5 ottobre 2014 - XXVII Domenica del Tempo Ordinario: Non uccidere la speranza che è Cristo in noi
News del 04/10/2014 Torna all'elenco delle news
La parola di Dio di questa XXVII domenica del tempo ordinario è appropriata al momento che stiamo vivendo: ottobre, il mese missionario; il sinodo straordinario sulla famiglia in Vaticano e altre varie celebrazioni ci attendono in questo mese. In questa domenica, infatti, si ritorna sul tema della vigna, che è l'antico Israele ed è il nuovo Israele, ovvero la Chiesa. Nell'antico popolo di Israele come nella Chiesa ci sono vignaiuoli assassini che uccidono la speranza della grazia, della vita, della comunione, della carità e dell'amore. Perché il Regno di Dio è tutto questo: è verità, giustizia, pace, amore, unità. La parabola appunto dei vignaiuoli assassini ci fa riflettere su come siamo oggi nella Chiesa. Se dalla parte di coloro che vogliono far crescere il popolo di Dio in santità e in missionarietà oppure vogliamo uccidere ogni prospettiva di vita spirituale e apostolicità, pensando che il regno sia esclusivo possesso nostro e che non serve far conoscere il Vangelo della gioia ad un mondo distratto da tante cose che non sono Dio.
Invece è esattamente il contrario quello che siamo chiamati a fare, essendo membri effettivi di questo regno, mediante il battesimo. Noi siamo chiamati a diffondere questo regno, parlando di Cristo con la testimonianza della nostra vita. Anche se gli altri profeti possono essere messi in discussione, Cristo non può essere eliminato nell'orizzonte della vita di fede. Far fruttificare questo Regno è dovere di tutto, come era dovere del vecchio israelita che aveva a cuore la fede comunicata da Javhè a Mosè sul Monte Sinai. Ma quel popolo non si preoccupava tanto di questo, al punto che Isaia denuncia questa scarsa operosità ed attaccamento al Regno. Egli infatti scrive senza mezzi termini, convinto più che mai che era necessario un cambiamento di mentalità per far fruttificare e far conoscere il Regno di Dio, tra gli uomini del tempo.
Quanto sia attuale questo testo lo comprendiamo alla luce dei tanti fatti di cronaca nel mondo, nella società e nella stessa chiesa che certamente non depongono bene. Anche i tanti crimini efferati che si stanno commettendo contro i cristiani ci fanno guardare al mondo di oggi con gli occhi della paura e del terrore, quando in realtà noi dovremmo pensare al bene e a fare bene il bene. Perciò l'apostolo Paolo nel brano della seconda lettura di oggi ci dice di essere sereni, calmi e propositivi al massimo, mantenendo saldi i rapporti umani e la fiducia nel futuro. Non bisogna farsi rubare la speranza, come dice Papa Francesco, né tantomeno uccidere i diversi segnali di speranza e di rinascita che emergono dal mondo.
Quanto sia difficile percorrere questa strada della vera felicità lo comprendiamo alla luce dei tanti comportamenti assurdi che abbiamo. Cerchiamo il vero e in realtà diciamo il falso e viviamo nella menzogna e nella bugia, nell'ipocrisia al massimo grado; amiamo il bello e scegliamo il brutto e via dicendo. Siamo contraddittori in tante cose. Ecco perciò la necessità di dare una svolta alla nostra vita di cristiani, spesso basata sulla superficialità, l'apparenza e l'esteriorità. Qui bisogna entrare nel cuore del grande mistero della salvezza, come ci viene descritto nel vangelo di oggi e che è opportuno meditare nella sua interezza.
Gesù è la pietra scartata dai costruttori che è poi è diventata la pietra angolare per la costruzione di tutto l'edificio spirituale. Chi accetta Cristo entra nella fede e cammina nella fede; anzi fa crescere il suo Regno e lo promuove non con la pubblicità dei network di oggi, ma con la santità della vita, con la promozione del bene e la difesa della giustizia, della pace, lottando contro ogni forma di violenza e assassinio.
