20 luglio 2014 - XVI Domenica del Tempo Ordinario: Dio fissa il suo sguardo sul bene
News del 16/07/2014 Torna all'elenco delle news
Continua la lettura del "discorso in parabole" (Matt.13,24-43). Guardando la struttura del Vangelo di Matteo, questo discorso si trova al centro, per sottolineare, anche con la sua collocazione, l'importanza del messaggio che esso vuole comunicare. Si tratta di una pagina profondamente rielaborata dall'evangelista che ripensa alle parole di Gesù alla luce della vita della comunità cristiana nascente, delle situazioni e delle difficoltà che incontra, delle domande e dei problemi che nascono nel cuore dei credenti. Certamente Gesù non ha pronunciato in un unico discorso questa serie di parabole: gli esegeti studiano l'opera redazionale di Matteo che partendo dalle parabole pronunciate da Gesù in diverse situazioni, le ha collegate, le ha sviluppate e le ha messe in un contesto preciso, per arrivare a comunicare un messaggio ricco, articolato, sul quale la Chiesa e i Padri della Chiesa sin dall'antichità hanno riflettuto fino ad arrivare alla sintesi che oggi è chiamata "la teologia della storia". Sono ancora gli esegeti che si pongono la domanda se sia possibile, partendo dalle pagine del Vangelo, risalire alle parole autentiche di Gesù:: essi concordano nell'affermare che Gesù con parole essenziali rivela sempre il mistero di Dio presente nella storia, mentre l'intervento dell'evangelista è in funzione della risposta che la comunità credente è chiamata a dare alla rivelazione. Questo è molto importante per noi: Gesù ".non parlava se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo" (Matt.13, 34). Gesù, con le sue parole, i suoi gesti, la sua vita, la sua umanità, Lui stesso, è la "parabola del Padre": Lui ci introduce nel mistero di Dio, Lui ci apre alla dimensione misteriosa, divina, della nostra vita. Almeno tre volte, anche San Paolo, dice che Gesù ci ha rivelato il mistero nascosto in Dio: Rom.16,25;1Cor,2,7; Col.1,26. E' molto importante, leggendo le parabole come le troviamo nel Vangelo che non ci lasciamo prendere solo dalla preoccupazione di ciò che noi dobbiamo fare, ma che prima ci lasciamo illuminare dalla rivelazione che Gesù vuole comunicarci: solo la bellezza della contemplazione del mistero di Dio a cui Gesù vuole introdurci aprendo i nostri occhi e i nostri orecchi, cambia la nostra vita. Anche per questa via possiamo accogliere il messaggio del Vangelo di Matteo: Gesù è il compimento del cammino compiuto da Dio per parlare agli uomini: "Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità vi dico, molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate e non lo videro.".. "chi ha orecchi, ascolti". E comprendiamo la novità cristiana: se il popolo d'Israele molte volte proclama davanti a Dio: "Noi abbiamo fatto e ascoltato", dando il primato all'osservanza della Legge, i discepoli di Gesù sono felici perché hanno "visto e udito" e perché "figli della luce" possono rispondere alla Parola di Dio "Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo". Con questa frase così semplice, Gesù solleva il velo che ci impedisce di vedere ciò che è da sempre davanti ai nostri occhi: tutto ciò che esiste è creatura di Dio e come dice la prima pagina della Genesi, "è buono". Tutto ciò che esiste, come creatura è fragile, limitato, ma è buono: tutto ciò che esiste è un atto di amore dell'infinito Amore, è una goccia dell'infinito oceano. Dio per creare si fa piccolo, fragile, ma è pur sempre amore. Gesù ci parla della propria esperienza: "egli, pur essendo nella condizione di Dio, non volle mantenere gelosamente la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso, assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini. Apparso come uomo, si fece piccolo, sottoponendosi persino alla morte, alla morte di croce. Per questo Dio lo esaltò." (Filip.1,5ss.) Dio è un mistero incontenibile di Amore, che si inabissa, si annienta.ma quanto più si fa piccolo, tanto più è Amore. Ed è questa la grande rivelazione: da Dio non viene il male, viene soltanto ciò che è buono, magari fragile, ma frutto dell'infinito desiderio di Dio di donarsi. Per Gesù la croce stessa è il momento del grande abbraccio con il Padre: lo sguardo rivolto alla croce si apre infatti allo splendore della risurrezione. "Credere l'Amore", sempre, è dunque la grande proposta di Gesù.
