4 gennaio 2015 - II Domenica dopo Natale: nel quieto silenzio, il Verbo si fece carne

News del 04/01/2015 Torna all'elenco delle news

Siamo alla fine del periodo natalizio ed oggi celebriamo la seconda domenica di Natale, a pochi giorni dall'inizio del nuovo anno, dopo il frastuono dei botti di capodanno, delle discoteche al chiuso o in piazza, delle tante feste rumorose che anche quest'anno hanno segnato il passaggio al nuovo anno. La parola di Dio di questa prima domenica dell'anno ci riporta alla realtà della vita quotidiana, ci richiama al senso più vero della festa e della gioia che è il silenzio, la preghiera, l'accoglienza della parola di Dio.

La liturgia della santa messa di oggi inizia, infatti, con una bellissima antifona d'ingresso che è tutto un programma di vita spirituale che ci viene proposto: "Nel quieto silenzio che avvolgeva ogni cosa, mentre la notte giungeva a metà del suo corso, il tuo Verbo onnipotente, o Signore, è sceso dal cielo, dal trono regale". (cf. Sap 18,14-15). Gesù è questa parola che viene nel silenzio, non fa rumore come i tanti rumori del mondo caotico di oggi, fa rumore nel cuore delle persone che lo accolgono e vogliono dialogare con Lui, giungendo con umiltà alla grotta che lo ospita, al freddo e al gelo, in una condizione di povertà vera. Rompere il nostro silenzio con Dio, con la preghiera, con l'ascolto della sua parola e con un dialogo continuo con Lui che passa attraverso una vita improntata alla spiritualità, al guardare in faccia la realtà del mondo con le sue ricchezze e le sue povertà, con le sue miserie e debolezze.

L'evangelista Giovanni, nel prologo del suo vangelo che oggi meditiamo, ci offre questa possibilità di entrare nel cuore del grande mistero del Verbo Incarnato, della parola di Dio che diventa una persona bene precisa, Gesù Cristo, nato nel grembo verginale di Maria, per opera dello Spirito santo. Gesù rompe il silenzio della storia che, pur camminando in attesa del messia, nulla aveva fatto per predisporre il mondo ad accoglierlo. Anzi lui è il primo rifiutato, il primo ostacolato e non accettato. La luce che egli porta è rifiutata, perché il mondo preferisce vivere belle tenebre e nell'errore, piuttosto che portare giustizia e verità nelle sue vicende quotidiane.

Quando nella pienezza del tempo Cristo è venuto a visitarci molti non l'hanno accolto e altrettanti continuano a non accoglierlo. A chi invece lo ha accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio. Accogliere è professare la fede in Gesù Cristo, salvatore del mondo, luce delle genti e gloria del suo popolo, la vecchia Israele, e la nuova Israele che è la chiesa santa di Dio.

Oggi l'apostolo Paolo ci invita, nel brano della sua lettera agli Efesini, ad entrare pienamente e coscientemente nel mistero di Cristo redentore dell'umanità e lo fa con parole precise e con terminologia biblica e teologica adatte a chi vuole approfondire la propria fede alla luce della sacra scrittura.

Spirito di sapienza e rivelazione, profonda conoscenza, illuminazione della mente e del cuore: il tutto per comprendere il grande mistero della redenzione e della salvezza operata da Cristo mediante la sua incarnazione, passione, morte e risurrezione. Il cuore e il centro della fede sta tutto qui. E da qui si deve necessariamente partire se vogliamo essere in sintonia con la fede che diciamo di professare a parole e non sempre con i fatti.

Noi cristiani abbiamo il dovere morale di chiedere al Signore ogni giorno che ci illumini nel comprendere cosa sia giusto fare per il nostro e altrui bene eterno. Chiediamo quel dono dello Spirito santo della sapienza come ci viene ricordato nel brano della prima lettura di questa giornata. La nostra sapienza vera è Cristo, la sapienza incarnata. Se entriamo in dialogo vero con lui abitiamo noi stessi ed abitiamo il mondo con la sensibilità di Dio. Il testo del libro del Siracide ci fa toccare con mano questa bellissima verità di un Dio che viene nel mondo a portare gioia e conforto a tutti gli uomini, in quell'assemblea di santi, dove ha preso dimora. Dio mette tende tra gli uomini e lo fa mediante il Figlio suo, Gesù Cristo.

