19 aprile 2015 - III Domenica di Pasqua: essere testimoni di Cristo con le armi dell'amore, del perdono, della riconciliazione, della solidarietà e della pace

News del 17/04/2015 Torna all'elenco delle news

La fede cristiana non è l'adesione ad un'ideologia o ad un sistema etico, ma è l'incontro con una persona viva che dà senso a tutta la nostra vita: è l'incontro con Gesù, il crocifisso risorto. Ma noi crediamo veramente? Il nostro incontro con Lui è la fonte di una vita nuova? Nella domenica terza di Pasqua, il Vangelo di Luca (Lc.24,35-48) risveglia la nostra domanda e ci apre il cuore, gli occhi, tutti i sensi, per un incontro vivo con Lui. Luca (Lc.24,34) ha avvertito il suo lettore che il Signore è apparso a Simone prima di manifestarsi ai due discepoli di Emmaus: "Veramente il Signore è risorto" è la prolamazione che ormai risuona in Gerusalemme, come testimonianza di una esperienza vissuta ("Il nostro cuore ardeva mentre egli conversava con noi e ci spiegava le Scritture") da coloro che l'avevano incontrato nella via e l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Adesso Luca compone una scena che riguarda ormai il tempo della Chiesa, la comunità, oggi la nostra, che continua a gustare quella prima esperienza. Dopo la proclamazione "veramente il Signore è risorto", il soggetto dei verbi non è più "il Signore" o "Gesù", ma semplicemente "Lui" o "Egli", tanto la sua presenza riempie la scena: "egli sta in mezzo a loro". Il motivo dello stare insieme dei discepoli, la logica che regge i loro pensieri, è "Lui" che sta in mezzo a loro, che dona loro la pace. La pace che Egli dona è il segno della presenza operante di Dio nel mondo, quella che cantavano gli angeli alla nascita del Salvatore, quella che Egli augurava ("Va in pace") a chi manifestava la fede in Lui, è una pace nuova, capace di superare ogni ostacolo: la pace del crocifisso è donata alla comunità che crede in Lui, alla quale è chiesto di portarla nel mondo rispondendo ai dubbi e allo scetticismo di coloro che nella sua crocifissione vedono la fine di ogni sogno messianico.

Luca, ai discepoli "sconvolti e pieni di paura, che credevano di vedere un fantasma", a noi che possiamo riconoscerci in loro, rivolge la domanda: "Perché siete turbati e perché fate calcoli nel vostro cuore?" e l'invito: "Vedete le mie mani e i miei piedi: sono proprio io"... La paura, la chiusura in se stessi, il ritorno ad una lettura autoreferenziale delle cose, impedisce di entrare in una visione nuova del mondo. Certamente Luca intende affrontare le obbiezioni alla risurrezione che vengono dalla cultura greca: di qui l'invito a "palpare" e a "mangiare". In modo simile a quello di Giov.20,24-28 (l'incontro con Tommaso), Luca affronta il problema della fede: il risorto non è un'idea, non è un mito, è lo stesso Gesù di Nazareh, proprio Lui, il crocifisso che appartiene al mondo di Dio. È Lui che tante volte si è seduto a mensa con loro, è Lui, il crocifisso nel quale Dio ha raggiunto il vertice del suo Amore, è vivo ed attira tutto il mondo a sé: adesso, non più increduli ma credenti, hanno superato il loro scetticismo e sono pieni di una gioia indicibile. Non rimanere chiusi in se stessi, aprire il cuore e sentire il suo Amore, toccare il suo corpo donato e vedere con occhi credenti e pieni di stupore che lì è il mistero di un Dio che si annienta per dare la vita, è l'esperienza della fede: solo vedendo il crocifisso sperimentiamo il risorto.

Adesso comincia una vita illuminata da una luce nuova: non è un sogno, ma è l'esperienza dell'Amore che illumina e riscalda la concretezza anche drammatica della vita umana. Luca ricorda l'invito rivolto da Gesù ai suoi discepoli di rileggere le Scritture, la Legge, i Profeti, i Salmi, per entrare nella comprensione piena del mistero della sua morte e della sua risurrezione che illumina gli eventi della storia con la sua luce, e fa di essi la sua memoria viva: il mistero della sua morte e risurrezione si compie nella storia che continua, l'Amore di Dio che si annienta, compatisce, perdona e rigenera, risorge, continua ad essere la forza che cambia il mondo. La conversione, il cambiamento radicale di mentalità, il veder Dio non come l'onnipotente che domina, giudica e condanna, ma come l'Amore che si abbassa, soffre e muore; l'annuncio di un Amore che si dona, perdona, e manifesta la sua onnipotenza nella fragile tenerezza che abbraccia chi si lascia amare: conversione e perdono sono l'attuazione del progetto di Dio che ama il mondo continuando a ricrearlo con il suo Spirito perché il mistero della morte e risurrezione, partendo da Gerusalemme, raggiunga i confini del mondo.

