15 febbraio 2015 - VI Domenica del Tempo Ordinario: Dio é guarigione contro ogni nostro male
News del 14/02/2015 Torna all'elenco delle news
Un lebbroso. Il più malato dei malati, di malattia non soltanto fisica, un rifiuto della società: «porterà vesti strappate, velato fino al labbro superiore... è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento» (Lv 13,46). E Gesù invece si avvicina, si oppone alla cultura dello scarto, accoglie e tocca il lebbroso, l'ultimo della fila. Tocca l'intoccabile. Ama l'inamabile: per la legge mosaica quell'uomo era castigato da Dio per i suoi peccati, un rifiutato dal cielo.
Il lebbroso non ha nome né volto, perché è ogni uomo. A nome di ciascuno geme, dalla sua bocca velata, una espressione bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace dice: «Se vuoi».
E intuisco Gesù felice di questa domanda grande e sommessa, che gli stringe il cuore e lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome di ogni figlio della terra il lebbroso chiede: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, che se ne fa di queste lacrime? Vuole sacrifici, una pedagogia di sofferenze per provare la nostra pazienza, o vuole figli guariti?
E Gesù felice di poter rivelare Dio, di poter dire una parola ultima e immensa sul cuore di Dio risponde: «Lo voglio: guarisci!». Ripetiamocelo, con emozione, con pace, con forza: eternamente Dio altro non vuole che figli guariti.
A me dice: «Lo voglio: guarisci!». A Lazzaro grida: «Lo voglio: vieni fuori!». Alla figlia di Giairo: «Talità kum. Lo voglio: alzati!». È la buona novella: un Dio che fa grazia, che risana la vita, a cui importa la mia felicità prima e più della mia fedeltà.
A ogni pagina del Vangelo Gesù mostra che Dio è guarigione! Non conosco i modi e i tempi, ma so che adesso lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte.
Il lebbroso guarito disobbedendo a Gesù si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Ha ricevuto e ora dona, attraverso gesti e parole e carne di primavera, la sua esperienza felice di Dio. L'immondo diviene fonte di stupore, il rifiutato è trasformato dall'accoglienza.
Ciò che è scritto qui non è una fiaba, funziona davvero, funziona così. Persone piene di Gesù oggi riescono a fare le stesse cose di Gesù. Pieni di Gesù fanno miracoli. Sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: barboni, tossici, prostitute, li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori.
Prendere il vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo.
E tutti quelli che l'hanno preso sul serio e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano che fare questo dona una grande felicità.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Guarda di non dire niente a nessuno
Il brano del Vangelo di Marco che la Liturgia ci fa leggere nella domenica VI del tempo ordinario, Mc.1,40-45, ha una particolare importanza nel cammino della formazione del discepolo che Gesù chiama a seguirlo, per dare un volto autentico alla sua comunità. Nel succedersi veloce ("subito") e quasi incessante degli episodi e degli incontri (con l'uomo con lo spirito impuro, con la suocera di Simone, con il lebbroso), Marco con sempre maggiore chiarezza vuole mettere in evidenza la centralità di Gesù: è Lui che chiama, è Lui che guida, è Lui che forma, percorrendo un itinerario di libertà nel quale Lui conduce chi lo segue ad uscire dall' ambiguità e dalla paura per realizzare la propria esistenza nell'incontro con Lui. Ed è ancora Lui che costruisce la comunità dei suoi discepoli i quali, con un percorso esigente e lungo, imparano a vivere di Lui solo, diventando uomini liberi in relazione fraterna.
Il brano che oggi leggiamo intende fare chiarezza nel cuore di chi cerca Gesù e si mette in cammino con Lui. Cerca davvero Lui o cerca se stesso? Cerca una relazione autentica con i fratelli o vuole realizzare propri progetti, strumentalizzando gli altri? Serve il Vangelo o si serve del Vangelo, in realtà, rinnegandolo?
Certo è una pagina singolare, la nostra, nella quale Marco con raffinatezza ironica fa emergere l'interesse egoistico con cui il lebbroso si rivolge a Gesù. E sorprende noi, abituati a pensare a Gesù "amorevole", "gentile"..., vedere che qui, pur venendo incontro al lebbroso, "va in collera", "freme contro di lui", "lo scaccia"...
Marco narra del "lebbroso che viene verso di lui, pregandolo, inginocchiandosi e dicendo: Se vuoi, puoi purificarmi". Con il solito stile veloce ed essenziale, conduce il lettore sino alla fine del racconto per comprendere quanto l'incontro con Gesù sia esigente e chiarificante, smontando chi si illude che tutto possa risolversi in una facile gratificazione e proponendo, a chi si apre, un cammino di ricerca autentica di libertà.
Chi è il lebbroso? È una persona impura perché malata di una malattia che separa dagli altri e da Dio: quante specie di "lebbra" possono esserci nell'uomo!
