5 luglio 2015 - XIV Domenica del Tempo Ordinario: Ci mancano profeti di giustizia!

News del 04/07/2015 Torna all'elenco delle news

È talmente famoso da essere divenuto un proverbio di uso comune. Mi riferisco alla lapidaria espressione di Gesù presente nel Vangelo di questa domenica, spesso riferita come proverbio, appunto, addirittura nella sua versione latina: "Nemo propheta in patria sua". In Marco suona così: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria". Spesso, chi cita questa frase, lo fa a propria difesa, quasi a dire: "Vedete? Nessuno apprezza ciò che sono e ciò che dico, soprattutto tra coloro che mi conoscono, perché sono invidiosi: per cui lascio perdere, e vado a fare del bene altrove, dove vengo apprezzato o quanto meno dove nessuno mi critica!". E questo atteggiamento lo notiamo in molti gruppi di volontariato, in molte associazioni, anche in molte delle nostre comunità cristiane, dove spesso si arriva a giustificare la propria incapacità ad inserirsi nel loro tessuto sociale o nei vari ambiti di impegno con questa laconica affermazione: "Nessuno è profeta in patria!". Per cui, si rinuncia a fare del bene, si rinuncia a mettersi al servizio degli altri.

A volte, il disprezzo e l'incomprensione verso le persone che vogliono fare del bene agli altri è un fatto reale che interpella la nostra coscienza sulla maniera di accogliere tutti, di dare ad ognuno la possibilità di esprimersi secondo le proprie inclinazioni e le proprie doti. A mio avviso, però, rimane ingiustificato il fatto di "tirarsi indietro" perché criticati o non apprezzati, richiudendosi così in un'inattività o in un'indifferenza che non aiutano affatto la comunità. Gesù stesso non smette di predicare o di fare miracoli, nella sua patria: fa quello che può ("impose le mani ai pochi malati"), e pur meravigliandosi della loro incredulità, continua ad essere una presenza in mezzo ai suoi, privilegiando forse le periferie rispetto al centro, la strada rispetto alla sinagoga ("Gesù percorreva i villaggi d'intorno, insegnando").

In definitiva, Gesù non smette di fare il profeta, di essere un segno della presenza di Dio tra la sua gente: e in questo, vediamo concretizzato quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura, dove il profeta Ezechiele riferisce di un probabile momento di difficoltà e di contrasto da lui incontrato nella sua missione a causa proprio del popolo di Dio, di coloro che avrebbero dovuto accoglierlo come segno della presenza di Dio nel popolo e invece si intestardiscono a voler fare a meno di Dio. Dio sa bene che non è il profeta, l'oggetto del rifiuto da parte del popolo, bensì lui stesso e la sua parola: forse, proprio per questo è convinto che la presenza del profeta nel popolo - nonostante i contrasti - sia necessaria, perché quantomeno non manchi un riferimento alla parola di verità, perché non manchi mai al popolo un segno della presenza di Dio. E ciò, è ben espresso dalle ultime parole della prima lettura: "Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro".

La vicenda di Gesù è ancor più complessa di quella di Ezechiele, perché nel suo caso Dio e il profeta, la parola di Dio e la parola annunciata dal profeta, coincidono proprio nella persona di Gesù. L'incomprensione (o meglio il disprezzo) è verso ciò che annuncia, quindi la sua parola, ma anche e soprattutto verso la sua persona, ritenuta "geneticamente non predisposta" ad attuare da Messia. Come mai questo atteggiamento dei Galilei verso il loro famoso compaesano, accentuato ancor di più dal fatto che all'inizio - nei primissimi capitoli del Vangelo di Marco - Gesù a Cafarnao (quindi ancora nella sua Galilea) viene esaltato come un profeta "che insegna con autorità", diversamente dagli scribi e dai farisei? La chiave di tutto sta proprio qui: nell'atteggiamento delle autorità religiose e politiche del tempo, le quali quasi da subito avevano capito di trovarsi di fronte a un profeta particolare, anzi, possiamo dire che avevano capito che si trattava veramente di un profeta che incarnava in sé tutte le caratteristiche del Messia, e questo era ritenuto da esse un duro colpo alla loro autorità, soprattutto perché parlava al popolo della misericordiosa giustizia di Dio, più grande della loro giustizia basata sulla legge. Proprio nel momento in cui Gesù compie prodigi e libera dal male, essi lo discreditano, dicendo che ciò avviene non per la forza di Dio, ma per la forza del principe del male, Beelzebul. Tra quella prima volta a Cafarnao e questo ritorno a Nazareth, essi hanno avuto tutto il tempo di creare un clima di ostilità nei confronti di Gesù, passando dalle accuse di bestemmia alle offese personali; per cui, Gesù viene accolto dai suoi compaesani come un falegname, le cui mani fanno sedie e tavoli e quindi non possono certo "compiere prodigi"; viene accolto come "il figlio di Maria", e non di Giuseppe (come era nella logica del tempo e come avviene, ad esempio, nel Vangelo di Luca), sottolineando così le dicerie intorno all'incertezza della sua paternità; viene ritenuto un "ladro di sapienza", uno che sa le cose, ma non si sa bene come e da chi le abbia imparate. È ovvio, allora, che di fronte a un atteggiamento di questo tipo Gesù abbia una reazione che lo porta - come dicevamo - a stare un po' nella retroguardia e a dirigersi più verso la strada che verso la sinagoga. Senza, tuttavia, rinunciare ad essere una presenza profetica; senza rinunciare a dire loro le cose in faccia, così come stanno: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua".

