8 marzo 2015 - III Domenica di Quaresima: Sei casa del Padre, non fare mercato del tuo cuore
News del 06/03/2015 Torna all'elenco delle news
E io, come vorrei il mondo, cosa sogno per la nostra casa grande che è la terra? Che sia Casa del Padre, dove tutti sono fratelli, o casa del mercato (Gv2,16), dove tutti sono rivali?
È questa l'alternativa davanti alla quale oggi mi mette Gesù. E la sua scelta è così chiara e convinta da farlo agire con grande forza e decisione: si prepara una frusta e attraversa l'atrio del tempio come un torrente impetuoso, travolgendo uomini, animali, tavoli e monete.
Mi commuove in Gesù questa combattiva tenerezza: in lui convivono la dolcezza di una donna innamorata e la determinazione, la forza, il coraggio di un eroe sul campo di battaglia (C. Biscontin).
Un gesto infiammato, carico di profezia: Non fate della casa del Padre mio una casa di mercato! Non fare del mercato la tua religione, non fare mercato della fede. Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita, la logica grezza del baratto dove tu dai qualcosa a Dio (una Messa, un'offerta, una rinuncia...) perché lui dia qualcosa a te. Dio non si compra e non si vende ed è di tutti.
La casa del Padre, che Gesù difende con forza, non è solo l'edificio del tempio, ma ancor più è l'uomo, la donna, l'intero creato, che non devono, non possono essere sottomessi alle regole del mercato, secondo le quali il denaro vale più della vita. Questo è il rischio più grande: profanare l'uomo è il peggior sacrilegio che si possa commettere, soprattutto se povero, se bambino, se debole, i principi del regno. «Casa di Dio siete voi, se conservate libertà e speranza» (Eb 3,6). Casa, tempio, tenda grembo di Dio sono uomini e donne che custodiscono nel mondo il fuoco della speranza e della libertà, la logica del dono, l'atto materno del dare. Tempio di Dio è l'uomo: non farne mercato! Non umiliarlo sotto le leggi dell'economia. Non fare mercato del cuore! Sacrificando i tuoi affetti sull'altare del denaro. Non fare mercato di te stesso, vendendo la tua dignità e la tua onestà per briciole di potere, per un po' di profitto o di carriera.
Ma l'esistenza non è questione di affari: è, e non può che essere, una ricerca di felicità. Che le cose promettono e non mantengono. È solo nel dare e nel ricevere amore che si pesa la felicità della vita. I Giudei allora: quale segno ci mostri per fare così? Gesù risponde portandoli su di un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò. Non per una sfida a colpi di miracolo e di pietre, ma perché vera casa di Dio è il suo corpo. E ogni corpo d'uomo è divino tempio: fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché con un bacio Dio le ha trasmesso il suo respiro eterno.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Cristo conosce bene il nostro cuore
La terza domenica di Quaresima ci pone davanti al mistero della Pasqua di Cristo, di morte e risurrezione, con la coscienza di quello che siamo realmente davanti a Dio, senza finzioni e senza ipocrisia. Gesù incamminato verso la via della sofferenza e della risurrezione ci indica la strada da percorrere insieme a lui: è la strada della fedeltà e dell'autenticità, è la strada della verità e della sincerità con noi stessi, con Dio e con gli altri. Nella vita di un cristiano autentico non può trovare spazio il fariseismo, l'apparire diversi da quelli che in realtà siamo. Dio legge nel nostro cuore e conosce perfettamente chi siamo e come agiamo. Ci lascia la libertà della nostra azione anche davanti al male e al peccato, di cui siamo i diretti responsabili, perché siamo noi a deciderci per il bene o per il male, per la grazia o per la disgrazia morale. La coscienza dei nostri fallimenti e delle nostre paure, infedeltà, indecisioni ci devono spronare verso una vita più coerentemente improntata alla coerenza, all'autenticità, che passa attraverso l'osservanza, non esteriore, della legge di Dio, ma un'osservanza integrale, senza omissioni o adattamenti personalizzati, della legge morale, che dobbiamo avere a cuore nelle nostre azioni quotidiane.