Questo lebbroso chiede a Gesù di "essere purificato" per poter essere riammesso nelle relazioni sociali: ma chiede di essere guarito nella radice del proprio male? Si accosta a Gesù, perché sa che egli abbatte le barriere dell'impurità che separa gli uomini: ma è disposto ad entrare con Lui nel mistero della sua libertà? Egli si prostra davanti a Lui: conosce la fama della sua "potenza" ma non sa da dove essa derivi. Così tutto il suo rapporto con Gesù rimane equivoco, condizionato dalle sue attese. Anche la sua preghiera è, in realtà una pretesa: "Se vuoi, puoi purificarmi!".
Per questo, la reazione di Gesù è sorprendente, complessa, come se la richiesta del lebbroso lo indisponesse: la tradizione testuale esita tra la compassione e la collera provocata dal lebbroso in Lui che pure non esita a tendere la mano, a toccarlo dicendo: "Lo voglio, sii purificato". Certo, la volontà di Gesù, rivolta verso il bene di chi soffre non è facilmente strumentalizzabile. Rimane aperto il "mistero" della sua novità: la volontà di Gesù non è un potere, ma è Amore che serve, libera, vivifica. Egli non purifica senza che il cuore si lasci purificare: l'incontro con Gesù non è come di un potente con un suddito, ma è una relazione d'Amore che libera il cuore di chi si lascia purificare perché cominci a sua volta ad amare. Così, dopo che Gesù lo ha toccato e gli ha parlato, "la lebbra lo ha lasciato e fu purificato". Ma a questo punto il racconto di Marco ci sorprende: non dà giudizi, non orienta a prendere posizione, solo mette in evidenza quanto sia distante il lebbroso ormai purificato da Gesù. Aveva desiderato di essere purificato per entrare nella trama delle relazioni normali e Gesù lo caccia via ordinandogli di non dire niente a nessuno, rimandandolo nella sua società normata dalla Legge di Mosè. Egli disattende completamente l'ordine di Gesù per "predicare molte cose e divulgare la parola": il lebbroso ha desiderato essere purificato da Gesù per la fama di cui godeva presso tutti, ma solo per poter realizzare se stesso in un progetto in cui lui, la sua storia, è al centro, e la cui forza è la sua abilità comunicativa. Evidentemente il progetto di Gesù è ben altro: egli è l'annunciatore del Vangelo, l'Amore di Dio che libera e purifica i cuori per generare una umanità nuova, una comunità di persone libere da interessi e da meschine preoccupazioni personali. Certo, Marco ha presente la comunità che comincia a nascere nella complessità della città: ad essa si rivolge con grande chiarezza. Su che cosa si costruisce la comunità cristiana: sul Vangelo o sul protagonismo di abili comunicatori di successo? La forza del Vangelo è inarrestabile, ma non nell'equivoco: il successo umano chiude le porte al Vangelo che ha la forza di creare comunità persino nel deserto. Tutto questo, oggi, è per noi.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Una storia di sofferenza. Una storia di guarigione
Il vangelo è pieno di racconti di storie di sofferenze e, parimenti, storie di guarigioni di ogni genere. Da un lato, delle persone che soffrono anche indicibilmente; dall'altro, Gesù che opera le guarigioni, invocate e chieste in tanti modi a lui, con semplici gesti, con dialoghi, con il silenzio, con un contatto con gli abiti del Maestro. Storie che si intrecciano e ci rammentano la grandezza di Dio e la povertà e la debolezza dell'uomo. I miracoli sono e saranno sempre possibili e si verificheranno se la fede sarà grande e totale in Dio, nostro salvatore.
Oggi, nel vangelo di Marco, in questa sesta domenica del tempo ordinario, alla vigilia dell'inizio della Quaresima del 2015, incontriamo la storia della sofferenza di un lebbroso, che viene guarito da Gesù e che una volta ottenuto questo grande dono, non si tiene il dono per se stesso, ma lo proclama con forza a tutti coloro che egli incontra, nonostante il divieto assoluto da parte di Gesù di non dire niente di quanto accaduto a nessuno. Invece, è talmente grande la gioia in lui e il senso di riconoscenza da parte di questo lebbroso, al punto tale che viola il comando del Signore: il bene non si può tacere, lo si deve gridare forte al mondo intero; perché il male più facilmente si conosce e si sa, e più facilmente lo si pubblicizza e diffonde, soprattutto ai nostri giorni con i potentissimi mezzi della tecnica.
Qui è la voce diretta di una persona guarita che grida forte il suo bisogno di dire grazie a Dio e di farlo sapere agli altri. Questo è l'atteggiamento più giusto di chi riceve un miracolo da Dio e spesso non sa gridarlo con la forza della fede.
Nel miracolo del lebbroso guarito c'è tutta una liturgia che la chiesa ha fatto sua nei casi in cui, mediante la grazia, opera, con l'azione dello Spirito santo, la guarigione del corpo e dello spirito delle persone affette da malattie...
