6 luglio 2014 - XIV Domenica del Tempo Ordinario: per incontrare Dio bisogna farsi piccoli, imparare la mitezza e l'umiltà del cuore
News del 04/07/2014 Torna all'elenco delle news
Domenica scorsa ci siamo concentrati sulla domanda che Gesù rivolge direttamente agli apostoli: "E voi, chi dite che io sia?". Oggi l'identità del Signore si arricchisce di nuove indiscrezioni: Gesù è mite e umile di cuore. Mitezza ed umiltà sono caratteri fondamentali della persona del Figlio di Dio: tuttavia sarebbe erroneo e anche un po' ingenuo pensare che per essere dei buoni cristiani bastasse avere un temperamento mite e un atteggiamento umile... Per fortuna - o nostro malgrado - il mondo è pieno di uomini e donne miti e umili di cuore, che tuttavia non credono in Cristo; un nome per tutti, il Mahatma Gandhi.
Insieme con la mitezza e l'umiltà, è necessario accogliere il giogo del Signore. La mitezza e l'umiltà sono appunto necessarie per affrontare il buon combattimento della fede (come lo definisce San Paolo). È il fine che dà valore agli atteggiamenti, i quali - mitezza e umiltà - potrebbero essere un modo elegante per chiamare il disimpegno e la viltà. Al contrario, per essere autenticamente cristiani ci vuole coraggio e fortezza! A loro volta, se non vengono accordati a mitezza e umiltà, il coraggio degenera in temerarietà, e la fortezza può facilmente assumere i tratti dell'arroganza e della prepotenza. Ancora una volta bisogna riconoscere che l'insigne frate domenicano s. Tommaso D'Aquino aveva ragione a dichiarare che le virtù o si possiedono tutte, o non se ne possiede nessuna!
Tornando sul giogo di Cristo, verrebbe da pensare alla croce, ma la croce non sembra per nulla un giogo dolce e leggero: non lo fu per Gesù, non lo è neanche per noi.
Il Signore definisce il suo giogo dolce e leggero, in contrapposizione al giogo che i farisei avevano posto sulle spalle dei poveri, fatto di centinaia e centinaia di prescrizioni, la cui osservanza integrale era praticamente impossibile. Al capitolo 23, il primo evangelista riporta una pesante invettiva di Gesù contro i cosiddetti maestri della Legge: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito" (vv.2-4).
Ripeto e concludo: il giogo di Cristo consiste nell'imitarlo sulla strada dell'amore misericordioso e compassionevole verso il prossimo.
Questo giogo non si impone con la violenza. Non si può costringere nessuno ad amare come ha amato il Figlio di Dio; si può solo scegliere per sé. Anche in questo, il Cristo prende le distanze dagli altri maestri, i quali - lo avete appena sentito - insegnano, ma non mettono in pratica quello che insegnano. Per lo stesso motivo, durante l'ultima cena, il Signore sentì il bisogno di lavare i piedi ai Dodici: viene il momento in cui le parole non sono più sufficienti; è necessario passare ai fatti. In una civiltà come la nostra, dove anche la parola è inflazionata, mancano i fatti, mancano i testimoni, che parlano meno, ma si rimboccano le maniche...
Omelia di fr. Massimo Rossi
La fede è un dono da cui nessuno è escluso
Un'espressione solenne che non si riscontra in nessun'altra parte del vangelo apre il brano odierno (Matteo 11,25-30): "Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli". Dunque, il creatore e padrone del cielo e della terra, infinitamente superiore a noi, si abbassa sino a farsi conoscere dalle sue creature. Tuttavia rivela "queste cose" (cioè il senso e il valore del suo Regno, il messaggio di Gesù, insomma la fede) non agli uomini pieni di sé, ma ai "piccoli". Per capire questa sorprendente preghiera pubblica occorre ricordare che essa si colloca tra ripetuti episodi di rifiuto di Gesù: indifferenza o aperta ostilità gli erano venute dalle ricche città del lago di Tiberiade, dai farisei che si ritenevano perfetti nella pratica religiosa, dai capi del popolo preoccupati del loro potere. Essi non hanno capito quello che invece è stato concesso ai "piccoli", termine che nel linguaggio biblico non si riferisce all'età o alla statura: piccoli sono i semplici, gli umili, i poveri nello spirito, quanti sono disponibili ad accogliere come un dono le attenzioni di Dio. Sono loro a "capire" davvero le cose di Dio, dice Gesù.
