26 aprile 2015 - IV Domenica di Pasqua del Buon Pastore: donare la vita è donare l'Amore
News del 24/04/2015 Torna all'elenco delle news
La quarta domenica di Pasqua è per antica tradizione liturgica dedicata al buon Pastore. Tale buon pastore per eccellenza è Gesù Cristo che davvero ha dato la sua vita per tutta l'umanità, morendo sulla croce per noi e risorgendo a vita. Il Buon Pastore Cristo è modello di santità e pastoralità per ogni persona che nella chiesa è chiamata a servire il popolo santo di Dio con generosità, abnegazione, sacrificio, attaccamento sincero alla vocazione e alla missione, difesa ad oltranza di ogni pecora del suo gregge, sostegno a tutte le pecore dell'ovile in difficoltà, nella stanchezza della vita o dell'esistenza umana; ricerca della pecora sperduta e confusa nelle tante tentazioni che peccato genera nella sua vita. Questo modello di pastoralità autentica che è Cristo va riscoperto oggi alla luce non solo del vangelo che ci viene offerto come punto di partenza, ma anche aderendo in pienezza a quanto continuamente ci dice il Vescovo di Roma, Papa Francesco, che in più di qualche circostanza ha richiamato i sacerdoti e non solo loro ad un impegno coerente e coraggio con la scelta della loro vita, che è quella di essere pastori santi in mezzo al gregge del popolo di Dio affidato alle loro cure spirituali e umane. I pastori autentici si differenziano con chiarezza con quanti sono mercenari, i quali invece di proteggere e difendere il gregge, lo sfruttano per i propri loschi interessi materiali o di carriera o di affermazione egoistica e prepotente di se stessi. Il pastore-servo è una categoria che facilmente di dimentica anche tra coloro che il Signore chiama, attraverso una speciale vocazione, alla sua sequela. Im particolare il discorso riguarda tutti i vescovi ed i sacerdoti, ma riguarda anche chi, per vari motivi, collabora ai pieno titolo al servizio alla chiesa e nella chiesa, per il bene della chiesa. E sono le altre categorie si persone ovvero di ministero svolto nella comunità dei credenti, tra cui anche i fedeli laici impegnati in quei settori della pastorale più congeniali al loro essere nel mondo, quali il servizio alla vita, alla famiglia, alla cultura, alla politica, all'arte. Non per sminuire il ruolo del sacerdote o del vescovo, ma per far accrescere al consapevolezza che in base al battesimo abbiamo tutti un sacerdozio comune da vivere e testimoniare, ben sapendo che nel battesimo siamo stati consacrati, mediante il crisma, in Cristo re, sacerdoti e profeti. Regalità, sacerdozio e profezia sono la connotazione di ogni uomo di Dio, prete, religioso o fedele laico, che ha a cuore il bene della comunità dei credenti di cui fa parte e della quale deve rendere ragione della speranza davanti al mondo intero. Il testo del vangelo di oggi, tratto dall'evangelista Giovanni, ci aiuta a capire meglio questo aspetto fondamentale dell'essere cristiani.
Il Buon pastore quindi è colui che dona la vita per i gregge, conosce bene ogni pecora singolarmente e le identifica con precisione, senza confusione o cambiamenti di immagini e volti davanti alla sua mente ed al suo cuore di pastore. Egli sa discernere, individuare, sostenere e se necessario correggere. In questo scambio di conoscenza tra pastore e pecore si realizza la chiesa e la chiesa sperimenta la bontà di Dio e la bontà tra il popolo santo di Dio. La fratellanza diventa lo stile di vita del credente che si mette alla sequela del suo pastore legittimo ed autentico e non di tanti mercenari che pure possono affermarsi nella Chiesa, falsificando il vero volto di essa, nonostante i suoi peccati e le sue debolezze, espressione della condizione della persona umana che vive nel peccato e non sente la voce di Dio che la chiama alla conversione e al cambiamento di strada.
San Giovanni Apostolo nella sua prima lettera scrive con grande sincerità ed onestà intellettuale ciò che siamo oggi e ciò che saremo un domani in una visione della vita aperta all'eternità e proiettata verso l'incontro definitivo con il Dio della vita nell'eternità.