Alla base dell'intervento di Gesù c'è la compassione, il "cum patire", l'immergersi nella sofferenza dell'altro. Non è un atteggiamento di disprezzo, anzi, di grande attenzione, verso il richiedente della purificazione.
E' lo stesso atteggiamento che dovremmo avere noi di fronte alla sofferenza, molte volte atroce, dei nostri fratelli che si trovano nel dolore. Capire, essere vicini e fare qualcosa per loro, se è nelle nostre possibilità. Il che significa che dobbiamo fare le stesse cose di Gesù. Egli ci dà l'esempio di come comportarci davanti a delle persone ammalate...
Gesù tocca il lebbroso, non ha paura di infettarsi. Anche noi non dobbiamo avere paura di sporcarci le mani per aiutare gli ammalati.
..Solo l'amore può fare i miracoli di guarigione. Chi ama davvero, guarisce il suo cuore ed aiuta a guarire il cuore e il fisico degli altri.
...Nella guarigione del lebbroso, quindi possiamo ben dire di trovare tutto il rito di purificazione dal peccato che avviene mediante il sacramento della confessione. E allora perché non ci lasciamo purificare dal Signore una volta per sempre?..
La drammaticità di questa situazione di emarginazione del lebbroso è espressa dalla prima lettura di oggi, tratta dal libro del Levitico, uno dei cinque fondamentali della Torah, che chiaramente ha risvolti di carattere non solo sanitario e legislativo, nel senso che prudenzialmente il lebbroso era tenuto lontano dalla città, perché la malattia era contagiosa e poi il lebbroso era considerato un peccatore pubblico e la malattia una punizione per i peccati commessi.
"Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e disse: «Se qualcuno ha sulla pelle del corpo un tumore o una pustola o macchia bianca che faccia sospettare una piaga di lebbra, quel tale sarà condotto dal sacerdote Aronne o da qualcuno dei sacerdoti, suoi figli. Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore, andrà gridando: "Impuro! Impuro!". Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell'accampamento».
Volendo applicare questo testo alla lebbra spirituale, al peccato che è dentro di noi e nelle nostre azioni, anche noi dovremmo gridare forte, impuro, impuro, per non trasmettere il male spirituale agli altri.
Invece, oggi, si grida forte la propria debolezza, e si pubblicizzano le proprie vergogne morali, con i vari giorni e manifestazioni di orgoglio dell'immoralità e non della santità.
In questo nostro tempo, quanti lebbrosi ci sono, spiritualmente e moralmente che stanno infettando il mondo con la loro malizia e perversione. E' tempo di conversione, è tempo di gridare forte al Signore: "Purificami o Signore e sarò più bianco della neve.
Il volto del lebbroso non è soltanto il volto della sofferenza e della debolezza, ma anche il volto di una precisa richiesta di aiuto.
Come non prestare attenzione ai tanti lebbrosi del mondo d'oggi che chiedono aiutano e non trovano nessuno che li aiuti davvero?
San Paolo Apostolo, ci ammonisce fraternamente oggi con il breve, ma intenso brano della seconda lettura della liturgia della parola di Dio, tratto dalla prima lettera ai Corìnzi, nella quale scrive: "Fratelli, sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non siate motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare il mio interesse ma quello di molti, perché giungano alla salvezza. Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo".
Sia questa la nostra preghiera comunitaria oggi: "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l'immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all'opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia".
A tale preghiera si aggiunga questa mia preghiera della sofferenza, adatta al tempo che stiamo vivendo e che ci apprestiamo a vivere, che la Quaresima, tempo di purificazione e di conversione:
Signore che sei morto sulla croce per noi,
insegnaci a portare con santa rassegnazione
le nostre croci quotidiane.
Non sempre siamo predisposti e preparati
a seguirti sulla via del Calvario,
ma Tu, dal cielo, ove regni in eterno
con il Padre e lo Spirito Santo,
comprendi le nostre debolezze
e la nostra fragilità di fronte al male,
che spesso ci accompagna senza lasciarci un attimo di pace.
Gesù, conforta quanti sono nel dolore,
i bambini, i giovani, gli adulti e gli anziani
e volgi uno sguardo speciale sul dolore di tanti tuoi figli,
eletti alla dignità del presbiterato o chiamati alla vita consacrata.
Nessuno soffra da solo
senza il conforto amorevole di qualcuno,
ben sapendo che il giudizio finale riguarderà la carità.
Tu ti indentifichi nella persona che soffre,
invitando noi uomini di questo mondo
a visitare gli ammalati,
a confortare gli afflitti,
ad avere uno sguardo d'amore
verso le croci di tanti uomini
e donne che sono nel dolore.
Uomo della croce, che ben conosci il patire,
sii vicino agli afflitti e ai derelitti,
non abbandonare l'opera delle tue mani
e attraverso Maria, la Vergine Addolorata,
accogli la nostra umile preghiera di aiuto
e soccorso nella malattia. Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Liturgia e Liturgia della Parola della VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 15 febbraio 2015