Il ricco testo del prologo del Vangelo di Giovanni è una chiara attestazione di questa verità di fede profondissima che riviviamo ogni Natale, quando la comunità dei credenti si pone davanti al mistero di Gesù Bambino e si interroga chi veramente sia quella creatura venuta sulla terra e nata da una vergine Madre, Maria santissima. "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità".

Questa gloria di Dio l'abbiamo contemplata anche in questo Natale appena trascorso ed in questo inizio di anno, accostandoci con grande umiltà alla grotta di Betlemme dove Gesù, appena nato, su invito degli angeli, chiama intorno a sé gli umili ed i grandi del suo tempo. Tutti coloro che sono ben predisposti ad accogliere la buona notizia si recono senza indugio a Gesù bambino, come i pastori e i Re Magi. Chi invece ha il cuore impietrito e chiuso nel suo orgoglio, rifiuta quel Dio fatto carne ed uomo e cerca addirittura non solo di non accoglierlo, ma di eliminarlo, come voleva fare Erode.

La storia umana e soprattutto della salvezza ci dice che i progetti dei potenti falliscono sempre, mentre avanzano e reggono nel tempo i progetti degli umili e di quanti si affidano a Dio con tutto se stessi. Il Natale ormai è alle spalle e davanti a noi c'è, subito dopo, la grande solennità dell'Epifania; entrambe le feste portano al centro della nostra attenzione e della nostra preghiera il verbo di Dio, Gesù Cristo, venuto sulla terra a portare gioia e pace al mondo intero.

Sia questa la nostra preghiera della seconda domenica di Natale: "Padre di eterna gloria, che nel tuo unico Figlio ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo e in lui, sapienza incarnata, sei venuto a piantare in mezzo a noi la tua tenda, illuminaci con il tuo Spirito, perché accogliendo il mistero del tuo amore, pregustiamo la gioia che ci attende, come figli ed eredi del regno".

Silenzio, preghiera, accoglienza, amore, misericordia, tenerezza siano il modo costante per ogni cristiano per vivere sempre il Natale e farlo vivere negli altri. 

Omelia di padre Antonio Rungi

 