In sintesi è questo il messaggio che ci arriva dalla parola di Dio di questa terza domenica che ci fa capire, se vogliamo celebrare degnamente questa Pasqua, l'urgenza di dare una svolta alla nostra vita spirituale e morale.
Quale verità stava nel cuore della gente che andava da lui a partire dai discepoli: la triste verità di pensare ad un messia esclusivamente nell'orizzonte materiale, politico, economico, di posizione sociale e quindi di affiancarsi a Lui per meri interessi materiali. Lo scandalo della croce i discepoli non lo accettarono, scapparono via dal loro maestro condannato a morte, crocifisso. Ci volle un bel po' per capire che il crocifisso era anche il Risorto, il tempio del suo corpo distrutto dall'odio di quanti volevano la morte di Gesù, viene ricostruito più bello e perfetto con la risurrezione, con la certezza di una vita oltre la vita, il cui punto di partenza per tutta l'umanità è proprio Cristo Risorto, quella Pasqua cristiana che è il centro del messaggio di Cristo e della Chiesa. Il testo del vangelo di Giovanni ci ricorda, infatti, che "quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù".
Lo stile pasquale di Cristo deve diventare il nostro stile di vita. In che cosa consiste questo stile: prima di tutto dal recupero di una vita di preghiera. Gesù che letteralmente arrabbiato per la condizione in cui si trovava il tempio di Gerusalemme, ha il coraggio di ribellarsi e di agire con forza e diciamo con violenza davanti a chi aveva trasformato il luogo di preghiera in un vero mercato, offendendo la dignità di quel luogo sacro. Quanto siano attuali queste parole di Gesù anche per noi cristiani nel XXI secolo lo possiamo capire da soli, di fronte a certi interessi economici che si realizzato in nome della Chiesa, di Cristo, dei santi, delle varie feste e usanze cristiane. La fede e la religione diventa un affare economico e non è più un affare spirituale, interiore di vera contemplazione dei misteri della redenzione. Riflettere attentamente sul comportamento di Gesù in questa specifica circostanza, ci aiuta a discernere quale atteggiamento vero che dobbiamo assumere davanti allo sfruttamento della religione e dei luoghi di culto per interessi economici.
Anche per noi si avvicina la Pasqua, non solo quella del 2015, ma quella eterna e noi dobbiamo rendere conto a Dio della nostra vita. Una vita vissuta solo ad accumulare beni terreni, in molti casi, dimenticandoci ci accumulare in beni eterni quelli che non sono soggetti ad inflazione, a logoramento e distruzione. L'attaccamento ai soldi e ai beni della terra non potranno mai, assolutamente mai, farci celebrare una Pasqua vera. Buttiamo via le opere di questo genere e facciamo spazio al Dio nell'intimo del nostro cuore e nella nostra vita di tutti i giorni. San Paolo Apostolo ci ricorda nel brano della seconda lettura di oggi, tratto dalla sua prima lettera ai Corinzi, che la vera sapienza e la vera gioia, sta in Gesù Crocifisso, in lui possiamo e dobbiamo sperimentare la felicità, salendo il calvario, elevandoci spiritualmente in un'ascesi mistica della Passione di Cristo.
Ecco dove sta la vera sapienza nella presunta stoltezza della croce, che in Cristo è diventato strumento di salvezza e redenzione. E ciò che deve essere valido anche per noi. Logica conseguenza di questo nuovo modo di intendere la vita secondo lo spirito, secondo il vangelo e più in generale secondo la Bibbia è andare all'origine della nostra fede e della nostra morale personale e sociale, che troviamo codificata nelle tavole della legge, i cosiddetti 10 comandamenti, che ben conosciamo e che oggi ci vengono richiamati alla nostra attenzione nel brano della prima lettura, tratto dal libro dell'Esodo, il libro della liberazione, dell'itineranza, dell'alleanza sinaitica.