Vedere il volto di Dio, così come egli è. E il volto del Signore è il volto della misericordia, della vita e della gioia per sempre. Quella gioia che ha accompagnato i primi passi della comunità dei credenti dopo la risurrezione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo su di loro che li rende nuove creature coraggiose dei propri atti e passi nel cammino della fede e della testimonianza a Cristo, fino al martirio. E' Pietro, il capo e la guida del popolo di Dio a prendere la parola, dopo che è stato fortificato, come tutti gli apostoli, dal dono dello Spirito Santo circa la reale presenza del Risorto in mezzo a noi.
Gesù, in questo breve brano, tratto dagli atti degli Apostoli ci rammenta infatti lo scopo fondamentale di ogni vocazione, che è quella della testimonianza di una degna condotta di vita. Per cui, alla fine di questa meditazione-omelia, possiamo ben dire con animo fiducioso, confidando nell'aiuto di Colui che tutto vuole e può: "Dio onnipotente e misericordioso, guidaci al possesso della gioia eterna, perché l'umile gregge dei tuoi fedeli giunga con sicurezza accanto a te, dove lo ha preceduto il Cristo, suo pastore".
E l'augurio più sincero, soprattutto in questo anno della vita consacrata e del prossimo giubileo e anno santo della misericordia è che tutti i cristiani possano continuamente riscoprire il grande dono della fede e del servizio alla fede, con l'esercizio di una vera pastoralità a beneficio esclusivo del popolo eletto e chiesa santa di Dio. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Il buon pastore si spoglia della sua vita per le pecore
"Io sono il pastore, quello buono: il pastore, quello buono, si spoglia della propria vita per le pecore". Inizia così il piccolo brano del Vangelo di Giovanni (10,11-18) che leggiamo nella quarta domenica di Pasqua e che ci guida nel nostro incontro con Gesù risorto. "Il pastore, quello buono, si spoglia della propria vita per le pecore": questa espressione "spogliarsi della vita..." (il verbo greco significa anche "donare", "abbandonare", "deporre"...) ritorna cinque volte in questi pochi versetti per esprimere evidentemente tutto il senso dell'esistenza di Gesù e della sua missione. Certamente allude alla Croce, ma riguarda ogni attimo della sua vita: tutto di lui è un dono, uno spogliarsi di sé per fare della sua, una vita "deposta" per le pecore. Per questo può dire: "Io sono il pastore, quello buono", "bello", "vero". E la sua non è una pretesa arrogante, ma è l'espressione dell'offerta vera, umile e infinita, dell'Amore all'umanità in continua ricerca: "Io sono il pastore, quello buono". Già nell'A.T. Dio si è presentato come il pastore che guida, sostiene il popolo nel suo cammino; adesso Gesù, spogliato di tutto, offre se stesso perché lo vedano, lo tocchino, lo sentano come l' "Io sono" il pastore, quello buono del quale sperimentano l'Amore. Certo l'offerta della vita di Gesù non è un'immagine oleografica sentimentale: è riassunta nell'icona drammatica della Croce. Il pastore, quello buono, che si spoglia della propria vita per le pecore, non può non polemizzare con coloro che si presentano come pastori, ma non lo sono, perché in realtà a loro non importa il bene delle pecore ma solo il proprio interesse, non hanno nessuna relazione personale con il gregge, non sono disposti a rischiare la vita ma, quando il gregge è in pericolo, lo abbandonano e lasciano che le pecore si perdano.
