Ogni uomo è un mendicante di luce
News del 25/10/2009 Torna all'elenco delle news
La guarigione di Bartimeo è l'ultimo miracolo del Vangelo di Marco. Ultimo e necessario è questo bellissimo racconto, così scarno e vivo, pieno di movimento, di grida, di strade e di luce.
Un mendicante cieco, icona di ogni uomo, mendicante di luce e di strade, di orizzonti e di compassione. Cosa c'è di più perduto, di più inutile, di più naufrago dell'esistenza di un mendicante cieco e solo?
Eppure questo naufrago non è perduto. Alza la voce sul rumore della folla che lo ignora, che lo oltrepassa e va; solo e al buio grida la sua disperata speranza.
Un grido che è fisico ma si direbbe viscerale, che sembra salire da ciò che ogni essere ha di più di profondo e di più carnale. Il grido è più che la parola, c'è dentro corpo, energia, dolore, bisogno. È il grido del bambino che nasce, del morente in croce che urla al cielo e alla terra il buio che ha nel cuore. Finché c'è un grido, la speranza ha la sua casa.
Ed ecco dalla folla tre parole: coraggio, alzati, ti chiama: è il nostro triplice ministero. Coraggio! Incoraggiare innanzitutto, dare cuore e speranza, condividere la paura, e inoculare coraggio, frutto della fiducia in Dio, in tutti quelli che gridano dolore. Alzati! Rimettere in piedi, aiutare a ripartire, e mai gettare a terra nessuno, mai demolire nessuno. E io non so come farlo, non lo so davvero. Ma questo racconto mi aiuta: nominare Cristo, annunciare la compassione di Dio equivale a confortare la vita, a rimetterla in piedi.
Ed ecco il terzo ministero: ti chiama, ha ascoltato il tuo grido e ora pronuncia il tuo nome. È Lui che può dare luce, dare occhi profondi che vedono, che vedono il cuore di Dio e il senso della vita.
Con una sola espressione Marco ci offre una delle sintesi più belle di cosa sia l'azione pastorale, non compito di esperti ma missione di ogni discepolo: coraggio, alzati, ti chiama. Ed ecco che si libera tutta una energia compressa, l'energia della vita, tutto sembra improvvisamente eccessivo, esagerato. Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello: lo getta; non si alza in piedi, balza. La fede è moltiplicazione di vita, un eccesso illogico e bello, vita in pienezza.
Anche noi, mendicanti di luce, almeno una volta, dietro ad una parola del Vangelo, abbiamo lasciato i nostri angoli bui, la vita seduta, le vecchie strade e forse, quando ci siamo buttati nel volo, si sono aperte strade nel sole, ali che non sapevamo di avere.
Testo di padre Ermes Ronchi
Come se fosse al mio posto
A volte i Vangeli riassumono l'attività taumaturgica di Gesù, riferendo che nel tal posto, o in una certa circostanza, guarì molti storpi, sordomuti, ciechi, lebbrosi etc. In altre pagine invece i Vangeli si soffermano a narrare singoli episodi, all'apparenza ripetendosi. Ma non è così, perché ogni volta varia il contesto, variano i particolari, con l'effetto di dare alla vicenda una sua propria fisionomia, un suo speciale significato. Lo esemplifica il brano odierno, a prima vista non diverso da altri: la guarigione di un cieco, che qui presenta più di una singolarità.
E' inusuale, per cominciare, che del beneficato si riferisca il nome (Bartimeo, che significa figlio di Timeo), precisando che si tratta di un mendicante di Gerico, il quale, sentendo che stava passando Gesù gli chiede aiuto, chiamandolo a gran voce: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!" Figlio, cioè discendente, del grande re Davide: attribuirgli questo titolo significava riconoscerlo come il Messia, il salvatore promesso; rivolgersi a lui non perché restaurasse l'antico regno (come tutti ritenevano fosse il compito del Messia) ma per chiedergli aiuto nella sua personale sventura, significa che il cieco aveva capito Gesù molto meglio dei suoi conterranei. Radicati nella loro concezione del Messia, gli abitanti di Gerico che attorniano Gesù non ammettono un suo attardarsi a risolvere un singolo caso, grave per il diretto interessato ma del tutto marginale nel piano grandioso cui ritengono egli debba dedicarsi: per questo cercano di zittire il povero Bartimeo. Non Gesù, il quale anzi si ferma, lo fa' chiamare, lo risana e lo congeda sottolineando la ragione del suo intervento: "Va', la tua fede ti ha salvato".
Lo congeda: ma l'interessato non se ne va; anzi, altro particolare inconsueto, "lo seguiva lungo la strada". Proprio questo particolare ha suggerito, a tanti che nei secoli hanno commentato l'episodio, di leggerlo anche in chiave simbolica, come uno specchio della vita di chiunque diventi cristiano e da cristiano intenda regolarsi.
L'uomo, creato da Dio ma offuscato dal peccato, spiritualmente è cieco, e della sua menomazione può guarire soltanto con la fede che lo porta a invocare il "Figlio di Davide", il Salvatore.
Una volta guarito, poi, per non tornare alla condizione precedente deve seguire Gesù lungo la strada della vita. Ecco: la "sequela Christi" (così l'hanno chiamata i santi e i teologi), cioè l'andare dietro Gesù, è lo stile di vita proprio di chi da Cristo prende il nome di cristiano.
Se poi ci si chiede che significhi, come si concretizzi l'andare dietro Gesù, la risposta è chiara: significa riconoscere lui come maestro e salvatore, come guida dei nostri passi, come meta del nostro cammino.
Significa imitare lui; nelle varie circostanze della vita, comportarsi come lui. In proposito può sorgere il dubbio che sia impossibile, perché da allora il mondo è cambiato: lui non aveva l'automobile né la televisione, non navigava in internet, non doveva affrontare i vantaggi e i rischi del mondo globalizzato. E' vero, ma a ben guardare non sono cambiate per nulla le dinamiche di fondo: oggi come allora gli uomini aspirano alla felicità, e ciascuno continua a trattare i propri simili o con egoismo o con amore. Ed è di questo che lui ha parlato, è su questo che ci ha lasciato se stesso come modello. Vivere da cristiani dunque significa chiedersi ogni giorno, ogni momento: se lui fosse qui, ora, al posto mio, farebbe ciò che io sto per fare? Direbbe ciò che io sto per dire? Penserebbe quello che penso io?
Testo di mons. Roberto Brunelli
tratti da www.lachiesa.it