21 giugno 2015 - XII Domenica del Tempo Ordinario: la tempesta della vita, calmata dalla presenza di Cristo

News del 20/06/2015 Torna all'elenco delle news

Il vangelo di oggi ci presenta uno dei passi più belli di quanto troviamo scritto sulla vita di Gesù ed uno dei momenti più significativi del gruppo dei discepoli del Signore, che lo seguono per terra e per mare, molte volte in modo incosciente, senza rendersi conto dei rischi della vita. Oggi il brano del vangelo della tempesta sedata da Cristo, ci porta quasi istintivamente a pensare alle varie tempeste di ogni genere della nostra vita che possono essere e sono calmate solo meditante l'intervento di Dio, al quale dobbiamo rivolgerci con la fiducia e la fede necessaria. Senza questa fede che fa i miracoli, tutto quello che chiediamo non giunge a buon esito, ma si ferma lungo le strade delle nostre umane attese e speranze, che non possono avere compimento senza l'intervento dall'alto. Il messaggio è chiaro. Senza Dio non possiamo fare nulla, non possiamo salvarci da nulla e neppure dalla forza della natura. Lo costatiamo ogni volta che nel mondo succedono fatti drammatici, come terremoti, maremoti, tsunami, catastrofi naturali di ogni genere, che seminano distruzione e morte dovunque. L'esperienza degli apostoli fatta con Gesù sulla barca in quella notte tranquilla inizialmente e poi drammatica di lì a poco, ci aiuta a capire come cambiano facilmente gli scenari della nostra vita personale e degli altri e come cambia repentinamente la storia del mondo. Siamo davvero come si dice in gergo comune sotto il cielo e nessuno di noi può effettivamente ritenersi superiore a Dio. Chi pensa di esserlo illude se stesso ed illude chi crede in lui. Solo Dio è la nostra salvezza, come hanno sperimentato gli apostoli in quella notte terribile, vicini allo stesso Gesù che pure stava con loro e meravigliato della loro mancanza di fede e di fiducia il Lui, chiede: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». La mancanza di fede genera nell'uomo la paura di ogni cosa e soprattutto la paura di morire in modo innaturale, in modo violento. Questa paura gli apostoli l'avvertono quella sera davanti alla terribile tempesta d mare: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». Ma Gesù, anche in questa circostanza, dimostra la sua bontà e la sua misericordia verso quelle persone impaurite e tremanti per il terrore di fine in fondo al mare. Allora lo svegliarono. Ed Egli si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. E' quello che succede ogni volta ci affidiamo a Dio: dal dramma nasce la speranza, la gioia e la felicità, dalla morte si passa a vivere, a continuare a vivere, anche se le tempeste ritorneranno e allora si dovranno affrontare con una fede più grande e forte. Credere nella potenza di Dio e del suo Cristo, è il primo passo verso una fede fiducioso e fiduciale, che non ammette tentennamenti, anche davanti alle prove più terribili della vita, che può essere una malattia, una morte improvviso, un crollo economico o altre forme di prove a cui gli uomini di sempre sono soggetti, proprio per la debolezza umana e per la precarietà dell'esistenza terrena.

La consapevolezza che in Cristo, con Cristo e per Cristo le cose cambiano della nostra vita, ci porta a far tesoro di quanto ci scrive l'apostolo Paolo nel brano della sua seconda lettera ai Corinti, che ascoltiamo come secondo brano biblico della domenica. In Cristo siamo creature nuove e non abbiamo paura di nulla. Tutto il passato, anche terribile della nostra ed altrui vita lo poniamo alle spalle e guardiamo avanti nella speranza del il meglio e non il peggio deve venire. Se non altro, se pensiamo seriamente all'eternità, al cielo e al paradiso il meglio davvero deve arrivare ed arriverà se noi valorizziamo il tempo che il Signore ci ha donato in questa vita proprio per costruire la casa futura di tutti, che è il paradiso. La nostra preghiera, oggi e sempre, deve essere questa: "Rendi salda, o Signore, la fede del popolo cristiano, perché non ci esaltiamo nel successo, non ci abbattiamo nelle tempeste, ma in ogni evento riconosciamo che tu sei presente e ci accompagni nel cammino della storia".