Oggi, siamo orfani di questo tipo di profezia. Siamo orfani di profeti dallo stile e dal cuore simile a quello di Gesù, che sappiano dire le cose come stanno, che siano in grado di resistere agli attacchi dei potenti, che sappiano rimanere lì, in mezzo alla gente, a volte anche nel silenzio e nella marginalità, se non nella persecuzione, a proclamare la presenza del Regno di Dio, che è più grande che qualsiasi tentativo di abuso di autorità e di potere da parte di chi pensa di poter essere anche più grande di Dio. Vogliamo coltivare la speranza di potere avere sempre, in mezzo a noi, una profezia forte alla quale affidare i nostri aneliti di giustizia.

E vorrei terminare questa nostra riflessione con un passaggio di un'omelia di Oscar Romero, recentemente beatificato, che ritengo uno degli ultimi grandi profeti di questo tempo:

"Essere come Cristo, liberi dal peccato, è essere veramente liberi, con la vera liberazione. E colui che con questa fede, posta nel risorto, lavora per un mondo più giusto, protesta contro le ingiustizie del sistema attuale, contro tutti i soprusi di un'autorità abusiva, contro i disordini degli uomini che sfruttano gli uomini; chiunque lotta a partire dalla resurrezione del grande liberatore, solo costui è un autentico cristiano".

Omelia di don Alberto Brignoli

 

Lo 'scandalo' di un Dio che entra nella mia casa

Il Vangelo di oggi è chiuso tra due parentesi di stupore: inizia con la sorpresa della gente di Nazaret: Da dove gli viene tutta questa sapienza e questi prodigi?. E termina con la meraviglia di Gesù: E si meravigliava della loro incredulità. Né la sapienza né i miracoli fanno nascere la fede; è vero il contrario, è la fede che fa fiorire miracoli.

La gente passa in fretta dalla fascinazione alla diffidenza e al rifiuto. Da dove gli vengono queste cose? Non da Nazaret. Non da qui. In questa domanda «Da dove?» è nascosto il punto da cui ha origine l'Incarnazione: con il Verbo entra nel mondo un amore da altrove, "alieno", qualcosa che la terra da sola non può darsi, viene uno che profuma di cielo. Quel mix di sapienza e potenza che Gesù trasmette, non basta alla gente di Nazaret per aprirsi allo spirito di profezia, quasi che il principio di realtà («Lo conosco, conosco la sua famiglia, so come lavora») lo avesse oscurato.

Ma l'uomo non è il suo lavoro, nessuno coincide con i problemi della sua famiglia: il nostro segreto è oltre noi, abbiamo radici di cielo. Gesù cresce nella bottega di un artigiano, le sue mani diventano forti a forza di stringere manici, il suo naso fiuta le colle, la resina, sa riconoscere il tipo di legno. Ma, noi pensiamo, Dio per rivelarsi dovrebbe scegliere altri mezzi, più alti.

Invece lo Spirito di profezia viene nel quotidiano, scende nella mia casa e nella casa del mio vicino, entra là dove la vita celebra la sua mite e solenne liturgia, la trasfigura da dentro. Fede vera è vedere l'istante che si apre sull'eterno e l'eterno che si insinua nell'istante.

Dice il Vangelo: Ed era per loro motivo di scandalo. Scandalizza l'umanità di Gesù, la prossimità di Dio. Eppure è proprio questa la buona notizia del Vangelo, stupore della fede e scandalo di Nazaret: Dio ha un volto d'uomo, il Logos la forma di un corpo. Non lo cercherai nelle altezze del cielo, ma lo vedrai inginocchiato a terra, ai tuoi piedi, una brocca in mano e un asciugamano ai fianchi.

La reazione di Gesù al rifiuto dei compaesani non si esprime con una reazione dura, con recriminazioni o condanne; come non si esalta per i successi, così Gesù non si deprime mai per un fallimento, «ma si meravigliava» con lo stupore di un cuore fanciullo. A conclusione del brano, Marco annota: Non vi poté operare nessun prodigio; ma subito si corregge: Solo impose le mani a pochi malati e li guarì. Il Dio rifiutato si fa ancora guarigione, anche di pochi, anche di uno solo. L'amante respinto continua ad amare anche pochi, anche uno solo. L'amore non è stanco: è solo stupito. Così è il nostro Dio: non nutre mai rancori, lui profuma di vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Vocazione di ogni cristiano: essere profeta!

Il Vangelo di oggi è duro nella sua essenzialità. Ci dice che non basta credere di essere vicini a Gesù, perché da noi nasca un'autentica risposta di fede e che è un difficile compito, anche oggi, quello di coloro che si propongono di fare dono del Vangelo, della Parola di Dio, agli uomini del nostro tempo.