La lode di Gesù al Padre implica un'altra considerazione: la fede è adesione a Dio che si rivela, per suo dono, senza alcun merito umano. In proposito, a volte si sente dire, magari con accenti di sincero rammarico: "Se la fede è un dono, io non l'ho ricevuto". Ma le cose non stanno in questi termini; Dio non fa differenze, si dona a tutti quanti sono disponibili ad accoglierlo. Chi ritenesse di essere stato escluso, dovrebbe in realtà esaminare bene se stesso; forse è lui, per la presunzione di ridurre anche Dio entro i limiti della propria intelligenza, o perché troppo preso da altri interessi, ad avere chiuso Dio fuori dalla porta della propria mente e del proprio cuore. Se si vuole incontrare Dio, bisogna farsi "piccoli"; bisogna rinunciare all'orgoglio di ritenersi regola a sé stessi; bisogna non farsi assorbire dalle cose che passano, quelle che affascinano ma anche quelle che inquietano.
Bisogna, soprattutto, capire che accogliere Dio nella propria vita non significa sottostare a una serie di vincoli e doveri limitativi della nostra libertà. Significa invece trovarla davvero, la libertà, che è autentica solo quando si volge al bene; significa trovare quella pienezza di vita che si può intuire paragonandola, su un piano puramente umano, a un rapporto di autentico amore. Accogliere Dio nella propria vita significa sperimentare in pienezza la sensazione esaltante che si prova quando si ama, sapendo di essere riamati.
Omelia di mons. Roberto Brunelli
Ti rendo lode, Padre!
Matt.11,25-30 è una pagina intensissima che ci fa entrare nella intimità più profonda dell'esperienza personale di Gesù per suscitare la nostra esperienza: ogni parola ci coinvolge personalmente. Qui troviamo il cuore della novità cristiana che è offerta a noi.
"In quel momento, Gesù, rispondendo, disse: Ti rendo lode, Padre...". In quel "momento" Gesù sperimenta il rifiuto della sua comunità (Cafarnao) e l' ostilità delle città delle scuole rabbiniche e della cultura religiosa del suo tempo mentre trova accoglienza presso "i piccoli" ed "i pagani" (Tiro e Sidone"). Al rifiuto che gli oppone l'élite religiosa del suo tempo, Gesù risponde con un forte accento polemico. Ma la risposta, una preghiera rivolta al Padre, contiene tutta la sua novità: Gesù ringrazia (confessa, riconosce, loda) il Padre, per il suo fallimento presso i sapienti e gli intelligenti, ma non per antipatia verso di loro, ma perché sa che questo fallimento e la riuscita che l'accompagna, corrisponde al senso dell'opera che egli è chiamato a compiere per volontà del Padre: la salvezza dell'umanità. In piena coerenza con la preghiera dei Salmi, Gesù riconosce che Dio continua l'opera della salvezza, e per questo gli rende lode. Ma la preghiera di Gesù rivela la novità della sua intimità senza limite con Dio, come del figlio con il padre, che diventa amorevole disponibilità filiale e sintonia nel progetto d'Amore della sua volontà.
Gesù rende lode al "Padre che nasconde e rivela..." Nella concretezza della sua esperienza, egli riconosce solo in Dio il soggetto che opera: il suo fallimento o la sua riuscita non dipendono dai suoi sforzi o dalla sua attività, ma solo dalla volontà di Colui che egli sperimenta come Padre che lo ama, e fa di Lui uno strumento del suo amore.