"Io sono il pastore, quello buono", ripete Gesù e sottolinea che ne è la prova l'esperienza della relazione vicendevole tra lui e le pecore. "Conosco le mie e le mie conoscono me": non si tratta di astratta conoscenza teologica, ma di relazione intima, personale. Si tratta di "conoscere", "sperimentare" l'Amore come elemento essenziale costitutivo dell'esistenza umana. Si tratta di entrare nella relazione d'Amore che lui, il pastore buono, fa gustare alle pecore, che è così profonda, così intima perché è quella che il Padre fa conoscere al Figlio: a noi, egli parla, adesso, e ci introduce nell'intimità della sua esperienza di relazione filiale con il Padre, la fonte dell'Amore che diventa la sua vita, che non può trattenere per sé, ma che egli offre come pastore per le pecore. E ci parla del dono di sé fino alla Croce, estremo segno della disponibilità a lasciare che la sua vita si realizzi tutta nella relazione unica con Dio come un'onda incontenibile che dal Padre arriva al Figlio e attraverso Lui giunge a tutti gli uomini, al mondo intero: non ci sono confini, perimetri definiti che possano trattenere l'Amore. Tutto è Amore: esperienza, conoscenza, gioia, vita che dal Padre, attraverso l'umanità spogliata del Figlio, è offerta al mondo, perché si compia il suo progetto di Amore. Lui, il Figlio che si spoglia della sua vita per offrirla sta al centro del progetto del Padre, sta la Croce, lo scandalo della Croce: ma l'Amore cos'è? Perché al centro di un progetto infinito d'Amore sta lo scandalo della Croce? Tutto è affidato a noi, alla nostra fede, al nostro abbandono in Lui, perché entriamo in relazione con Lui e dall'interno dell'esperienza di una personale, nuova intimità possiamo cominciare a capire, a conoscerlo e a lasciarci conoscere da Lui e a gustare la vita che egli ci dona: allora conosciamo la Croce, come la via attraverso la quale si realizza la relazione d'Amore tra Gesù e Dio, espressione della più piena libertà umana che lascia spazio a un Dio non temuto per la sua onnipotenza ma accolto come Padre infinitamente amante; allora conosciamo che la Croce è inseparabile dalla risurrezione, perché l'Amore di Dio diventa infinito quando discende per condividere, com-patire l'estrema debolezza umana, nel momento in cui si annienta morendo, diventa infinito risorgendo. "Per questo il Padre mi ama: perché io dono la mia vita e di nuovo l'accolgo". Gesù, la sua Croce, è la porta attraverso la quale l'Amore infinito di Dio ci raggiunge e ci fa vivere. Gesù è il pastore, quello buono, che si spoglia di tutto per farci vivere della vita infinita di Dio: a noi è offerto questo dono perché lo gustiamo e a nostra volta diventiamo la via attraverso la quale oggi l'Amore di Dio raggiunge il mondo.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Né ladri, né mercenari
Giunti a metà del Tempo Pasquale, i Vangeli domenicali abbandonano la narrazione dei fatti di apparizione di Gesù ai suoi discepoli, e da qui alla solennità dell'Ascensione il nostro cammino sarà scandito da tre testi di Giovanni che si rifanno a due diversi discorsi di Gesù; il primo è quello cosiddetto "del Buon Pastore", pronunciato dopo la guarigione del cieco nato durante la festa della Dedicazione, d'inverno, pochi mesi prima della festa di Pasqua, e questo non è un particolare da poco, in quanto le reazioni che suscita con questo discorso, nel quale implicitamente dà dei "mercenari" ai capi dei Giudei, sono tali da decretare la sua fine, a motivo di un accumulo di rabbia che giungerà al limite della sopportazione quando, nel capitolo successivo, Gesù violerà un sepolcro chiuso da quattro giorni per riportare in vita il suo amico Lazzaro. Il secondo discorso, che ascolteremo a due riprese nelle successive due domeniche di Pasqua, è invece pronunciato da Gesù nel contesto particolare e pieno di carica emotiva dell'ultima cena. Pur diversi tra loro, questi tre vangeli hanno in comune un concetto: il frutto della Vita Nuova che il Risorto ha inaugurato con la Pasqua è la profonda unità tra il Maestro e i suoi discepoli, che assume rispettivamente le caratteristiche di un gregge unito al suo pastore (il vangelo di oggi), di un tralcio unito alla pianta della vite (V domenica di Pasqua), del comandamento dell'amore reciproco come distintivo del cristiano (VI domenica).
Ma torniamo al Vangelo di oggi. Parlavamo dell'indignazione che questo discorso del capitolo 10 provoca nei capi dei Giudei, a cui Gesù allude definendoli "mercenari ai quali non importa delle pecore", o ancor peggio (in alcuni versetti precedenti a quelli che abbiamo letto) "ladri e briganti" che depredano il gregge e lo portano alla distruzione. E tutto questo discorso, in conseguenza del fatto che Gesù aveva da poco guarito un cieco nato in giorno di sabato, violando la Legge di Mosè in nome di una vita da salvare. I capi dei Giudei che gli rimproveravano un'azione illegale e irrispettosa della Legge sono visti da Gesù come "ladri e briganti" che in nome della Legge lucrano sulla vita dei più poveri, e come "mercenari" che considerano la loro funzione di capi religiosi come una professione, e non come una missione, come un'attività da svolgere (possibilmente ben retribuita) e non come una vita di servizio gratuito e disinteressato. Tant'è vero che, nel momento della difficoltà (simboleggiato in questa "parabola del Buon Pastore" dal lupo che attacca il gregge), pensano solo a mettere in salvo se stessi abbandonando il gregge.