Non ci abbattiamo mai difronte alle tante delusioni della nostra vita, ma abbiamo fiducia nel Signore, come ci ricorda il libro di Giobbe, esempio di santa rassegnazione e pazienza, nel testo della prima lettura della liturgia della parola di questa XII domenica. Dio è tutto e può far tutto, come di fatto ha realizzato e continua a fare nella storia di questa debole e fragile umanità. Il salmo 106, che oggi leggiamo come salmo responsoriale della messa, ci fa una sintesi di quanto è detto nella parola di Dio di questo giorno santo, dedicato al Signore: "Coloro che scendevano in mare sulle navi e commerciavano sulle grandi acque, videro le opere del Signore e le sue meraviglie nel mare profondo. Egli parlò e scatenò un vento burrascoso, che fece alzare le onde: salivano fino al cielo, scendevano negli abissi; si sentivano venir meno nel pericolo. Nell'angustia gridarono al Signore, ed egli li fece uscire dalle loro angosce. La tempesta fu ridotta al silenzio, tacquero le onde del mare. Al vedere la bonaccia essi gioirono, ed egli li condusse al porto sospirato. Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini".

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Un'enciclica per salvare il pianeta

L'episodio evangelico di oggi (Marco 4,35-41) si colloca a breve distanza dagli esordi della vita pubblica di Gesù, ma già dopo fatti clamorosi: egli ha risanato un indemoniato (cioè, probabilmente, un epilettico), ha guarito e perdonato i peccati del paralitico calato dal tetto, ciechi e zoppi e innumerevoli altri malati erano ricorsi a lui e non ne erano rimasti delusi. Eccolo ora compiere qualcosa di nuovo.

Per tutto il giorno, sulle rive del lago di Tiberiade, egli ha parlato alla folla accorsa attorno a lui: tanta, da suggerirgli di rivolgersi loro da una barca ormeggiata presso la sponda; al tramonto poi congeda i suoi ascoltatori e dice ai discepoli di traghettare sulla riva opposta. Nel linguaggio corrente allora il lago era chiamato "mare di Galilea", anche perché del mare assume talora l'aspetto minaccioso; chi è stato da quelle parti sa che il lago, solitamente placido, certe sere è investito all'improvviso da un vento impetuoso, capace di sollevare onde preoccupanti. Anche quella volta "ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non t'importa che siamo perduti?" A quel punto, ecco il prodigio: poche parole, un gesto imperioso e "il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché avete paura? Non avete ancora fede?"

La loro reazione ("Furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?") dice che i discepoli si erano stupiti per la novità di quel gesto; non avevano saputo collocarlo sulla scia dei precedenti. Dai numerosi miracoli cui avevano assistito, i discepoli avrebbero dovuto capire che il loro Maestro non era un uomo come gli altri; egli aveva poteri straordinari, e li usava non per farsene vanto, o per stupire, ma sempre e soltanto a beneficio di chi poteva trarne giovamento. Dunque avrebbero dovuto avere fiducia in lui, cioè avere fede. Le sue parole sottintendono che non si deve avere paura, nelle tempeste che si scatenano dentro o intorno a noi, perché egli non abbandona chi si affida a lui.

La necessità della fede è l'insegnamento essenziale di questo episodio; anche se si trovasse nella bufera, chi guarda alla vita come lui ha insegnato, qualunque cosa capiti ne salverà sempre l'essenziale, non farà mai naufragio. Chi è dunque costui? Alla domanda di quei primi discepoli si può rispondere: egli è l'Emmanuele, il Dio-con-noi. E, aggiunge San Paolo, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?

La salvezza assicurata a chi crede è quella essenziale, la vita eterna. Ma già in questa vita se ne hanno clamorosi esempi, in positivo e in negativo. In negativo: quante vite fanno naufragio, in mancanza di fede; quanti, seguendo vie diverse da quelle da lui prospettate, rovinano se stessi e seminano rovine intorno a sé! In positivo: quanti, fidandosi di lui, non hanno conseguito fama o ricchezza o potere, ma ugualmente hanno valorizzato al meglio la propria esistenza, colmandola di bene per sé e per gli altri.

L'episodio della tempesta placata trova riscontro poi anche nell'attualità: Gesù padrone della natura richiama l'enciclica dell'alro ieri sulla salvaguardia del creato. "La terra è di Dio" dice la Bibbia, e dunque va rispettata come ogni altra cosa di Dio. Il papa Francesco l'ha ricordato sin dal suo primo discorso, quello d'inizio del pontificato, dicendo tra l'altro: "Custodire l'intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d'Assisi, è l'avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l'ambiente in cui viviamo». Ecco la via per salvare il mondo da chi lo sfrutta a proprio esclusivo vantaggio, da chi dimentica (?) che la proprietà, anche se legittima, è data da Dio all'uomo per il bene comune.