Ecco: la grande novità di Gesù è la sua relazione filiale con il Padre, il volto nuovo di Dio, che Lui sperimenta come Figlio "conosciuto", amato intimamente dal Padre, nella sua carne, nel suo farsi mite e umile di cuore, nel suo spogliarsi di tutto, nel suo annientarsi sino alla nudità della Croce. La grande novità di Gesù è la sua "conoscenza" del Padre, la sua esperienza di un Amore che non lo abbandona, lo accompagna sempre, gli apre la mente, il cuore...lo fa vivere persino nella morte. E tutto questo è dono che solo Lui, spogliato di tutto può accogliere: tutto è Amore che diventa carne nel Figlio che discende per poter essere amore che continua a donarsi in chi si lascia amare.
Adesso sappiamo quali sono "queste cose" che il Padre, Signore del cielo e della terra ha nascosto ai sapienti e ha rivelato ai piccoli: sono la novità di un Amore infinito che diventa intimo nell'uomo fragile, è l'esperienza di una relazione filiale che libera dalla paura, dona un cuore capace di vivere una vita nuova libera da schemi e dalla Legge, per gustare l'Amore e compierne le opere.
Adesso possiamo capire la logica del "Padre, Signore del cielo e della terra" che "ha nascosto ai sapienti e ha rivelato ai piccoli": perché chi ritiene di bastare a se stesso, con la propria ricchezza, i propri mezzi, intelligenza, forza, chi è chiuso in se stesso, non può conoscere la gioia di entrare in una relazione d'amore che dilata infinitamente l'umanità che trova il suo significato proprio nel momento in cui ha il coraggio di sentirsi debole goccia in un oceano d'Amore. Dio ha bisogno della nostra piccolezza per rivelare l'immensità del suo Amore.
Tutto questo è vero quando diventa l'esperienza personale che Gesù vive: il momento in cui i potenti lo scartano è quello nel quale egli propone la sua novità. Agli uomini alla ricerca del senso della vita, stanchi per la loro inconcludente potenza, coscienti dell'invalicabilità dei propri limiti, dell'impotenza della Legge che diventa l'ultima forma di schiavitù per i poveri e i deboli, Gesù dona se stesso, non spiega una dottrina, non impone una Legge, ma invita alla relazione personale con Lui, con la sua umanità fragile come quella di tutti gli uomini, riempita dall'infinito Amore del Padre. Quello che l'umanità cerca le è donato: "Accostatevi a me, tutti, stanchi e senza forze: io vi rigenererò". Non la Legge, ma l'incontro con Lui, la relazione personale con Lui, è il dono che fa rinascere l'umanità: proprio la carne debole, è piena di gloria; il limite è dilatato ad orizzonti infiniti.
"Prendete su di voi il mio giogo e lasciatevi istruire da me": la novità sorprendente di Gesù non è meno esigente dell'osservanza della Legge, il suo "giogo" chiede il coraggio di accettare fino in fondo la fragilità del limite umano, la spogliazione radicale della propria velleità di autosufficienza. Chiede di lasciarsi educare da lui, per imparare la mitezza e l'umiltà del cuore che è la rinuncia alla volontà di affermazione di sé e al desiderio di potere: chiede di scendere senza difese nella propria umanità, ma per gustare con Lui l'ebbrezza dell'abbraccio dell'Amore del Padre, che dona la pace e libera dalla paura per poter cominciare a vivere ogni attimo la bellezza della vita con la freschezza sempre nuova di un bambino che si sente avvolto dall'Amore.
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Diffondere la combattiva tenerezza di Dio
Ti rendo lode, Padre... il Vangelo registra uno di quegli slanci improvvisi che accendevano di esultanza e di stupore gli incontri di Gesù: i piccoli lo capiscono, capiscono il segreto del vivere. Sono i piccoli di cui è pieno il Vangelo: poveri, malati, vedove, bambini, i preferiti da Dio. Rappresentano l'uomo senza qualità che Dio accoglie nelle sue qualità.
Perché hai rivelato queste cose ai piccoli...
Le cose rivelate non si possono recintare in una dottrina, non costituiscono un sistema di pensiero. Gesù è venuto per mostrare, per raccontare la rivoluzione della tenerezza di Dio (papa Francesco), nucleo originario e freschezza perenne del suo Vangelo.