Fare la scelta di Dio

Il cosmo è una realtà creata il cui inizio e la cui sussistenza dipendono da Dio. Nella Scrittura si evince più volte che Dio, anche nella creazione, agisce per mezzo della sua Parola, a volte definita anche Sapienza di Dio, la quale è in definitiva il Figlio Gesù Cristo. Egli è il luogo in cui si ricapitolano tutte le cose (Ef 1, 10 - 12), inoltre «Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra [...]. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono» (Col 1,16-17). Sembrerebbe che Cristo, preesistente all'origine della creazione, sia quasi un mezzo o uno strumento servendosi del quale Dio Padre provvede alla creazione, ma in realtà è ben di più. Il Prologo del Vangelo di Giovanni che oggi ci viene proposto identifica infatti la Parola (Verbo) con Dio ancor prima di dire che per mezzo di lui tutto ciò che esiste è stato fatto e nulla di ciò che esiste è stato fatto senza di lui: "In principio era i Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio." Si parla di una vicinanza immediata e contestualmente di un'identità. La Parola è lo stesso Dio creatore in origine poiché c'è uguaglianza sostanziale fra Dio e il Verbo. Sono Due ma in realtà Uno solo. In parole povere Dio creatore agisce per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, qualificandosi come Dio in Tre Persone uguali e distinte, che Origene nel terzo secolo definirà Trinità. Una di queste Tre Persone, il Figlio (verbo del Padre) "si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (Gv 1, 14) perché noi vedessimo la sua gloria e fossimo salvati. Il Verbo Eterno entra nel tempo rendendosi Bambino e questo non può che essere interpretato come un fatto unico e straordinario in rapporto alla nostra condizione umana: Dio Infinito e Ineffabile, che mostra la sua gloria in un Bambino nato in una piccolissima città di Giuda allevato in una grotta destinata all'allevamento di bovini, ci ragguaglia di quanto l'uomo sia la più nobile delle creature poiché nascendo bambino Egli abbraccia senza eccezione tutte le dimensioni del vissuto umano. Dio Infinito non soltanto si rivela all'uomo, ma rivela anche la dignità dell'uomo e la sua unicità. Vuol mettere l'uomo al corrente che per lui è indispensabile non perdersi e conseguire la salvezza anche se al contempo gli manifesta la sua condizione di creatura in rapporto al Creatore. Il fautore di ogni cosa, che prende forma mortale per la nostra salvezza, rivela tutto se stesso com'è sin dall'inizio dei secoli poiché nel Bambino manifesta il Verbo che si incarna per volere del Padre e per opera dello Spirito Santo, si auto comunica interamente con l'uomo rendendosi perfino Bambino per esaltare la natura umana e recuperarla alla sua vera dignità. Sicché l'uomo non può che corrispondere all'appello di Dio perché gli viene comunicato con argomenti più che convincenti. Giovanni invita anche a toccare con mano questa verità di salvezza che ci è stata comunicata e ad appropriarci di essa in modo definitivo e risoluto, mettendoci al corrente che aderire a tale mistero, restarne affascinati e coinvolti e finalmente vivere e perseverare in esso è davvero possibile, perché a renderlo accessibile e palpabile è lo stesso Signore Bambino: "Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi." (1 Gv 1 - 4) Ciò che era fin da principio di per sé è infatti destinato a restare insondabile e oscuro, ma Dio ha fatto in modo che in questo evento di Betlemme anche ciò che in sé resta misterioso fosse accessibile agli uomini e ci ha resi quindi partecipi della gloria della manifestazione dell'Incarnazione. Per Giovanni vi è una visione del tutto particolare del Natale, la quale sottende come non è impossibile per l'Eternità entrare nel Tempo circoscritto per essere poi il criterio ispiratore di tutti i secoli al presente e al futuro e delinea che questo ingresso nella nostra storia da parte di Dio verte ad esclusivo vantaggio dell'uomo, perché è appunto l'uomo è interessato da un Dio che assume la sua natura. Come esorta S. Agostino, "Svegliati o uomo, perché per te Dio si è fatto uomo." Per l'uomo è infatti tempo di destarsi dal torpore nel quale sempre è stato avvinto per aderire alla salvezza che a lui è stata donata a piene mani, senza ritrosia e refrattarietà. E'il tempo in cui occorre fare la scelta di conversione radicale a Dio, constatando come Egli nel Bambino si sia in un certo senso "convertito" all'uomo e di conseguenza prendere le distanze da tutto ciò che non è Dio. Persistere nel peccato, crogiolarsi nella morsa del piacere effimero e della concupiscienza, procacciare le false certezze dell'arrivismo, del guadagno e della voluttà è un modo di marciare contro la nostra stessa dignità per ritrovarci alla fine sconfitti e disillusi. Davanti alla scelta che 'a Betlemme Dio ha fatto dell'uomo occorre piuttosto decidersi a fare da uomini la scelta di Dio. Perché non continuiamo ad autodistruggerci quando Dio ha voluto ricostruire l'umanità ne suo Verbo.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Ha preso carne. Finalmente

Scelse la carne ch'era il punto di massima lontananza dal Cielo: «Il Verbo si fece carne» (Gv 1,14). Non fu per spavalda provocazione ma per la più intima delle affinità: scegliere ciò ch'era debole per confondere i forti, sposare il lontano per farlo sentire vicino, inabissarsi nell'uomo perché il Cielo penetrasse la terra. Fu l'inaudito di Betlemme, la casa del pane e della carne di Dio. Pane e carne, pane e pesce, pane e acqua: ci sarà sempre un pane a disposizione per chi, sazio di tutto, avvertirà nel cuore la fame e la sete dell'essenziale: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (1,4). Capiterà l'assurdo, come in principio capitò l'inaudito: capiterà che gli uomini alla luce preferiscano le tenebre. C'è sempre qualcuno che scambia il sole per un punti giallo: i Vangeli questo lo mettono in conto. Lo calcolano e ne anticipano le conseguenze: «A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (1,12).

