Due vie per la grandezza

News del 17/10/2009 Torna all'elenco delle news

La logica del vangelo che Gesù è venuto ad annunciare non coincide, anzi spesso sembra agli antipodi di quella terrena, quasi istintiva negli uomini.

I vangeli di queste domeniche ne offrono una chiara dimostrazione: dopo le dinamiche dell'amore e l'uso dei beni materiali, ecco oggi la "rivoluzione" a proposito del potere, che tanto fascino esercita su tanti, si tratti del potere politico, di quello economico, o di quello a più corto raggio, praticato sui sottoposti (nell'ambito del lavoro, ad esempio, o di altre aggregazioni, come tra i militari, o nella scuola) e persino su familiari e amici.

Sia quando nasce dall'ambizione di emergere, o dal perverso piacere di piegare gli altri al proprio volere, sia quando deriva dall'autentica, ma pur sempre arbitraria, presunzione di essere migliori, più capaci, il potere così inteso è deleterio, perché provoca umiliazioni, rancori, ingiustizie, rivolte.
 

Da una simile concezione non erano esenti gli apostoli, come manifesta l'episodio riferito nel vangelo di oggi. Malgrado gli insegnamenti e gli esempi offerti da Gesù nel corso del suo ministero, essi continuavano a considerarlo un Messia politico, venuto a restaurare l'antico regno d'Israele: ed ecco affacciarsi in loro la prospettiva, come suoi amici, di partecipare al suo imminente potere. I due fratelli Giacomo e Giovanni un giorno gli presentarono una richiesta: "Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra"; vale a dire, nel regno che stai per ricostituire, vogliamo essere i più importanti dopo di te. A tale richiesta gli altri dieci si indignarono: non perché fossero migliori e avessero compreso la reale natura della missione del Maestro, ma per gelosia, per altrettanta ambizione, che non ammetteva la sottesa discriminazione nei loro confronti.
Di qui l'insegnamento di Gesù, che enuncia una regola inaudita e pone se stesso come modello, esplicitando anche su questo punto il senso della sua missione: "I governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".

L'autorità dunque non come potere ma come servizio, per il bene comune; un servizio che comporta la rinuncia alle ambizioni personali, il dono di sé, e se occorre anche il sacrificio. L'autentica grandezza sta nel servire, cioè nel cercare non il bene proprio ma quello di coloro cui in vario modo si può giovare, disposti a tutto, persino - sull'esempio di Gesù - a dare la vita.
Questa logica, da quando Gesù l'ha enunciata, non è rimasta senza seguaci: spesso nascosti, ma non di rado palesi, come i santi (basti ricordare il nostro Luigi Gonzaga, con la sua rinuncia al principato), come tanti frati e suore, come chi si dedica al volontariato. O come i missionari, i quali avrebbero intelligenza, cultura e intraprendenza quante bastano per affermarsi nel mondo e invece lasciano tutto per "servire", anche a rischio della vita. Rischio non teorico, come le cronache riportano con troppa frequenza.
Il riferimento ai missionari riveste oggi un particolare significato, perché oggi ricorre l'annuale Giornata missionaria mondiale. Ricorre, per ricordare ai i cristiani che l'annuncio del vangelo compete alla Chiesa intera e dunque anche a ciascuno di loro, e per questo sono invitati a sostenere - tutti, con la preghiera; chi può, anche con l'aiuto materiale - questi fratelli esposti in prima linea, questi eroi della fede e della civiltà. 

Testo di mons. Roberto Brunelli
tratto da www.lachiesa.it