Questa rivoluzione della tenerezza, Dio al fianco dei piccoli, è la vera lingua universale, l'unica lingua comune ad ogni persona, in ogni epoca, su tutta la terra. Un piccolo capisce subito l'essenziale: se gli vuoi bene o no. In fondo è questo il segreto semplice della vita. Non ce n'è un altro, più profondo. I piccoli, i peccatori, gli ultimi della fila, le periferie del mondo hanno capito che in questa rivoluzione della tenerezza sta il segreto di Dio.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Gesù viene e porta il ristoro della vita, mostra che è possibile vivere meglio, per tutti. Il Vangelo è il sogno di rendere più umana e più bella la vita: l'umanizzazione è il grande segno della spiritualità autentica. Nominare Cristo, parlare di Vangelo, celebrare Messa deve equivalere a confortare la vita affaticata, altrimenti sono parole e gesti che non vengono da lui. Le prediche, gli incontri, le istituzioni, devono diventare racconti d'amore, altrimenti sono la tomba della domanda dell'uomo e della risposta di Dio.
Imparate da me... Andare da Gesù è andare a scuola di vita. Gesù: quest'uomo senza poteri ma regale, libero come il vento, che nessuno ha mai potuto comprare o asservire, fonte di libere vite.
Da me che sono mite e umile di cuore...
Imparate dal mio modo di essere, senza imposizione e senza arroganza. Imparate dal mio modo di amare, delicato e indomito. Il maestro è il cuore. Dio stesso non è un concetto: è il cuore dolce e forte della vita.
Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero, dolce musica, buona notizia. Il giogo, nel linguaggio della Bibbia, indica la Legge. Ora la legge di Gesù è l'amore: prendete su di voi l'amore; prendetevi cura, con tenerezza e serietà, di voi stessi, degli altri e del creato, diffondete la combattiva tenerezza di Dio, iniziando dai piccoli, che sono le colonne segrete della storia, le colonne nascoste del mondo. Prendersi cura di loro, come fa Dio, è prendersi cura del mondo intero.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Dopo il duro “guai a voi!”, viene la benedizione, l’abbraccio: i piccoli vengono messi in mezzo all’amore tra Padre e Figlio. Gesù è la porta di comunicazione, la scala per far scendere il cielo sulla terra. Lo Spirito ci dà coraggio a chiamare Dio “Abbà!”, il massimo della vicinanza e della confidenza con Dio che resta altissimo e onnipotente. Per cogliere qualcosa del mistero i mistici propongono la coincidentia oppositorum: Dio è vicino e altissimo, tenero e onnipotente, piccolo e grande, madre e padre, misericordioso e giusto. Se per noi “i piccoli” sono semplici e incapaci di parlare, per Gesù sono proprio essi ad ereditare il nome “Abbà”. Come essere o tornare ad essere “piccoli”? Con la purezza del cuore. Solo ad essa Dio non sa resistere.
Cos’è la mitezza? Accogliere la croce che Dio ci offre, senza ribellarsi, ma accettare di prendere su di noi il suo giogo, sottomessi alla volontà del Padre per trovare la pace e il riposo delle nostre anime. Riaccostati a Dio, saremo in pace anche con il prossimo: pazienti, comprensivi e compassionevoli, senza reagire al male col male, ma vincendolo col bene.
Cos’è l’umiltà? Consapevoli che nessuno è giusto davanti a Dio, ci inginocchiamo col cuore davanti al Padre per chiedergli perdono settanta volte sette (sappiamo come andrà a finire). Guardare il prossimo con rispetto, onorando in lui l’immagine di Dio e trattenendoci dal giudicare e condannare, perché occupati a togliere la trave dal nostro occhio.
Umiltà e mitezza sono la medicina per l’oggi, per scampare il futuro stesso dell’umanità. Sembra facile da capire, meno da vivere. Ci aiutino i santi “piccoli”: Francesco di Assisi, Bernadette di Lourdes, Teresa di Lisieux, Pio da Pietrelcina. Teresa di Calcutta. Soprattutto lui, Gesú, mite ed umile di cuore.
Omelia di Mons Angelo Sceppacerca
Liturgia e Liturgia della Parola della XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 6 luglio 2014
tratti da www.lachiesa,it