Carne si fece: null'altro e nessun altro potrà più osare di oltrepassarlo. Nella carne nascose la festa dei sensi: ascoltare quella carne sarà ascoltare Lui. E ascoltarlo sarà una festa. La festa degli occhi, di «quello che abbiamo veduto con i nostri occhi» (1Gv 1,1). Era il sogno di Mosè, che un giorno non si trattenne e diede voce a quel desiderio: «Ti prego, fammi vedere la tua gloria!». Ottenne un secco diniego, pur con una motivazione in calce: «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere» (Es 33,18-20). Seppur di provenienza divina, quel no non impedì all'uomo di coltivare ad oltranza una mal e mai celata nostalgia del Suo sguardo: «I miei occhi sono sempre rivolti al Signore» (Salmi 25,15). Ciò che Mosè non potè, apparve di sorpresa a dei suoi discendenti per mestiere, anch'essi pastori: «Andiamo (...) vediamo questo avvenimento» (Lc 2,15). Videro e si stupirono. Credettero.

Divenne la festa delle orecchie, «quello che noi abbiano udito» (1Gv 1,1). A chi si fiderà dell'udito, capiterà di vedersi cambiata la vita. Di veder tramutare una notte infruttuosa di pesca in un mattino copioso di pesci. Il segreto - anche per pescatori d'arte e di mari - sarà quello di ascoltare la direzione nella quale butta quella voce: sempre nel lato giusto, quello che pare sempre il più insensato. Quello favorevole a farsi ridere dietro dalla gente seduta a riva. Le reti, però, seguiranno la parola: «Sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5). La parola, dal canto suo, accrediterà esattamente quanto aveva fatto udire: «Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano» (5,6). Che è poi la festa del tatto: «quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita» (1Gv 1,1). Del Dio che si fa contatto: intimità, tocco, ritocco, rintocco. Toccherà sempre la Divinità: saranno gioie e guai ad intervalli più o meno regolari. Batoste e incoraggiamenti: il suo tocco farà fumare i monti come sprofondare le terre, chiuderà e aprirà le bocche, costruirà e rimetterà mano alle sue costruzioni per restaurarle. Coprirà vallate di ossa cucendo addosso la carne, strapperà dalle grinfie del leone la vita come carezzerà sguardi resi ciechi ad oltranza. Con le mani in pasta: un Dio artigiano e vasaio, costruttore e manovale, pescatore e carpentiere. Con mani di padre, di madre e di Dio. Di preferenza scelse mestieri all'aria aperta: quelli che, a forza di tocchi e spinte, fanno nascere i calli, sformano le dita, anneriscono le unghie. Un Dio toccante: che tocca, emozionante. Lo crocifiggeranno un giorno. Lui risponderà a modo suo, risorgendo: la festa del gusto e dell'olfatto. Della memoria e del piacere. Di ciò che sino ad allora era follia anche solo a pensarci. Di ciò che rimase, al netto di ogni rifiuto: «La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta» (Gv 1,5).

Ancor oggi il mondo, quando Lo incrocia, lo lascia passare: il mondo intero si ferma quando incontra un uomo che sa dove andare. Per questo taluni Gli danno sempre la preferenza: non certo per pudore o buona educazione. Semplicemente per paura: paura di dover fare i conti con la sua Luce.

Omelia di don Marco Pozza

 

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica dopo Natale (Anno B) 4 gennaio 2015