Omelia di mons. Gianfranco Poma (Toccatemi e guardate!)

 

Convertiamoci e cambiamo vita

Il primo fondamentale messaggio che Gesù rivolge agli uomini del suo tempo è stato quello della conversione. Il suo ministero è iniziato con questo appello. La stessa cosa fanno gli apostoli dopo la risurrezione del Signore. E' l'apostolo Pietro, che nella sua funzione e missione di capo del collegio apostolico che prende la parola e dice esattamente come si sono svolte le cose riguardante Gesù Cristo. Il coraggio di dire la verità e di raccontarla senza paura e timore. Lo stesso invito ci viene rivolto oggi dal successore di Pietro, Papa Francesco, che sulla base del vangelo della misericordia e del perdono, invita tutti alla conversione e al cambiamento della vita. Lo ha fatto continuamente, lo sta facendo con maggiore insistenza negli ultimi tempi, soprattutto in vista del grande appuntamento del giubileo straordinario che ha indetto sul tema della misericordia e che si svolgerà dall'8 dicembre 2015 al 30 novembre 2016. Nella bolla di indizione del giubileo, Papa Francesco ha utilizzato questi termini che è quanto mai opportuno richiamare alla nostra attenzione per meditarci e rifletterci sopra: "Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un'illusione. Non portiamo il denaro con noi nell'al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire. Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. E' un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l'illusione del denaro come forma di potenza. È un'opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall'intrigo. Corruptio optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l'esistenza. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch'io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l'invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia"(MV, 19).

Tutti siamo chiamati alla conversione e al cambiare vita, in poche parole a rinnovarci a vivere da risorti nel Risorto. San Pietro, all'inizio del suo ministero ha proprio questa finalità nella sua missionarietà. Nel brano della prima lettura di questa terza domenica del tempo di Pasqua, tratto dagli Atti degli Apostoli, egli ripercorre sinteticamente la via della redenzione portata a compimento da Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione.

Gesù Cristo è quindi il volto della misericordia del Padre e in questo mistero dell'infinita misericordia di Dio, noi dobbiamo immergerci continuamente, ben sapendo che anche noi siamo peccatori ed abbiamo bisogno di redenzione.

La conversione passa anche attraverso due fondamentali impegni che dobbiamo assolvere continuamente: l'ascolto della parola di Dio e l'eucaristia. Il brano del vangelo di oggi che ci riporta all'apparizione del Risorto ai due discepoli che si dirigevano ad Emmaus, con i quali si fa viandante, pellegrino di speranza e gioia lo stesso nostro Signore, ci conferma nella nostra idea che non c'è vera conversione, pentimento ed inizio di una nuova vita, se non facciamo tesoro della parola di Dio, se tale parole non ci fa ardere il cuore, ci commuove e ci spinge a camminare oltre a non fermarsi mai, anche di fronte alle delusioni più grandi della nostra vita. Gli apostoli dopo la morte in croce d Gesù hanno attraverso un periodo di grande incertezza e buio. Poi tutto ritorna alla luce e tutti acquista un significato nuovo davanti al grande mistero del Risorto, apparso, riconosciuto, accettato ed annunciato. I discepoli di Emmaus riconoscono Gesù nello spezzare il pane. E' tutto il messaggio della Pasqua: eucaristia, penitenza e carità. Pentirsi, fortificarsi con l'eucaristia ed annunciare agli altri cosa il Signore ha operato dentro di noi, se gli abbiamo fatto spazio e gli abbiamo permesso di occupare totalmente il nostro cuore ed i nostri pensieri. "Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Essere testimoni di Cristo in tutto il mondo con le armi dell'amore, del perdono, della riconciliazione, della solidarietà e della pace. Questo è il compito che spetta alla Chiesa di sempre e soprattutto a noi cristiani di questo tempo, segnato da tanti motivi di sofferenza e di preoccupazione su come va il mondo. San Giovanni, apostolo ed evangelista, anche lui preoccupato di come andavano le cose al tempo di Cristo, scrive ai cristiani parole di incoraggiamento e sostegno spirituale, perché possa vedere il bello di una fede nel risorto, che proprio perché risorto è segno e fondamento di una vita davvero nuova nello spirito.

