18 gennaio 2015 - II Domenica del Tempo Ordinario: aprirsi alla relazione con Dio

News del 17/01/2015 Torna all'elenco delle news

Dopo l'infanzia, considerata nel periodo natalizio, già il vangelo di domenica scorsa presentava Gesù adulto. Il suo battesimo al fiume Giordano ha significato la sua solenne presentazione al popolo d'Israele quale Messia, il ricattatore atteso da secoli, e l'inizio della sua vita pubblica, che tra i primissimi atti ha visto la chiamata dei primi apostoli.

Giovanni Battista, "fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ?Ecco l'agnello di Dio!' E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Uno dei due era Andrea. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: ?Abbiamo trovato il Messia' (che si traduce Cristo) e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: ?Tu sei Simone; sarai chiamato Cefa' (che significa Pietro)".

Da questo condensato del vangelo odierno (Giovanni 1,35-42) emerge con evidenza il tema della vocazione, vale a dire la chiamata che Dio rivolge agli uomini, perché intreccino un rapporto con Lui. La Bibbia trabocca di storie di vocazione: ne sono esempi Abramo, Mosè, Davide, i singoli profeti, il piccolo Samuele di cui si legge nella prima lettura di oggi (1Samuele 3,3-10), la Vergine Maria, gli apostoli; ciascuno in forme diverse, ma tutti accomunati da questo invito a dare alla propria esistenza il valore supremo dell'aprirsi alla relazione con Dio. Tranne le poche eccezioni di una chiamata diretta, la vocazione avviene per il tramite di altri uomini, come si vede nell'episodio di oggi: per i due discepoli del Battista, il tramite è lui, col segnalare loro l'Agnello di Dio; per Pietro è suo fratello Andrea; per Samuele bambino è il suo "custode" Eli.

I casi specificamente raccontati nella Bibbia riguardano le vocazioni, per così dire, speciali, cui si associa un compito particolare: per Abramo, dare origine al popolo di Dio; per Mosè, liberare gli Israeliti dalla schiavitù dell'Egitto; per Maria, divenire la madre del Messia; per gli apostoli, testimoniare la realtà del Risorto, e così via. Ma nei suoi termini basilari la vocazione è rivolta a tutti gli uomini; tutti sono chiamati da Dio: quanto meno chiamati all'esistenza e chiamati a conoscerlo, attraverso la ragione e la coscienza. Parte dell'umanità (ma con l'intenzione di arrivare a tutti: anche per questo Gesù ha voluto la Chiesa) ha poi avuto il privilegio di una conoscenza più profonda; i cristiani, chiamati alla fede con il battesimo, sono destinatari di una continua vocazione ad approfondire il rapporto con Dio e a farsi tramite perché altri facciano altrettanto.

Tutti sono chiamati, ed anche se non per compiti straordinari, agli occhi di Dio la loro vocazione non è meno importante, perché è l'ambito in cui ciascuno realizza la propria esistenza e concorre a determinare quella di chi gli sta intorno. Di qui la grandezza, ad esempio, del ruolo dei genitori, chiamati a testimoniare il volto autentico dell'amore e a trasmettere ai figli la loro propria vocazione; di qui la grandezza della vocazione di ogni categoria di uomini e donne, chiamati a muoversi nell'ottica della fede: sacerdoti, educatori, operatori della carità, lavoratori e imprenditori e politici e ogni altro servitore del bene comune. Nei genitori che educano i figli alla fede è quasi ovvio, e altrettanto si può dire per i missionari e i catechisti; ma a ben guardare in ogni altra persona si vede come Dio si avvalga degli uomini per chiamarne altri a sé. Su ciascun cristiano grava l'impegno di riscoprire di continuo e realizzare sempre meglio la propria vocazione, che comprende il sostegno da offrire - con l'esempio, con la parola, con le opere - a quanti riconosce fratelli, per camminare insieme verso Colui che tutti chiama. E' un impegno, certo: ma esiste qualcosa di meglio da fare nella vita? E' un impegno: ma quale bellezza e soddisfazione, avere coscienza di concorrere così a migliorare il mondo e realizzare il senso autentico dell'esserne parte.

Omelia di mons. Roberto Brunelli (La vita: aprirsi alla relazione con Dio)

 

Ecco l'agnello di Dio

Riprendiamo la celebrazione delle domeniche del tempo ordinario nel quale la Liturgia ci conduce a rinnovare la nostra esistenza cristiana: ce ne fa ricomprendere il senso con una adesione di fede che nello scorrere dei nostri anni si fa sempre più matura e consapevole. Riscoprire la bellezza della fede per gustare la gioia di una vita vissuta in pienezza nell'incontro con Colui che è la luce che illumina tutta la nostra esistenza, è il fine a cui mira l'anno liturgico.

