28 settembre 2014 - XXVI Domenica del Tempo Ordinario: Gesù ha sempre fiducia in ogni uomo
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Un uomo aveva due figli... In quei due figli è rappresentato ognuno di noi, con in sé un cuore diviso, un cuore che dice «sì» e uno che dice «no», che dice e poi si contraddice: infatti non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Rm 7,15.19 ). Il primo figlio che dice «no», è un ribelle; il secondo che dice «sì» e non fa', è un servile. Non si illude Gesù. Conosce bene come siamo fatti: non esiste un terzo figlio ideale, che vive la perfetta coerenza tra il dire e il fare. I due fratelli, pur così diversi, hanno qualcosa in comune: la stessa idea del padre come di un estraneo che impartisce ordini; la stessa idea della vigna come di una cosa che non li riguarda.
Qualcosa però viene a disarmare il rifiuto del figlio che ha detto no: «si pentì». Pentirsi significa «cambiare mentalità, cambiare il modo di vedere», di vedere il padre e la vigna. Il padre non è più un padrone da obbedire o da ingannare, ma il capo famiglia che mi chiama in una vigna che è anche mia, per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. E la fatica diventa piena di speranza.
Chi dei due ha fatto la volontà del padre? Questa volontà del padre, da capire bene, è forse di essere obbedito? No, è ben di più: avere figli che collaborino, come parte viva, alla gioia della casa, alla fecondità della terra.
La morale evangelica non è prima di tutto la morale dell'obbedienza, ma dei frutti buoni: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7, 16). Frutti di bontà, libertà, gioia, amicizia, limpido cuore, perdono.
L'alternativa di fondo è tra un'esistenza sterile e una che invece trasforma una porzione di deserto in vigna, e la propria famiglia in un frammento del sogno di Dio. Anche se nessuno se ne accorge, anche lavando in silenzio i piedi di coloro che ci sono affidati, nel segreto della propria casa. Se agisci così fai vivere te stesso, dice il profeta Ezechiele nella prima lettura, sei tu il primo che ne riceve vantaggio.
Gesù prosegue con una delle sue parole più dure e consolanti: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Dura la frase, perché si rivolge a noi che a parole diciamo «sì», ci diciamo credenti, ma siamo sterili di opere buone. Cristiani di facciata o di sostanza?
Ma consolante, perché in Dio non c'è ombra di condanna, solo la promessa di una vita rinnovata per tutti. Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo; ha fiducia nelle prostitute e ha fiducia in noi, nonostante i nostri errori e i nostri ritardi. Crede in noi, sempre! Allora posso cominciare la mia conversione. Dio non è un dovere: è amore e libertà. E un sogno di grappoli saporosi per il futuro del mondo.
Omelia di padre Ermes Ronchi
L'importanza di avere un cuore unificato
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va' a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».
Nei due figli, che dicono e subito si contraddicono, vedo rappresentato il nostro cuore diviso, le contraddizioni di cui Paolo si lamenta: non mi capisco, faccio il male che non vorrei, e il bene che vorrei non riesco a farlo (Rm 7, 15.19), che Goethe riconosce: "ho in me, ah, due anime".
A partire da qui, la parabola suggerisce la sua strada per la vita buona: il viaggio verso il cuore unificato. Invocato dal Salmo 86,11: Signore, tieni unito il mio cuore; indicato dalla Sapienza 1,1 come primo passo sulla via della saggezza: cercate il Signore con cuore semplice, un cuore non doppio, che non ha secondi fini. Dono da chiedere sempre: Signore, unifica il mio cuore; che io non abbia in me due cuori, in lotta tra loro, due desideri in guerra.
Se agisci così, assicura Ezechiele nella prima lettura, fai vivere te stesso, sei tu il primo che ne riceve vantaggio. Con ogni cura vigila il tuo cuore, perché da esso sgorga la vita (Prov 4,23).
Il primo figlio si pentì e andò a lavorare. Di che cosa si pente? Di aver detto di no al padre? Letteralmente Matteo dice: si convertì, trasformò il suo modo di vedere le cose. Vede in modo nuovo la vigna, il padre, l'obbedienza. Non è più la vigna di suo padre, è la nostra vigna. Il padre non è più il padrone cui sottomettersi o al quale sfuggire, ma il Coltivatore che lo chiama a collaborare per una vendemmia abbondante, per un vino di festa per tutta la casa. Adesso il suo cuore è unificato: per imposizione nessuno potrà mai lavorare bene o amare bene.
Al centro, la domanda di Gesù: chi ha compiuto la volontà del padre?
In che cosa consiste la sua volontà? Avere figli rispettosi e obbedienti? No, il suo sogno di padre è una casa abitata non da servi ossequienti, ma da figli liberi e adulti, alleati con lui per la maturazione del mondo, per la fecondità della terra.
La morale evangelica non è quella dell'obbedienza, ma quella della fecondità, dei frutti buoni, dei grappoli gonfi: volontà del Padre è che voi portiate molto frutto e il vostro frutto rimanga...