Vivere i comandamenti di Dio, più che osservali esteriormente come i farisei, è l'esperienza più vera della gioia pasquale verso la quale ci stiamo incamminando, celebrando il nostro esodo ogni giorno, in questo tempo di quaresima, con la consapevolezza del peso delle nostre colpe e della necessità di pregare davvero per la nostra conversione e per la conversione di tutto il mondo. Sia questa la nostra orazione oggi: "Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia". Signore, volgiti a me e abbi misericordia di me e di tutti, perché siamo poveri e soli". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Le cose non possono tacitare la coscienza
La prima lettura di oggi (Esodo 20,1-17) propone un passo tra i più incisivi della Bibbia: l'elenco dei comandamenti. In genere li si conosce in una forma sintetica, facile da mandare a memoria; è interessante sentirli ogni tanto nella loro forma integrale.
L'episodio del vangelo (Giovanni 2,13-25) è di queli che concorrono a delineare di Gesù un ritratto "scomodo". Certi scritti pietistici lo presentano come la quintessenza della bontà, ma intesa come indulgenza ad ogni costo; della tolleranza, ma come remissiva passività. Si dimentica ad esempio che egli non esita a minacciare guai ai farisei ipocriti (Luca 11,37-44), a dare della volpe ad Erode (Luca 13,33) e addirittura del satana a Pietro quando questi pretende di distoglierlo dal suo itinerario di vita (Matteo 16,23). E nel brano odierno egli dimostra tutta la sua intransigenza sui princìpi e sui valori inalienabili.
Un tale comportamento di Gesù sorprende, e non solo perché sembra lontano dal suo "stile". Il tempio di Gerusalemme, centro della fede ebraica e cuore della nazione, vedeva un continuo andirivieni di fedeli, molti dei quali vi recavano animali da offrire in sacrificio: non era pensabile se li portassero da casa, specie se abitavano lontano, mentre quanti intendevano lasciarvi un'offerta in danaro dovevano cambiarlo con l'antica moneta, altrove fuori corso ma la sola accettata nel tempio. In fondo dunque quei mercanti, oltretutto stanziatisi nel più esterno dei cortili del sacro edificio, svolgevano un servizio utile: perché scacciarli?
In realtà l'episodio è importante perché Gesù vi si proclama Figlio del "Padrone di casa", e denuncia lo scandalo del mercanteggiare il rapporto con il Padre suo, o ritenerlo una pratica formale, ridotta al "sentirsi a posto" con il semplice offrirgli qualcosa. In tal senso il monito assume una validità perenne; oggi come ieri incombe sulla coscienza di ciascuno l'illusione di tacitarne i rimproveri con l'osservanza esteriore del culto o magari col metter mano al portafogli. La fede implica ben altro, come appare anche dal seguito dell'episodio.
A chi gli chiede conto del suo inusitato comportamento, Gesù risponde: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". E l'evangelista aggiunge: "Egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Ecco: la fede trova in lui il nuovo e perfetto tempio, distrutto dalla croce e ricostruito con la risurrezione; il suo corpo morto e risorto è il "luogo" dove incontrare Dio. Le chiese cristiane differiscono radicalmente dall'antico tempio di Gerusalemme, perché non sono la dimora di Dio, ma la casa della comunità, che vi si raduna per entrare in intima comunione con Gesù morto e risorto, specie nella celebrazione eucaristica. Trascurare la Messa, o parteciparvi solo per distratta abitudine, o sostituirla con pratiche magari in sé buone ma rispondenti piuttosto ai gusti personali, significa non aver compreso il valore del dono, né che di un dono appunto si tratta. Con Dio non si mercanteggia, né si possono seguire opinioni personali; l'atteggiamento appropriato, da parte dei destinatari di un tale dono, è anzitutto la più profonda riconoscenza, che si traduce nell'impegno a vivere in modo coerente con il rapporto profondo che il dono instaura.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Molti credettero nel suo nome
