clima del mistero della Passione di Cristo. 

Si tratta di un testo chiaro e che riporta parole ben precise pronunciate da Gesù alla presenza dei suoi discepoli che, nei loro discorsi, strada facendo, pensano a distribuirsi i posti più sicuri ed umanamente accattivanti vicino a Gesù, il Maestro. Certo, il Signore vuole tutti i suoi discepoli accanto a se, ma non nella potenza economica e politica di questo mondo. Ci vuole accanto a sé nel momento supremo del suo amore per noi e del suo sacrificio per noi. Ci vuole accanto a lui ai piedi della Croce, insieme a Maria e a Giovanni e forse, con maggiore coraggio, ci vuole accanto a se, come Lui, inchiodati alla croce, inchiodati alle nostre croci. 

Ecco il potere regale di Cristo Crocifisso. Ecco il sommo ed eterno sacerdote che è Gesù, che si offre per noi al Padre per riscattarci dai nostri peccati. 

Siamo chiamati con Cristo a bere il calice della sofferenza che Egli ha bevuto per la nostra redenzione. Non c'è vero cristiano se non porta la sua croce e segua davvero il Signore. 

Purtroppo, non è affatto così. Molti seguono la fede cristiana, senza l'intimo convincimento, cioè che si tratta di ripercorre la strada del Signore, che è anche la strada che porta al Calvario. 

Ci sono cristiani che riflettono alla maniera degli apostoli e che si fanno i calcoli, strumentalizzando la stessa fede e la stessa chiesa per finalità umane, economiche, di affermazione, di prestigio. 

E ciò non avviene solo tra il clero, i religiosi, i vescovi e a man mano a salire di grado nella scala della gerarchia, ma avviene anche nel laicato cattolico. 

Ci sono, infatti, dei laici che invece di servire la Chiesa e Cristo, si servono della Chiesa e di Cristo. 

Fanno il discorso utilitaristico e interessato di Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, che chiedono a Gesù, senza falsa modestia: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo. Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Gelosia, invidia, arrivismo, distribuzione egualitaria del potere che Gesù poteva dare loro, secondo una falsa concezione, che si erano fatti del Maestro. Gesù replica con una domanda forte e inquietante: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 

Segue, poi, da parte di Gesù una lezione di straordinaria importanza per tutti, ed è la lezione sul significato dell'autorità, del potere, che va inteso nel senso di servizio, di sacrificio, di rinuncia, di donazione, di croce. Cosa fece allora Gesù? "Li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti". 

Il cuore e il centro dell'insegnamento di Cristo sta in questo servizio, portato fino alle estreme conseguenze di consegnarsi liberamente alla morte e alla morte in croce, come, d'altronde, era stato anticipato dai profeti, a partire da Isaia, con i vari carmi del Servo sofferente di Javhè, che, ovviamente sono indirizzati e mirati sulla figura del futuro vero messia di Israele che è Gesù.

Un messia sofferente, maltratto, umiliato e crocifisso. Non un messia potente da un punto di vista economico e militare, ma l'umile agnello immolato sulla croce in riscatto dei nostri peccati, come leggiamo infatti nella prima lettura di oggi.

L'immagine di Gesù Crocifisso emerge in modo prepotente e chiara davanti ai nostri occhi, davanti alla nostra vita, spesso immersa nel peccato e in cerca di soddisfazioni mondane. Quel Crocifisso che ci parla e ci indica la strada della conversione, dell'offerta sacrificale della nostra vita per la causa del vangelo. 

Egli, Gesù, il Sommo ed eterno sacerdote si porge a noi con gli occhi della misericordia e del perdono, con il volto della sofferenza, ma soprattutto con il volto dell'amore redentivo. In questo Sommo ed eterno sacerdote dobbiamo confidare, abbandonarci e sperare, come ci ricorda l'autore della Lettera agli Ebrei che ascoltiamo oggi, come testo della seconda lettura di questa domenica

Accostiamo con fiducia a Gesù Crocifisso e se il suo dolore non suscita in noi neppure una minima contrizione dei nostri peccati, dei nostri errori ed orrori significa che il nostro cuore è molto lontano dalla compassione e dalla misericordia che il Signore ci vuole donare, facendoci riflettere seriamente sul nostro stile di vita che è contrario alla Croce di Cristo. 

Ci sia di esempio, in questo cammino di conversione, un grande santo del secolo dei lumi, san Paolo della Croce, fondatore dei Passionisti, di cui oggi ricordiamo il suo passaggio alla gloria del cielo, essendo morto a Roma, nella Casa dei Santi Giovanni e Paolo, al Celio, alle ore 16,45 del 18 ottobre del 1775. 

E' uno dei tanti santi che hanno amato profondamente Gesù Crocifisso, fino al punto tale da esserne infaticabili missionari nell'Italia del secolo che poneva come criterio fondamentale per raggiungere la verità, la sola ragione umane, divenuta il grande tribunale per stabile il vero dal falso, del bello dal brutto, il buono dal cattivo. 

Gesù, il Crocifisso è questo bene assoluto, perché è un Bene d'infinito amore che si è tradotto con il donare la sua vita interamente per noi. 

Egli è davvero il sommo ed eterno sacerdote delle anime nostre, come recitiamo nella preghiera iniziale della santa messa odierna: "Dio della pace e del perdono, tu ci hai dato in Cristo il sommo sacerdote che è entrato nel santuario dei cieli in forza dell'unico sacrificio di espiazione; concedi a tutti noi di trovare grazia davanti a te, perché possiamo condividere fino in fondo il calice della tua volontà e partecipare pienamente alla morte redentrice del tuo Figlio". Amen.

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 18 ottobre 2015

tratto da www.lachiesa.it