Ma questo non può non suscitare le grandi domande: perché c'è tanto male nel mondo? Perché la presenza del regno dei cieli non ha eliminato dal mondo ogni tipo di sofferenza e di peccato? "Signore, se tu hai seminato del buon seme, da dove viene la zizzania?" Gesù nella parabola dà una risposta che rimane aperta all'interpretazione di chi parla della "teologia della storia" e degli attuali esperti di psicologia e di psicanalisi che indagano la complessa profondità dell'uomo. Dice Gesù: "Mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò". La creazione, l'uomo, tutto è dono d'amore di Dio, ma è solo una piccola e fragile goccia: in questa partecipazione fragile all'infinito di Dio sta la radice della complessità drammatica della storia. Rimane il mistero della relazione della creazione con il creatore: rimane l'oscurità, rimane l'incomprensione, il sonno nel quale si innesta il nemico, "il diavolo". "colui che divide". Quando il figlio maggiore comincia a dubitare dell'amore del Padre perché ama il figlio minore, si spezza la fraternità (Lc.15) Quando Caino comincia a guardare al fratello come a un rivale, arriva ad ucciderlo. Quando ciascuno di noi ha paura della propria fragilità, non l'accetta, mette la maschera, anziché gustare ciò che ha e vedere l'altro come fratello con cui scambiare i propri doni, "separa", rompe la famiglia umana; la relazione uomo-donna, le relazioni sociali, tutto può essere vissuto come meravigliosa ricchezza, comunione, gioia. Tutto dipende dal credere l'Amore" che giunge a noi nella fragilità, nella condivisione: nell'oscurità "diabolica", in uno sguardo privo di amore, la fragilità, diventa fonte di gelosia, di giudizio, di condanna, di male.
"Lasciate crescere l'una e l'altro": è sconvolgente questa indicazione di Gesù! Tutto il nostro impegno la contraddice: noi vogliamo essere "perfetti", vogliamo una Chiesa "perfetta", una società "perfetta", una umanità "perfetta" e nel "nostro volere" giudichiamo, separiamo, combattiamo e ci sostituiamo a Dio che ama "questo" mondo sino al dono del proprio Unigenito. Solo accettando la nostra fragilità, solo amando la fragilità degli altri, possiamo "fare bello" il mondo: questa, per Gesù, è l'indicazione fondamentale, per cogliere e vivere il senso della storia.
Egli parla poi di "fine del mondo": in realtà l'espressione greca usata da Lui è più complessa e significa il "raggiungimento comune del fine del tempo": è il momento nel quale le fragilità delle creature entrano nella pienezza del creatore, le gocce rientrano nell'oceano e viene meno ciò che è stato solamente l'immagine falsificata del mondo, mentre rimane solo l'Amore.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Saldi nella fede
Dopo la parabola del seminatore Gesù racconta quella della zizzania più altre due; in tal modo approfondisce l'insegnamento sulla sua predicazione spiegandone le intenzioni, cioè la diffusione del Regno di Dio. Esso attecchirà nella società e si radicherà nella storia seguendo modalità che potranno stupire molti.
Un primo motivo di sorpresa per i credenti sarà vedere crescere accanto al grano buono, anche l'inutile e velenoso loglio. Una seconda ragione di meraviglia che riguarderà tutti sarà constatare la crescita imponente del messaggio del Vangelo e la sua pervasività.
La parabola della zizzania invita noi credenti a vegliare, ma anche a non precipitare gli interventi di bonifica. A chi crede in Lui, Gesù non impone di tenere gli occhi chiusi, anzi lo invita a vegliare e praticare la propria facoltà di discernimento.
Nel racconto il danno si verifica nella notte, col favore delle tenebre, ma sorta la luce e constatata l'infiltrazione del vizio, non si deve peggiorare la situazione cedendo a gesti inconsulti.
Come non esiste frutto buono che non attiri parassiti, così si dà comunità umana per quanto bene ordinata che non contenga in sé qualche elemento malvagio.
Possiamo distinguere tra un errore che precede la verità proclamata e allora si tratta di imprecisione o di confusione di terminologica e un errore che dopo aver capito una verità, la impugna e nega.
Mancando le parole adeguate per esprimere una giusta intuizione è facile cadere nel generico e nell'ambiguo; quando però la verità risplende di per se stessa, allora il suo rifiuto si deve ammantare di finezza di formulazione e di illusione di rassomiglianza. Il ricorso ad astuzie e ipocrisie diventa indispensabile al cattivo per disfarsi di una verità conclamata.
Anche in natura la zizzania o loglio quando germoglia è indistinguibile dal grano. È al momento di mettere la spiga che si palesa la differenza. "Dai loro frutti li riconoscerete" dice Gesù parlando della diversa qualità degli uomini.
La malvagità si insinua e prova a resistere assumendo almeno per un po' la parvenza del bene. Prima o poi l'ipocrisia non sfugge alla denucia degli onesti ma è tanto più pericolosa quanto più tardi viene scoperta.
Le vere intenzioni rimangono sempre nascoste prima che si traducano in opere. Finché non è possibile vedere dispiegate le seconde, occorre sospendere il giudizio sulle prime. In ogni caso stare all'erta e denunciare il pericolo appena si manifesta, riduce il pericolo di contagio.
Nel mondo dello spirito, a differenza che di quello materiale, sono possibili salti di specie e trasmutazioni anche repentine. Il bene può esistere senza il male, ma non il male senza il bene, perciò Dio sopporta molti mali, perché ne vengano maggiori beni, come si ricava dal caso di Saulo di Tarso.
Se quel negatore e persecutore della nuova fede fosse stato immediatamente sradicato, la Chiesa sarebbe rimasta priva di un ardente apostolo e spoglia di un inestimabile tesoro di dottrina.