La Liturgia ci prepara alla Pasqua e ce ne farà gustare il mistero, con il Vangelo di Giovanni. Nella domenica III di quaresima leggiamo Giov.2,13-15 che si chiude con una osservazione importante per la comprensione del quarto Vangelo e l'esperienza della fede alla quale vuole condurci. "Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, molti vedendo i segni che egli compiva, credettero in Lui": Giovanni sottolinea la relazione tra "vedere i segni" e "credere in Lui", riprendendo la conclusione delle nozze di Cana (Giov.2,11). Al termine del Vangelo (Giov.20,30-31) dirà: "Molti segni Gesù ha compiuto davanti agli occhi dei suoi discepoli: questi sono scritti perché voi crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (Giov.20,30-31). Giovanni ha scritto per i suoi lettori, per noi, oggi: ha scritto "questi segni" per un fine preciso, "perché crediamo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio", " perché credendo, abbiamo la vita". Vedere, credere, vivere, è il filo che lega tutto il Vangelo di Giovanni. Gesù, al termine del nostro brano, mette pure in guardia dal rischio della "pretesa" di avere dei segni per credere, o di fermarsi al segno senza aprirsi alla gioia della fede in Colui che si rivela e al dono della vita che viene data a chi crede. Il Vangelo di Giovanni è una raffinata pedagogia della fede: nel prologo annuncia: "Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato tra di noi e noi abbiamo visto la sua gloria" e tutto il Vangelo ci illumina per poter vedere, toccare, sentire la carne di Gesù, come segno in cui si manifesta il figlio di Dio, fino a vedere nella Croce il segno più alto di Amore, nella morte la Resurrezione.
"Dio nessuno l'ha mai visto, l'unigenito che è nel seno del Padre lo narra" (Giov.1,18): tutto il Vangelo di Giovanni è la narrazione di Dio che si rivela nell'esistenza umana di Gesù. L'esperienza della resurrezione diventa la luce che fa vedere ogni evento come segno della vita di Dio dentro la carne dell'uomo: il motivo della lettura liturgica del Vangelo di Giovanni nel tempo di Quaresima e di Pasqua è di educarci a sperimentare la luce della Resurrezione negli eventi concreti della vita.
Così, oggi leggiamo la pagina che riguarda l'incidente accaduto a Gesù nel Tempio di Gerusalemme. Mentre i Sinottici collocano questo episodio all'inizio del racconto della Passione, Giovanni lo pone all'inizio dell'attività pubblica di Gesù in un progetto teologico preciso che intende comprendere ogni suo gesto come segno alla luce della Croce e della Resurrezione. Subito dopo le nozze di Cana, il primo dei segni compiuti da Gesù, che rivela la novità dell'Alleanza con Dio inaugurata dalla sua presenza, Giovanni colloca l'evento accaduto nel Tempio di Gerusalemme in occasione della Pasqua dei Giudei, l'altro "segno" che i discepoli ricordano quando sperimentano Gesù risorto: nell'Alleanza nuova, nella relazione nuova con Dio, c'è un Tempio nuovo, la "carne" di Gesù, la sua umanità donata al Padre e amata da Lui.
Gli interlocutori di Gesù, i suoi discepoli, i lettori del Vangelo, (noi oggi) possono comprendere il senso di questo gesto di Gesù solo ricordandolo alla luce della sua Resurrezione: non sono più necessari gli agnelli o le altre offerte perché l'Agnello di Dio" è Lui solo; non è più necessario il Tempio perché il luogo della presenza di Dio è il suo corpo crocifisso e risorto, segno dell'infinito Amore di Dio che rimane per sempre nella storia.
Per due volte Giovanni in questo brano fa riferimento alla "memoria" aprendoci alla dimensione essenziale dell'esperienza della fede: "fare memoria di Gesù" significa comprendere come segno tutta la sua esistenza umana per illuminare, gustare e vivere la nostra.
Per questo Giovanni anticipa l'evento del Tempio: perché "facendo memoria" della sua Resurrezione entriamo nel Tempio nuovo che è Lui stesso. Per comprenderlo, poi, dovremo percorrere tutto il Vangelo, per vedere nella sua luce la nostra quotidianità, credere ed entrare noi stessi nella pienezza della vita.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Quaresima (Anno B) 8 marzo 2015
tratto da www.lachiesa.it