A conclusione: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti. Dura frase, rivolta a noi, che a parole diciamo "sì", che ci vantiamo credenti, ma siamo sterili di opere buone, cristiani di facciata e non di sostanza. Ma anche consolante, perché in Dio non c'è condanna, ma la promessa di una vita buona, per gli uni e per gli altri.
Dio ha fiducia sempre, in ogni uomo, nelle prostitute e anche in noi, nonostante i nostri errori e ritardi nel dire sì. Dio crede in noi, sempre. Allora posso anch'io cominciare la mia conversione verso un Dio che non è dovere, ma amore e libertà. Con lui coltiveremo grappoli di miele e di sole per la vita del mondo.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Chi ha compiuto la volontà del padre?
Il problema così vivo ai nostri giorni del rapporto tra il Gesù della storia e il Cristo della fede è in realtà presente già nelle ultime pagine del Vangelo: chi è questa persona che si presenta nella più concreta umanità e nello stesso tempo rivela un mistero irriducibile alla normale dimensione umana? Nei suoi ultimi capitoli il Vangelo di Matteo conduce il lettore ad entrare sempre più profondamente nel mistero di Gesù di Nazareth, il figlio dell'uomo, il Cristo, il figlio di Dio: è il mistero di un uomo che discende nella fragilità umana sino alla morte in croce perché in lui si riveli la potenza di Dio. Si compie così la rivelazione del pensiero di Dio che non è quello degli uomini: Dio si rivela nella fragilità, nella Croce, nell'Amore che si annienta. E tutto questo non è una dottrina, una filosofia, ma è la storia concreta di Gesù di Nazareth, che il Vangelo ci annuncia, di fronte al quale la razionalità umana si chiude: Dio deve essere l'onnipotente, Colui che vince le battaglie, che punisce chi lo offende.Il discepolo è invece chi crede, si affida a Lui perché sperimenta il suo amore, la sua condivisione, il suo com-patire: il discepolo è colui che, affidandosi totalmente a Gesù, cambia il suo pensiero e comincia a vedere l'onnipotenza di Dio nel suo discendere, nel suo annientarsi, nel suo Amore che morendo, risorge. Il Vangelo ci conduce fin sotto la croce perché con gli occhi fissi su di lui prendiamo in piena libertà la nostra decisione. Abbiamo il coraggio di credere in un Dio che manifesta la sua onnipotenza nell'annientarsi per poter comunicarci tutto il suo Amore?
Avviandosi alla conclusione, il cap.21 di Matteo sottolinea in modo sempre più forte questa "differenza cristiana": l'evento concreto di Gesù di Nazareth rivela la presenza del mistero di Dio, nel suo farsi partecipe della fragilità umana per condividerla, salvarla amandola.
L'inizio del cap.21 (vv.1-11), l'ingresso a Gerusalemme è letto nella Liturgia della domenica delle palme: Gesù si avvia decisamente verso l'esito finale della sua esistenza umana, la Croce e la Risurrezione, l'umiltà e la Gloria.
I versetti successivi (12-27) sono omessi dalla lettura liturgica: la purificazione del Tempio, la maledizione del fico. Si tratta ancora di passi importanti nel cammino della rivelazione del mistero della persona di Gesù, talmente sconcertante per i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, che non possono trattenersi dal porgli la domanda: "Con quale autorità tu compi queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?".
La frase che precede immediatamente il brano che la Liturgia della domenica XXVI del tempo ordinario ci offre (Matt.21,28-32): "Neanch'io vi dico con quale autorità faccio queste cose", se da una parte sembra chiudere la discussione con le autorità civili e religiose che lo contestano, dall'altra sottolinea ancora una volta la inafferrabilità del suo mistero al quale è possibile accostarsi attraverso l'affidamento della fede. Questo piccolo brano che, al di là di ciò che potrebbe apparire immediatamente, non è di facile lettura, è finalizzato proprio a questo: fissare l'attenzione sulla fede come chiave interpretativa della persona di Gesù, il figlio unico, che ascolta e fa la volontà imprevedibile, sconvolgente, del Padre. Proprio nel cuore di questa parabola dei due figli sta la domanda, rivolta a noi oggi: "Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre?", alla quale solo apparentemente è facile dare una risposta. "Fare la volontà del Padre" comporta, in realtà, anzitutto entrare in relazione filiale con il Padre, ascoltare la sua parola, aderire alla sua volontà lasciando che diventi operativa nel figlio: non è tanto il "fare" per se stesso, ma lasciarsi fare dal Padre. Ed è questo a cui Gesù vuole condurci con la sua parabola.
"Che ve ne pare?": Gesù chiede ai suoi ascoltatori l'attenzione perché comprendano l'importanza della decisione che la sua parola comporta.