Il Buon Pastore, invece, non fa così: per le sue pecore, è disposto a dare la vita, o quantomeno non abbandona il gregge così facilmente, perché le pecore sono sue, è molto legato ad esse, e non solo perché rappresentano il suo capitale, ma anche e soprattutto perché vuole loro bene, al punto che le conosce una ad una e le chiama per nome. E non si ferma lì, perché ha pure "altre pecore" al servizio delle quali deve mettersi: pecore che non sono del suo gregge, pecore forse rimaste senza pastore e che vagano per i monti senza alcun punto di riferimento, divenendo così preda facile del lupo o di qualsiasi altro pericolo della vita solitaria sui monti. Un pastore attento, quindi, a non perdere neppure una delle sue pecore, ma altrettanto attento alle pecore che non sono del suo ovile e che hanno bisogno di lui, perché altrimenti non sono di nessuno.
Di fronte a questa parabola (considerato anche il fatto che Gesù la pronuncia per le autorità religiose del suo tempo) siamo direttamente portati a pensare ai nostri pastori, ai sacerdoti, ai vescovi, al "pastore dei pastori" (che è uno dei titoli del vescovo di Roma, il Papa): ed è bene e naturale che sia così, tanto naturale che da oltre mezzo secolo la Chiesa celebra in questa domenica detta "del Buon Pastore" la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni. Ma il Vangelo è per tutti, il discepolato pure: e allora questa parabola è detta per ognuno di noi, perché ognuno di noi, laico o sacerdote, religioso o vescovo, abbia in sé i medesimi sentimenti di Cristo Buon Pastore, sentimenti di servizio, di dedizione agli altri, di attenzione alle loro necessità, di cura di coloro che appartengono alla nostra cerchia e di accoglienza di coloro che vengono da altrove, in una parola (per dirla con il tema più caro al "pastore dei pastori" Francesco) di misericordia.
Collego questi sentimenti - e vi chiedo umilmente il permesso di farlo - ai drammatici fatti di cronaca di questi giorni, legati all'ennesima - e purtroppo già lo sappiamo - non ultima tragedia del mare. Come sempre avviene in questi casi, nei giorni successivi in tutte le piazze della vita di ogni giorno (dal bar alle aule dei municipi, dal parlamento ai salotti televisivi di ogni genere) non si fa altro che parlare e sparlare (a volte a proposito, a volte un po' meno) di ciò che è accaduto, ma soprattutto della ricerca immediata di soluzioni perché ciò non avvenga più. E le soluzioni che emergono sono davvero le più disparate. Io sono convinto che sia giusto e necessario esprimere ognuno le proprie idee e le proprie opinioni, liberamente, e guai a noi se non lo facessimo, perché cadremmo nella peggiore delle soluzioni, che è quella dell'indifferenza; e sono altrettanto convinto che sia giusto e necessario che tutti abbiamo diversità di opinioni, perché è solo la diversità che ci permette di avere a nostra disposizione una ricca e grande varietà di soluzioni. Soluzioni che io personalmente faccio fatica ad individuare, ma mi consolo, perché vedo che quelli che sono più esperti di me (in quanto deputati a trovarle) fanno altrettanta fatica.
Cosa fare? E soprattutto, cosa fare come cristiani, seguaci di Cristo Buon Pastore? Vi ripeto che non lo so: ma vorrei concludere la nostra riflessione di questa domenica con tre frasi che sono tre stimoli che ci vengono proprio da questo capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, letto oggi in tutto il mondo (quindi anche negli altri paesi europei, perché non è che i cristiani ci sono solo in Italia). Sono un invito ad essere accoglienti e misericordiosi come il Buon Pastore, ma soprattutto a non essere ladri, briganti o mercenari come gli scafisti, i trafficanti di esseri umani, e i molti ciarlatani di qualsiasi colore o bandiera politica:
"Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario - che non è pastore e al quale le pecore non appartengono - vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore".
"E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore".
"Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza". Omelia di don Alberto Brignoli
Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua (Anno B) 26 aprile 2015
tratto da www.lachiesa.it