Il brano evangelico che la Liturgia di questa domenica ci invita a rivivere, è una splendida pagina di Giovanni (Giov.1,35-42), nella quale ogni parola va sottolineata, ci tocca e accende in noi il dinamismo che conduce all'incontro con Cristo, a quell'evento straordinario da cui nasce la nostra esistenza nuova. Il nostro incontro con Cristo è l'anello di una catena che ha inizio dalla testimonianza di Giovanni, in quel giorno, il terzo, nel quale egli "stava ancora là": nel primo giorno Giovanni ha proclamato di non essere lui il Cristo; nel secondo ha fatto un'esperienza che gli ha cambiato la vita: ha visto Gesù venirgli incontro e ha ascoltato una Parola che gli ha fatto conoscere la sua vera identità. "Io ho visto (lo Spirito discendere e rimanere su di Lui) e ho testimoniato che questi è il figlio di Dio": l'ascolto della Parola di Dio ha fatto in modo che Giovanni percepisse in Colui che gli veniva incontro la radicale novità del Figlio di Dio. Adesso, nel terzo giorno, egli può cominciare a comunicare ai suoi discepoli la sua testimonianza: non si tratta di testimoniare un ideale o un valore morale ma di rendere testimonianza ad una persona che è il Figlio di Dio che dona se stesso per rendere la vita dell'uomo partecipe della vita di Dio. Quella di Giovanni è la testimonianza di uno che ha sperimentato e che con la sua parola invita gli altri ad aprire il cuore all'incontro personale con la novità di Colui che gli viene incontro per offrirgli il dono della vita nuova.

"Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse. Ecco l'agnello di Dio!" Era ancora fermo con il suo gruppo, Giovanni, ma non può stare al chiuso, a godere della sua fragile sicurezza chi ha conosciuto chi è "Colui che cammina" nel mondo: ormai Giovanni, afferrato da Cristo, con lo sguardo fisso su di Lui, non può trattenere il grido: "Ecco l'agnello di Dio", ecco l'agnello "che Dio dona" al mondo perché egli porti il mondo a Dio". Ormai Giovanni "ha visto e ha testimoniato": Dio non aspetta più niente dall'uomo, dona tutto all'uomo e gli chiede soltanto di entrare nel vortice dell'Amore che è Dio.

E comincia la inesauribile catena dei discepoli di Cristo: ma che cosa significa essere discepoli di Gesù? "Sentirono i due discepoli lui che parlava e seguirono Gesù": comincia così l'esperienza del discepolo, con l' "ascolto" dell'annuncio e la decisione di spostare su Gesù l'asse portante propria della vita. Ma adesso entra l'iniziativa libera di Gesù: si tratta di un incontro personale, di una relazione di due libertà che si aprono, si tratta per l'uomo di lasciarsi attrarre dall'infinito Amore di Dio che vuole donarsi ma senza fare violenza. "Gesù dunque, voltandosi e vedendo che essi lo seguivano, disse: Che cosa cercate?" Gesù è sempre "oltre"; vede coloro che lo seguono, ma non strumentalizza niente e nessuno: suscita e accompagna la libertà critica dell'uomo. "Che cosa cercate?": sono le prime parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni, che qualificano l'uomo nella sua più autentica realtà. L'uomo è essenzialmente ricerca, inesauribile ricerca di senso: Gesù, nel vangelo di Giovanni in particolare, è Colui che apre gli occhi all'uomo perché cominci a vedere Lui e in Lui a trovare la luce nella quale vedere la realtà in una dimensione nuova, sempre più profonda, sino a vedere nella fragilità della carne lo splendore della gloria di Dio. Il discepolo di Gesù è l'uomo in continua, appassionata ricerca, proprio perché incontrare Gesù significa incontrare la Verità che si svela all'uomo quanto più l'uomo la cerca. Per questo l'incontro con Gesù inizia con il risveglio della ricerca: "Maestro, dove dimori?" è la domanda con la quale i due discepoli rispondono alla domanda di Gesù, che significa: "Maestro dov'è il centro, il senso radicale della tua esistenza?" che equivale a: "Maestro chi sei?". Essi hanno cominciato a percepire il fascino misterioso dell'ineffabile "io" di Gesù. "Venite e vedrete": solo sperimentando la relazione personale, intima, si può conoscere la verità a cui l'uomo aspira. "Quelli andarono, videro dove dimora e dimorarono con Lui tutto il giorno": anticipando tutto il Vangelo, Giovanni con queste parole, dà la definizione più precisa dell'identità del discepolo di Gesù e dell'esistenza cristiana.. Il discepolo non solo va dietro a Lui, ma va con Lui interiormente sino ad identificarsi con Lui; vede, conosce, sperimenta dove Lui "è" e comincia ad "esistere" con Lui: "andare", "vedere", "dimorare" sono i tre verbi che descrivono l'esistenza cristiana. A questo punto del testo evangelico non sappiamo ancora "dove" Gesù "dimora": più tardi Gesù parlerà della sua relazione con il Padre e della sua "dimora" nei discepoli e della loro in Lui. Colui che è nel seno del Padre (1,18) ha piantato la sua tenda fra di noi (1,14) e ci prepara una dimora nei cieli (14,2). Il discepolo di Gesù è la persona che, incontrando Lui, va con Lui e comincia a vivere con Lui la vita di Dio: il seguito del Vangelo educa il discepolo a "dimorare" e a vivere con Lui la vita di Dio.