"Un uomo aveva due figli. Rivolgendosi al figlio, disse: "Figlio, va', oggi, a lavorare nella vigna". Ma egli rispose: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero dentro di sé, andò. Rivolgendosi al secondo, disse la stessa cosa. Ed egli rispose: "Sì, signore" e non andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del Padre? Risposero: "Il primo". La risposta immediata che viene data alla domanda di Gesù (e che noi pure avremmo data) suscita in lui una presa di posizione fortissima, di distacco polemico dalla posizione di coloro che lo ascoltano, che deriva dalla sua personale esperienza e che rivela la novità della relazione con Dio che egli inaugura.
All'inizio, Gesù ha chiesto attenzione: non è possibile rispondere di istinto alla sua domanda. Egli ha parlato di relazione tra padre e figli, ciascuno è interpellato personalmente. Al primo "figlio" ha chiesto: "oggi vai nella vigna". E lui ha risposto: "Non voglio". Alla fine, cambiando pensiero, è andato. Certo, è buona cosa che alla fine sia andato, ma è andato quando e perché lui ha voluto: solo materialmente ha fatto la "volontà del Padre", in realtà ha fatto la propria volontà. E il secondo figlio, al padre che lo accosta, risponde: "Sì, signore". La relazione con il padre è formale e di conseguenza non diventa operativa. "Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?" Il Vangelo di Matteo è certamente sensibile alla concretezza del fare: ma è pure attento alla novità del fare "la volontà del Padre". Gesù, che sta avviandosi alla Croce, che sta educando i suoi discepoli a "pensare secondo Dio", intende metterli in guardia dal rischio di essere solamente "formali" ascoltatori della Parola del Padre oppure operatori di progetti loro, con le modalità e i tempi scelti solamente da loro. Gesù ai suoi discepoli propone la propria esperienza: egli vive l'esperienza filiale, vive del Padre, della sua Parola, sino ad essere l'incarnazione della Parola. Gesù è l' "oggi" della Parola di Dio, sconvolgente, che rompe gli schemi umani, che opera secondo schemi che per la sapienza umana sono folli.
Per questo, la parola di Gesù diventa fortissima, polemica, sconvolgente: "In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio". Coloro che sono ritenuti lontani, peccatori, per una valutazione secondo la logica umana, sono i primi nel regno di Dio, perché ascoltano la sua parola di Padre che si rivolge a loro come a Figli e dice a loro tutto il suo amore. Davvero sconvolgente è questa rivelazione di Gesù: chi crede nell'amore del Padre, anche nella profondità della debolezza e della fragilità umana, comincia ad operare le opere di Dio.
Ai suoi ascoltatori, alla sua comunità (a noi oggi) Gesù rivolge un appassionato richiamo: "Giovanni ha parlato in nome di Dio.voi avete visto queste cose.: i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto. voi non avete cambiato la vostra mentalità per credergli". A noi, affaccendati nel fare tante cose, nel programmare le nostre attività, Gesù rivolge la sua implorazione, perché seguendo lui ascoltiamo la voce del Padre, e nella nostra fragilità lasciamo che attraverso la nostra vita passi il suo Amore che è l'unica cosa che conta.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Vivere e far vivere il Vangelo
Domenica scorsa, con la parabola degli operai dell'ultima ora o del padre buono, abbiamo visto che il Signore c'invita tutti a lavorare nella sua vigna, che è il suo regno, perché considera che questo è bene per noi.
Oggi invita i suoi figli. Uno rappresenta i pubblicani e le prostitute, cioè quelli che stanno male, i poveri, i malati, i bisognosi in generale. L'altro rappresenta i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo, cioè quelli che stanno bene e non hanno bisogno.
Gesù accusa quest'ultimi di ascoltare senza pero fare, mentre chi ha bisogno prima dice no, ma poi fa. Hanno in comune il fatto che non hanno voglia di andare nella vigna a lavorare, e questo è normale, perché è impegnativo. Significa cercare di vivere e far vivere il vangelo, mettendo su una società dove si viva da fratelli, dove si annunzi la venuta del regno di Dio, invitando alla preghiera, all'ascolto della Parola di Dio e alla solidarietà. Questo comporta un cambiamento di vita ma anche l'opportunità di vivere una vita diversa, completamente nuova, più interessante e costruttiva che non fare il pubblicano, la prostituta o qualche altro modello di vita insoddisfacente; mentre il vangelo ti porta a vivere dei valori, a costruire famiglie, relazioni importanti, e cosi ti apre anche alla prospettiva di un futuro.
Chi di questi due fratelli ci rappresenta meglio? Tutti e due. Quando stiamo bene facciamo finta di ascoltare e facciamo anche tanti ragionamenti su Dio e su cosa dovrebbe fare. Quando stiamo male lo cerchiamo e l'ascoltiamo volentieri, proprio perché ne abbiamo bisogno e vediamo i vantaggi che ci sono a seguirlo e a dargli retta.
Signore aiutaci a capire sempre meglio i vantaggi che abbiamo nel aderire al tuo regno senza dover aspettare di stare male per convincerci e muoverci.
Omelia di padre Paul Devreux
Liturgia e Liturgia della Parola della XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 28 settembre 2014
tratto da www.lachiesa.it