Il cristiano, che non uccide la speranza, la vita, la gioia è sulla linea di Cristo e pertanto ha la certezza di camminare nella luce e nella verità. Perciò possiamo legittimamente rivolgerci a Dio con questa preghiera: "Padre giusto e misericordioso, che vegli incessantemente sulla tua Chiesa, non abbandonare la vigna che la tua destra ha piantato: continua a coltivarla e ad arricchirla di scelti germogli, perché innestata in Cristo, vera vite, porti frutti abbondanti di vita eterna". Amen.
Omelia di padre Antonio Rungi
Lavorare nella vigna
La vigna nell'antico Israele rappresentava il popolo di Dio, eletto unico fra tutte le altre nazioni e reso oggetto di continue attenzioni. Nonostante la costanza e la premura del suo padrone (Dio), il popolo si atteggia come una vigna sterile e refrattaria: pur avendo la possibilità di produrre tanto frutto a beneficio di tutti, pur disponendo dei mezzi e delle risorse atte a fruttificare e della continua assistenza del padrone che adotta ogni ricorso per bonificarlo, questo popolo si da' al peccato e alla dispersione morale. Che questa vigna possa non recare frutto, in determinati contesti potrebbe anche essere comprensibile, ma ciò che suscita sdegno e scoramento è il fatto che essa produce frutti selvatici e velenosi! Essa risponde in senso opposto a quelle che sono le sollecitudini del padrone.
Tutti accorgimenti in realtà non necessari per una piantagione che di per sè dovrebbe rendere frutto da sola, spontaneamente, senza l'intervento di nessuno. E' anzi inverosimile che una vigna non produca frutti.
Di piantagioni infruttuose che sfruttano il terreno occupando spazio, la Scrittura parla spesso, basti pensare al fico improduttivo verso il quale il padrone, prima deciso a rimuoverlo, si dispone successivamente a pazientare ancora nell'attesa che maturino una buona volta i suoi frutti. Si tratta di una parabola molto affine alla presente immagine della vigna che è il popolo d'Israele, ma nel caso di quest'ultima vi è il particolare importante di una piantagione che non solamente occupa spazio considerevole nel terreno del contadino, ma addiritutta si mostra molto pericolosa per gli altri. Qual è il provvedimento di Dio nei suoi confronti? Il buon Padre, che non coatta nessuno verso la sua volontà e che non manca di rispettare la libera scelta di tutti e di ciascuno, consente che il popolo prediletto e peccatore sperimenti la propria emancipazione e la propria decantata autonomia e di conseguenza lascia il suo popolo in preda alla libertà che lui stesso si è scelta. Questa vigna dovrà sopportate il peso assillante della sua responsabilità e la conseguenza nefasta dei suoi peccati, nonché la condizione di smarrimento e di insicurezza fondamentale che il peccato stesso comporta. Sarà preda di lupi e mercenari e nella misura in cui aveva mostrato prima indifferenza e refrattarietà verso nei confronti dell'Amore, così adesso dovrà sorbire il mancato amore.
Dio in ogni caso non si stanca mai di recuperare l'uomo dal suo errore. Nella sua infinita misericordia va in cerca del peccatore e non si stanca di chiamarlo alla relazione intima con sé. Di conseguenza manda operai nella vigna e non manca di bonificare il terreno, fino ad impiantarvi egli stesso una Vite. Affidare il lavoro ad operai e braccianti era un'attitudine frequente nelle usanze locali d'Israele
Nonostante la morte violenta di tutti questi vignaioli appositamente inviati che rappresentano ciascuno i profeti e i testimoni della Parola, egli non si arrende e vi manda il Figlio di Dio, il Messia, che mostra amore ancora più incondizionato realizzando appieno il progetto iniziale del Proprietario Terriero: egli non solamente si dispone a coltivare la vigna e ad arricchirla di ulteriori bonifiche, ma da perfino la propria vita per essa, accettando anche di essere ucciso..