Ma non può essere trattenuta solo per sé un'esperienza così grande: subito la catena dei discepoli si allunga. "Era Andrea, fratello di Simon Pietro, uno dei due che avevano ascoltato (le parole dette) da Giovanni e lo avevano seguito. Trova per primo suo fratello Simone e gli dice: Abbiamo trovato il Messia. Lo condusse da Lui". Passa attraverso la catena delle relazioni umane l'annuncio entusiasta dell'incontro con Cristo, poi entra Lui personalmente: "Guardandolo, gli parla". L'incontro personale con Lui comincia con uno "sguardo", quello sguardo di amore che secondo Luca (22,61) raggiunge il vertice nel momento nel quale Pietro lo tradisce. Adesso Pietro non dice niente: solo Gesù gli parla e gli cambia il nome: "Tu sei Simone, figlio di Giovanni: sarai chiamato Pietro". E Pietro continua a tacere: egli è il primo personaggio del Vangelo a ricevere una parola personale da parte di Gesù e sarà pure l'ultimo (21,22): il discepolo di Gesù, quello chiamato a confermare i fratelli nella fede, è quello che impara a lasciarsi amare da Gesù, a sperimentare la gratuità del suo amore proprio per la sua fragilità e per il suo peccato; che impara a rispondere con il suo amore fragile all'amore infinito di Gesù.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Trovare la chiave del cuore

Un Vangelo che profu­ma di li­bertà, di spazi e cuori aperti: Gio­vanni indica un altro cui guar­dare, e si ritrae; due discepoli la­sciano il vecchio maestro e si mettono in cammino per sen­tieri sconosciuti dietro a un gio­vane rabbi di cui ignorano tutto, eccetto una immagine, una me­tafora folgorante: ecco, l'agnello di Dio! Ecco l'animale dei sacri­fici, l'ultimo nato del gregge che viene immolato presso gli altari, ecco l'ultimo ucciso perché nes­suno sia più ucciso. Ma nelle pa­role di Giovanni sta anche la no­vità assoluta, il capovolgimento totale del nostro rapporto con Dio. In tutte le religioni il sacri­ficio consiste nell'offrire qualco­sa (un animale, del denaro, una rinuncia...) al Dio per ottenere in cambio il suo favore. Con Gesù questo contratto religioso è svuotato: Dio non chiede più sa­crifici, ora è Lui che viene e si fa agnello, vale a dire sacrifica se stesso; Gesù non prende nulla, dona tutto.

Gesù si voltò e disse loro: che cosa cercate? Sono le sue prime paro­le nel Vangelo di Giovanni. Le pri­me parole del Risorto saranno del tutto simili: Donna, chi cerchi?

Cosa cercate? Chi cerchi? Due do­mande, un unico verbo, dove troviamo la definizione stessa dell'uomo: l'uomo è un essere di ricerca, con un punto di do­manda piantato nel cuore, cer­catore mai arreso. La Parola di Dio ci educa alla fede attraverso le domande del cuore. «Prima di correre a cercare risposte vivi bene le tue domande» (Rilke). La prima cosa che Gesù chiede non è di aderire ad una dottrina, di osservare i comandamenti o di pregare, ma di rientrare in se stessi, di conoscere il desiderio profondo: che cosa desideri di più dalla vita?

Scrive san Giovanni Crisostomo: «trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno». Gesù, maestro del desiderio, fa capire che a noi manca qualcosa, che la ricerca nasce da una povertà, da una as­senza che arde dentro: che cosa ti manca? Salute, denaro, speran­za, tempo per vivere, amore, sen­so alla vita, le opportunità per da­re il meglio di me? Ti manca la pa­ce dentro? Rivolge quella do­manda a noi, ricchi di cose, per insegnarci desideri più alti delle cose, e a non accontentarci di so­lo pane, di solo benessere. Tutto intorno a noi grida: accontentati! Invece il Vangelo ripete la beati­tudine dimenticata: Beati gli in­soddisfatti perché saranno cerca­tori di tesori. Beati voi che avete fame e sete, perché diventerete mercanti della perla preziosa.

Maestro, dove dimori? La richie­sta di una casa, di un luogo do­ve sentirsi tranquilli, al sicuro. La risposta di Gesù ad ogni disce­polo è sempre: vieni e vedrai. Ve­drai che il mio cuore è a casa so­lo accanto al tuo.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) 18 gennaio 2015

tratto da www.lachiesa.it