A conclusione di questa nostra riflessione condivisa con voi, sia questa la nostra umile preghiera, mentre continuamente rendiamo grazie al Signore per tutto quello che ha operato in noi: "O Padre, che nella gloriosa morte del tuo Figlio, vittima di espiazione per i nostri peccati, hai posto il fondamento della riconciliazione e della pace, apri il nostro cuore alla vera conversione e fa' di noi i testimoni dell'umanità nuova, pacificata nel tuo amore. Amen

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Credere per provare a vivere

Nelle Scritture si parlava tantissimo di Gesù. Si era espressamente detto, anche se non esplicitamente e in modo velato, che egli avrebbe sofferto, che sarebbe stato riprovato, perseguitato e vilipeso e che tutto questo era necessario perché poi entrasse nella gloria. Ma perché i discepoli non avevano scrutato a fondo le Scritture? Perché adesso stentavano nel credere alla presenza del loro Maestro, al punto che questi deve anche consumare una porzione di pesce arrostito per rendersi credibile? Gesù deve dimostrare loro, prova la mano e i piedi, che è proprio lui e non un fantasma. Mostra loro evidentemente, infissi nei piedi e nelle mani, i segni delle scalfitture ricevute sul corpo durante la passione, ma il suo corpo è tuttavia ben diverso dal precedente: non è più sottomesso alla caducità del tempo e dello spazio, non soccombe più all'usura e alle necessità terrene anche minime, ma è un "corpo glorificato". Superiore alle aspettative umane, quale quello che è subentrato dopo la passione, appunto nella risurrezione, per opera dello Spirito Santo. Ma come mai i discepoli dubitano della sua presenza, come già Tommaso (come già visto la settimana scorsa) aveva dubitato con la pretesa addirittura di palpare i segni dei chiodi e il costato? Perché il loro cuore era indurito. Non voleva accontentarsi cioè delle parole della Scrittura, ma ad esse era precluso e ostinato. Avrebbero dovuto reagire con gli occhi della fede di fronte alle sue apparizioni, la quale è a sua volta "prova delle cose che non si vedono" (Eb 11, 1) e riporre la loro attenzione alle prefigurazione che da Mosè in poi si riferivano a Cristo. La fede avrebbe dovuto far cogliere a loro la necessità oggettiva che il Cristo patisse e fosse perseguito per poi morire e risuscitare e invece soltanto una prova materiale (quella del mostrare mani e fianco e del magiare il pesce) riesce finalmente a convincere questi interlocutori poco sensibili.

La fede, cioè l'adesione incondizionata al mistero che è appannaggio solamente divino e che non ci appartiene, è la condizione per vivere intensamente i nostri rapporti con il Dio vincitore del male e della morte e per fare dell'evento della risurrezione il nostro habitat quotidiano. Nella fede siamo sorretti a credere e ad accogliere il Signore come colui che si fa nostro "avvocato" presso il Padre in merito ai peccati, così come avverte Giovanni (II lettura), che ci rassicura della certezza che la morte di Cristo non è stata vana perché per mezzo di essa Dio ha riconciliato l'uomo a sé; con la resurrezione invece il sacrificio e la morte sono state definitivamente superate in quando Egli ci ha donato la vita. La resurrezione è tuttavia un fatto di fede e ad essa deve corrispondere l'attitudine libera ed elevata del cuore. Tutto è possibile a Dio, anche apparire improvvisamente senza infrangere le porte sbarrate e manifestarsi nella pienezza della gloria. Anche mostrare mani e fianchi in un corpo inverosimilmente trasformato ed esaltato al massimo livello della gloria. Dio in Cristo manifesta la sua onnipotenza come prerogativa di gloria e di vita, per la quale tutto ciò che si poteva compiere per affrancare l'uomo dalla morte sotto mentite spoglie di vita è stato realizzato una volta per tutte.

Ciò nonostante, come avviene nel caso di questi discepoli presenti, ci si ostina a non credere e a mostrare panico e stupore, perché si vorrebbero prove inconfutabili ed elementi incontrovertibili, certezze e dimostrazioni logiche e scientifiche che ci delineino l'evidenza dei fatti che Gesù è risorto e vive per sempre. In realtà non c'è consolazione più grande se non quella di aprire il cuore alle parole della Rivelazione e alle Scritture, le quali, uniche, possono garantire la certezza della resurrezione come un fatto straordinario che ha le sue ripercussioni anche ai nostri tempi. La fede non è un "provare per credere", ma un credere per provare a vivere. Essa richiede apertura incondizionata e spontanea, accondiscendenza, fiducia e sequela senza condizioni Certamente la fede non esclude possibilità di razionalità e di speculazione astratta, tuttavia essa è caratterizzata dalla gratuità dell'"Io credo".

Cristo dal canto suo, una volta risuscitato, appare deliberatamente e nella forma convincente e determinata. Come dirà poi Paolo, comparirà anche a più di 500 persone oltre che a lui medesimo, recando la pace, manifestando il suo innalzamento glorioso, comunicando (Giovanni) il dono dello Spirito e invitando i suoi a "fare discepoli tutti nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".

Le apparizioni sono un prolungamento del fenomeno della tomba vuota e nella presentazione del corpo glorioso di Cristo ci sono di sprone a che la resurrezione non resti un mero fatto avvenuto una volta per sempre nella storia.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno B) 19 aprile 2015

tratto da www.lachiesa.it