Gesù è infatti il Verbo incarnato, Dio fatto uomo che si occupa egli stesso con sollecitudine della sua vigna, condividendo ogni cosa con i membri di questa piantagione mostrando l'amore e la misericordia del Padre attraverso le parole e le opere del Regno e accettando di farsi anche uccidere per la causa dell'umanità. E tuttavia la morte non sarà la vittoria di quegli uomini omicidi né avrà l'ultima parola su di Lui, che, come afferma Pietro nella Seconda Lettura, si qualifica come "pietra scartata dai costruttori e tuttavia divenuta pietra angolare": proprio la morte e il disprezzo da parte degli uomini sono per lui cioè opportunità di innalzamento e di priorità, visto che vincerà la morte uscendo vittorioso dal sepolcro per la Risurrezione gloriosa e per il rinnovamento del mondo, ossia della "vigna". Già sulla croce farà scaturire il "Nuovo Israele", cioè la Chiesa e attraverso di essa guiderà definitivamente la sua vigna, così come aveva affermato:"Io sono la vite, voi i tralci"; "chi rimane in me, porta molto frutto poiché senza di me non potete far nulla. La pazienza di Dio supera di gran lunga le nostre aspettative umane e il suo amore prevarica la nostra presunzione e la tendenza ad agire indipendentemente da lui. Il sacrificio della croce esprimerà definitivamente l'Amore incondizionato per questa vigna perversa e ostile che è il nostro mondo.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Nella vigna del Signore si raccoglie giustizia e pace
L'uomo dei campi, il nostro Dio contadino, guarda la sua vigna con gli occhi dell'amore e la circonda di cure: che cosa potevo fare di più per te che io non abbia fatto? Canto d'amore di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno farà mai.
Quale raccolto si attende il Signore? Isaia: Aspettavo giustizia, attendevo rettitudine, non più grida di oppressi, non più sangue! Il frutto che Dio attende è una storia che non generi più oppressi, sangue e ingiustizia, fughe disperate e naufragi.
Nelle vigne è il tempo del raccolto. Per noi lo è ogni giorno: vengono persone, cercano pane, Vangelo, giustizia, coraggio, un raggio di luce. Che cosa trovano in noi? Vino buono o uva acerba?
La parabola cammina però verso un orizzonte di amarezza e di violenza. In contrasto con la bassezza dei vignaioli emerge la grandezza del mio Dio contadino ( Veronelli diceva che chiamare uno «contadino» è il più bel complimento che si possa fare a una persona), un Signore che non si arrende, non è mai a corto di meraviglie, non ci molla e ricomincia dopo ogni rifiuto ad assediare il cuore con nuovi Profeti e servitori, e infine con il Figlio.
Costui è l'erede, uccidiamolo e avremo noi l'eredità! La parabola è trasparente: la vigna è Israele, i vignaioli avidi sono le autorità religiose, che uccideranno Gesù come bestemmiatore. Il movente è lo stesso: l'interesse, potere e denaro, tenersi il raccolto e l'eredità! È la voce oscura che grida in ciascuno: sii il più forte, il più furbo, non badare all'onestà, e sarai tu il capo, il ricco, il primo. Questa ubriacatura per il potere e il denaro è l'origine di tutte le vendemmie di sangue della terra.
Cosa farà il padrone? La risposta delle autorità è secondo logica giudiziaria: una vendetta esemplare, nuovi vignaioli, nuovi tributi. La loro idea di giustizia si fonda sull'eliminare chi sbaglia. Gesù non è d'accordo. Lui non parla di far morire, mai; il suo scopo è far fruttificare la vigna: sarà data a un popolo che produca frutti.
La storia perenne di amore e tradimenti tra Dio e l'uomo non si concluderà né con un fallimento né con una vendetta, ma con l'offerta di una nuova possibilità: darà la vigna ad altri. Tra Dio e l'uomo le sconfitte servono solo a far meglio risaltare l'amore di Dio. Il sogno di Dio non è né il tributo finalmente pagato (non ne parla più) né la condanna a una pena esemplare per chi ha sbagliato, ma una vigna, un mondo che non maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime, che non sia una guerra perenne per il potere e il denaro, ma che maturi una vendemmia di giustizia e di pace, la rivoluzione della tenerezza, la triplice cura di sé, degli altri e del creato.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia e Liturgia della Parola della XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 5 ottobre 2014