Per questo lo stesso san Paolo raccomanda ai suoi cristiani: "Non vogliate giudicare nulla prima del tempo", si intende giudicare definitivamente.
Verrà il tempo di una sentenza inappellabile, raffigurata nelle due immagini della legatura della zizzania e del deposito del buon grano. Notiamo a questo proposito che mentre tutta l'erba cattiva viene inviata a bruciare nell'inceneritore, il grano ha bisogno di essere separato dalla paglia e dalla pula.
Finché dura questo mondo, nessuno è perfetto e si può arrogare il ruolo di giudice inflessibile del suo prossimo. Occorre comunque restare saldi nella fede.
La zizzania se potesse confonderebbe volentieri non solo il suo stelo, ma anche le sue radici con quelle del buon grano. Ciò che permette al frutto del bene di resistere alla vicinanza nefasta dell'infestante antagonista è il fatto di rimanere saldo, saldo nella fede, come recita la conclusione del motto per la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid.
Non facciamoci scuotere oltremisura dal male che pure sembra non avere freno nel mondo. In realtà un limite alla malvagità esiste e come ci ha insegnato il papa Giovanni Paolo II è la stessa divina misericordia.
Essa al presente impone il divieto alla ritorsione contro il male subìto, ma ad un certo punto sarà essa a togliere di mezzo non solo i polloni del male, ma la loro stessa radice.
L'insulto della semina nel campo del mondo della zizzania è rivolto contro la società degli uomini giusti, ossia la Chiesa; esso però manifesta una inimicizia ben più grave verso Dio, e sarà perciò preoccupazione Sua estirparla senza che ne patiscano anche i suoi fedeli, e la principale maniera di venire danneggiati dal male non è subirlo, ma essere indotti a rispondere scendendo al suo stesso livello.
Gesù dunque ci ama più di quanto noi stimiamo noi stessi e in questa parabola pretende che non ci sporchiamo le mani in un lavoro che solo gli angeli di Dio al tempo debito eseguiranno in modo sicuro.
Per quanto riguarda il nostro impegno cristiano nel mondo la parabola della massaia in cucina è chiarissima: come il lievito è nascosto nell'impasto, ma non sparisce e a poco a poco fa fermentare la massa secondo la propria virtù, allo stesso modo si devono e si possono comportare i cristiani.
Saldi nella fede, possiamo trasformare il mondo intero.
Omelia di don Daniele Muraro
Dio fissa il suo sguardo sul bene
Il nostro cuore è un pugno di terra, seminato di buon seme e assediato da erbacce.
Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania? domandano i servi. La risposta è perentoria: «No, perché rischiate di strappare il buon grano!».
L'uomo violento che è in me dice: strappa subito tutto ciò che è immaturo, sbagliato, puerile, cattivo. Il Signore dice: abbi pazienza, non agire con violenza, perché il tuo spirito è capace di grandi cose solo se ha grandi motivazioni positive, non se ha grandi reazioni immediate.
Mettiamoci sulla strada su cui Dio agisce, adottiamo il suo stile: per vincere la notte accende il mattino, per far fiorire la steppa getta infiniti semi di vita, per far lievitare la massa immobile immette un pizzico di lievito. Questa è la attività solare, positiva, vitale che dobbiamo avere verso noi stessi. Dobbiamo liberarci dai falsi esami di coscienza negativi, centrati sul male. La nostra coscienza chiara, illuminata e sincera deve scoprire prima di tutto ciò che di vitale, bello, buono, promettente, Dio ha seminato in noi. E far sì che porti frutto.
La parabola racconta due modi di guardare: i servi vedono soprattutto le erbacce, il negativo, il pericolo; Il Padrone, invece, fissa il suo sguardo sul buon grano, la zizzania è secondaria. Dobbiamo conquistare lo sguardo positivo di Dio innanzitutto verso noi stessi: io non sono le mie debolezze, ma le mie maturazioni; io non sono creato a immagine del Nemico e della sua notte, ma a immagine del Creatore e del suo giorno. Nessun uomo coincide con il suo peccato o con le sue ombre. Ma se non vedo la luce in me, non la vedrò in nessuno. Davanti a Dio una spiga di buon grano conta più di tutta la zizzania del campo, il bene è più importante del male, il peso specifico del bene è superiore, il bene vale di più. E la spiga di domani, il bene possibile è più importante del male presente, del peccato di ieri. Il male non revoca il bene della tua vita, anzi, è il bene che revoca il male.
Non preoccupiamoci prima di tutto della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di coltivare una venerazione profonda per le forze di bontà, di generosità, di attenzione, di accoglienza, di libertà che Dio ci consegna. Facciamo che queste erompano in tutta la loro forza, in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza e vedremo le tenebre scomparire.
Questo è il messaggio della parabola:
venera la vita che Dio ha posto in te, proteggila, porta avanti ciò che hai di positivo e la zizzania avrà sempre meno terreno. Tu pensa al buon grano, ama i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio buono, sii indulgente con tutte le creature. E anche con te stesso. E tutto il tuo essere fiorirà nella luce.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia e Liturgia della Parola della XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 20 luglio 2014