Omelia di mons. Roberto Brunelli

 

Non avete ancora fede?

Il brano che oggi leggiamo, Mc.4,35-41 segna una tappa significativa nel cammino della fede che con raffinata sensibilità pedagogica il Vangelo propone ai suoi lettori. Appare qui l'arte narrativa di Marco, vivace ed essenziale, e la sua profondità teologica, spiazzante. Tutto è narrativo e al tempo stesso simbolico, evocativo dell'esperienza che Gesù sta vivendo con i suoi discepoli.

Appena concluso il discorso in parabole, Marco dice che "proprio quel giorno viene la sera": credere l'Amore e sperare nel mondo nuovo di Dio non vuol dire alienarsi neanche per un istante dalla realtà drammatica della storia, dalla sera che viene. "Quel giorno, in cui viene la sera", è ogni giorno in cui vive Gesù con i suoi discepoli, è il nostro oggi, in cui sperimentiamo la presenza del suo Amore per noi anche dentro l'oscurità della vita. Proprio mentre viene la sera, Gesù dice ai suoi discepoli: "Passiamo all'altra riva", spingendoli ad uscire, a non rinchiudersi in se stessi, ad entrare ancora di più dentro il mondo. "Congedata la folla, lo portano via, com'era, nella barca. Ce n'erano molte altre con quella". I discepoli, forse preoccupati per Lui, prendono l'iniziativa: lo allontanano dalla folla, se ne impossessano, in qualche modo rivendicandolo per sé, dimenticando la presenza di molte altre barche. Quanto è facile scambiare la fede con la presunzione di poter disporre di un Dio per sé! Marco ci sta guidando nel cammino della fede: ma la fede cos'è? Adesso Gesù tace e si lascia condurre nella barca dai discepoli: anche nella Passione si lascerà condurre verso la Croce da chi lo ha catturato. Ma chi è il più forte? Chi davvero conduce la storia? La narrazione di Marco diventa rivelativa: sullo sfondo intravediamo la figura di Giona e sentiamo l'invocazione dei Salmi. "Ci fu una grande tempesta... e le onde si rovesciavano nella barca..." E Lui dorme! Non dorme come Giona per fuggire da ciò che Dio gli chiede: dorme tranquillo perché ha fatto ciò che il Padre gli chiede. Dorme e non vuole, come Giona, nascondersi nella stiva della barca per essere lasciato in disparte: dorme a poppa, su un cuscino. Eppure, anche Lui, come Giona, finirà per tre giorni e tre notti, nel ventre della terra: Gesù sarà l'ultima e definitiva interpretazione dell'esperienza umana di Giona. Gesù dorme come Dio nell'A.T. quando i salmisti e i profeti gridano: "Svegliati, perché dormi, o Signore? Svegliati!" (Sal.44) Il sonno di Gesù è segno ("sacramento") del sonno di Dio mentre l'uomo credente grida, urla, prega perché teme che Dio non lo veda, lo abbandoni. Egli sa, quando grida, quanto è pesante il sonno di Dio, e gli mette davanti il suo cuore, il suo peccato, e rimane nella sua impotenza. Dio che dorme: è il momento della Croce, del silenzio, del sabato santo, del sonno di Cristo nel sepolcro. Quanto è difficile non perdere la pace, restare saldi in Dio, confidare solo in Lui e non negli uomini: accettare il silenzio di Dio è la fede. C'erano molte altre barche, eppure solo quella dei discepoli che avevano preso con sé Gesù, viene sbattuta dalle onde e sommersa dall'acqua. Anche Lui, come Giona, ha sperimentato la forza del male: ma non è fuggito, non si è sottratto. Gesù dorme "a poppa, sul cuscino", come un figlio abbandonato nelle braccia del Padre: anche nel silenzio è certo dell'Amore del Padre più forte del male più grande, Amore che è tutto nel nulla dell'uomo. Gesù è nella pace anche quando è sommerso dalle onde più potenti: è la fede. I discepoli l'avevano preso con sé ma ancora non hanno compreso il suo insegnamento, non una dottrina ma l'esperienza del figlio che crede l' Amore del Padre. "Ma voi, non avete ancora fede?", chiede Gesù provocando i discepoli a guardare dentro di sé: "Perché avete ancora tanta paura?". Essi infatti l' avevano svegliato e rimproverato con durezza: "Maestro, non t'importa che periamo?". Al "Maestro" che insegna l'amore, forse rinfacciano il disinteresse per la loro sorte o la non partecipazione alla loro fatica. "Svegliato (azione passiva: è Dio che lo sveglia!), sgridò il vento e disse al mare: Taci, calmati". Gesù, ancora appoggiato al cuscino, affidato all'Amore del Padre, esercita sugli elementi della natura il potere che è del Creatore. "Chi è, dunque, costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?": si chiedono i discepoli l'un l'altro, stupiti per l'effetto della sua Parola. Alla "grande" forza del vento succede la "grande" calma, che porta i discepoli ad un "grande" timore: chi è costui che mentre si scatena la tempesta dorme ed appena si sveglia dà un ordine al quale il vento e il mare obbediscono? Non può che essere il Figlio di Dio il cui sonno non è turbato dagli elementi che sono sottomessi ai suoi ordini! Ma i discepoli di fronte al suo sonno tranquillo reagiscono con la mancanza di fede e la sua Parola capace di imporsi al vento e al mare li riempie di grande paura: sono passati dal panico che li ha spinti a porgli una richiesta impertinente, al grande timore che ha fatto nascere in loro il sospetto sull'identità del loro maestro. Ma ancora non hanno la fede, sono ancora lontani dalla tranquillità che può renderli partecipi del sonno di Gesù, abbandonato all'Amore del Padre, della sua pace anche mentre infuria la tempesta!