"In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono.

Venuto il sabato incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?". E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: ?Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua'. E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le sue mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità". (Mc. 6, 1-6)

È terribile anche solo pensare come tanta Luce possa essere rifiutata. In troppi sono così sazi delle dannose e vuote parole nostre e del mondo, che non sentono più il bisogno di ?parole vere', che contengano ?verità e vita', come sono quelle che Dio offre, gratuitamente, per il Suo grande Amore, che desidera comunicare con noi.

Anche Gesù ha conosciuto fino in fondo l'amarezza della contestazione, nella sua patria, tra la sua gente, il rifiuto della sua parola, fino alla crocifissione.

È tanto bello, anche se tremendamente gravoso, essere tra gli uomini ?un profeta di Dio', la Sua stessa voce. È bello esserlo: bello, perché è Dio che ancora parla agli uomini; e se Dio parla agli uomini, vuol dire che la Sua fedeltà non viene meno, che c'è la possibilità che ci sia la luce e che quindi noi tutti possiamo camminare nella luce.

Chi non vorrebbe essere profeta di Dio? O chi non vorrebbe sentire un profeta di Dio? Ci sono oggi questi profeti? Tanti, rispondo con fermezza.

Il caro Papa Francesco, vescovi, preti, laici, martiri, disseminati per tutta la faccia della terra: come fossero insieme una potente voce, unica voce che parla agli uomini e per gli uomini.

È mai la loro voce è stata così chiara, così piena di calore, di misericordia, così vera, così forte. Possiamo veramente dire che oggi Gesù, Verbo del Padre, nella Sua Chiesa, è Parola viva, Parola di vita. Ma la sua gente, i suoi, l'ascoltano? O si scandalizzano?

C'è di vero che tanti l'accolgono con gioia: la gioia di spalancare gli occhi e la vita alla verità che ci fa liberi. E c'è di vero che tantissimi si ?scandalizzano' fino a quasi voler cacciare dalla vita questi ?profeti'. Non è difficile individuare l'ostracismo, a volte il disprezzo, il rifiuto anche tra di noi, di tutto ciò che viene dalla Verità che è nella Parola di Gesù, offertaci dai suoi profeti. Danno fastidio alla cecità di chi tale è per i falsi idoli che si è creato. Guai dire al bugiardo che è bugiardo, al corrotto che è corrotto, al ladro che è ladro, allo sfruttatore che è uno sfruttatore, al criminale che è criminale!

Per fortuna il Signore è fedele e anche oggi ci ripete quanto disse al profeta Ezechiele:

"In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di Me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di Me sino ad oggi. Quelli a cui ti mando, sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: "Dice il Signore Dio - Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro". (Ez. 2, 2-5)

La Parola del Padre, per vivere serenamente e conoscere la bellezza di Dio e del dono della vita, senza provare il vuoto dell'anima, non può essere ignorata.

Ecco perché noi non possiamo tacere. "Guai a noi se non predicassimo!" - ci avverte l'Apostolo.

Un guai che pesa sulla nostra società, tante volte priva di valori umani e divini: valori che solo la Parola sa suggerire. Penso che le parole. che oggi la Liturgia ci offre, suonino come un grave avvertimento. Ci dovrebbero fare arrossire davanti alla pigrizia che ci assale, di fronte al nostro dovere, ricevuto nel Battesimo, di essere tutti missionari. Tanto meno ci si deve lasciare prendere dalla paura di essere criticati; si dovrebbe, invece, sentire la necessità, ogni giorno, di trovare un tempo per nutrirci della Parola di Dio, per poi viverla ed annunciarla.

Ci avverte il nostro grande Paolo VI, verso cui nutro un grande amore: "Forse mai come oggi il mondo ha avuto così grande bisogno di valori spirituali... Anche le nazioni più prospere del mondo stanno scoprendo da sé che la felicità non consiste nel possedere molti beni; stanno imparando da un'amara esperienza del vuoto, quanto siano vere le parole di Gesù: "Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"... Se mai ci fu un tempo in cui i cristiani sono chiamati, più che in passato ad essere luce che illumina il mondo, questo è il nostro tempo. Noi infatti possediamo l'antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento, alla paura di cui soffre il mondo. Noi abbiamo la Buona Novella". (25 giugno 1971)

Buona Novella che dobbiamo conoscere ed ascoltare, come ci ha ricordato Papa Francesco: "Ricordiamo... uno che parla e fa, solamente, non è un vero profeta, non è un vero cristiano, e alla fine crollerà tutto: non è sulla roccia dell'amore di Dio non è saldo come la roccia. Uno che sa ascoltare e dall'ascolto fa, con la forza della parola di un Altro, non della propria, quello rimane saldo. Benché sia una persona umile, che non sembra importante, ma quanti di questi grandi ci sono nella Chiesa! Quanti vescovi grandi, quanti sacerdoti grandi, quanti fedeli grandi che sanno ascoltare e dall'ascolto fanno!"

Omelia di mons. Antonio Riboldi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 5 luglio 2015

tratto da www.lachiesa.it