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Un granello di luce nel buio della paura

La barca sta per affon­dare e Gesù dorme. Il mondo geme con le ve­ne aperte, lotta contro la malattia e la disperazione e Dio dorme. L'angoscia lo contesta: Non ti importa niente di noi? Perché dormi? Svegliati! I Salmi trabocca­no di questo grido, lo urla Giobbe, lo ripetono gli apo­stoli nella paura. Poche co­se sono bibliche come que­sta lite con Dio, che nasce dalla passione per la vita, dall'arroganza di un amore che non accetta di finire. Perché avete così tanta pau­ra? C'è tanto da attraversa­re, tanta paura motivata. Ma troppo spesso la religione si è ridotta a una gestione del­la paura. Dio non vuole en­trare in questo gioco. Egli non è estraneo e non dorme, sta nel riflesso più profondo delle tue lacrime. Sta nelle braccia dei marinai forti sui remi, sta nella presa sicura del timoniere, nelle mani che svuotano l'acqua, negli occhi che scrutano la riva, che forzano il venire del­l'aurora.

Dio è presente, ma non co­me vorrei io, bensì come vuole lui: è sulla mia barca e vuole salvarmi, ma insieme a tutta la mia libertà. Non in­terviene al posto mio ma in­sieme a me; non mi esenta dalla tempesta ma mi pre­cede, come il pastore nella valle oscura. È la nostra fede bambina che ha bisogno più di mira­coli che non di presenza. Vorrei che non sorgessero mai tempeste e invece la morte è allevata dentro di noi con il nostro stesso re­spiro e sangue. Vorrei che il Signore gridasse subito all?uragano: Taci, che rimpro­verasse subito le onde: Cal­matevi, e che alla mia ango­scia ripetesse: È finita. Vor­rei essere esentato dalla lot­ta, e invece Dio risponde dandomi forza, tanta forza quanta ne basta per il primo colpo di remo, tanta luce quanta ne serve al primo passo. Come granello di senape nel buio della terra, così Dio è nel cuore oscuro della tem­pesta. Come chicco di grano nel buio della terra, come un granello di fiducia, di forza, di luce, così Dio germoglia e cresce nel cuore dell'ombra. Non ti importa che moria­mo? La risposta è senza pa­role ma ha la voce forte dei Mi importa di te, mi impor­ta la tua vita, tu sei impor­tante. Mi importano i passeri del cielo e tu vali più di molti passeri, mi importano i gigli del cam­po e tu sei più bello di loro. Tu mi importi al punto che ti ho contato i capelli in capo e tutta la paura che porti nel cuore. E sono qui a farmi argine e confine alla tua paura. Mi troverai dentro di essa, nel ri­flesso più profondo delle tue lacrime.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 21 giugno 2015

tratto da www.lachiesa.it