15 giugno 2014 - Solennità della SS. Trinità: in principio a tutto sta un legame d'A­more

News del 14/06/2014 Torna all'elenco delle news

La Trinità, che ogni segno di croce e benedizione ci ricorda, più che un dogma, è una storia che ci rivela la bellezza di Dio e il senso di tutte le cose, ci dice che Dio non ha scelto di essere solo perché ama creare la comunione: un Dio che è Padre, che si è manifestato nel Figlio e che rimane presente in noi tramite lo Spirito Santo.

Dio si rivela così perché Dio è amore e comunione, e questo implica almeno tre persone, più tutto il creato, noi compresi, che siamo chiamati a vivere in questa comunione e di questa comunione. Dire che Dio è amore o dire che è Trinità è la stessa cosa.

Ciò che è bello da notare in ogni manifestazione di queste tre persone è il fatto che quando parlano è sempre per valorizzare non se stesso ma uno degli altri. Il Padre invita ad ascoltare il Figlio, il Figlio invita a pregare il Padre e dice che è bene che se ne vada per fare spazio alla venuta dello Spirito che è meglio di Lui, lo Spirito si limita a ricordarci ciò che Gesù ha detto e fatto per rivelarci il Padre. Veramente gareggiano a stimarsi. Gesù addirittura arriva a dire che noi faremo cose più grandi di Lui, perché Lui va al Padre a pregare per noi, perché possiamo ricevere lo Spirito.

E' bello convertirsi alla Trinità cercando di vivere in questa comunione con Dio e tra di noi. Questo si fa mettendo in pratica il comandamento dell'amore. La Trinità è uno stile di vita che corrisponde alla vocazione cristiana alla quale siamo tutti chiamati. E attenzione: questa vocazione è ciò che fa passare l'uomo da una situazione di sottosviluppo morale e spesso anche economico ad una situazione di valorizzazione dell'uomo e quindi di sviluppo in tutti i sensi. Rinunciare a questa vocazione porta il singolo e la società ad impoverirsi; perciò insisto dicendo che aderire alla dimensione trinitaria non solo è bello, ma è importante.

Bene-diciamo il Signore e bene-diciamoci anche tra di noi.

Omelia di padre Paul Devreux

 

Crediamo all'amore di Dio per noi

La Trinità: un dogma che può sembra­re lontano e non toccare la vita. Inve­ce è rivelazione del segreto del vivere, della sapienza sulla vita, sulla morte, sull'a­more, e mi dice: in principio a tutto è il le­game.

Un solo Dio in tre persone: Dio non è in se stesso solitudine ma comunione, l'oceano della sua essenza vibra di un infinito movi­mento d'amore, reciprocità, scambio, in­contro, famiglia, festa. Quando nell'«in principio» Dio di­ce: «Facciamo l'uomo a nostra im­magine e somiglianza», l'immagi­ne di cui parla non è quella del Creatore, non quella dello Spirito, né quel­la del Verbo eterno di Dio, ma è tutte queste cose insieme. L'uomo è creato a immagine della Trinità. E la relazione è il cuore dell'es­senza di Dio e dell'uomo. Ecco perché la solitudine mi pesa e mi fa paura, perché è contro la mia natura. Ecco perché quando amo o trovo amicizia sto co­sì bene, perché è secondo la mia vocazio­ne. In principio a tutto sta un legame d'a­more, che il Vangelo annuncia: «Dio ha tan­to amato il mondo da dare il suo Figlio». Nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con un altro verbo concreto, pratico, forte: il verbo dare. Amare equivale a dare, il ver­bo delle mani che offrono. «Dio ha tanto amato», centro del Vangelo di Giovanni, che ha la definizione più folgo­rante di Dio: Dio è amore; che vuole portar­ci a confessare: noi abbiamo creduto all'a­more che Dio ha per noi!

Se mi domandano: tu cristiano a che cosa credi? La risposta spontanea è: credo in Dio Padre, in Gesù crocifisso e risorto, la Chie­sa... Giovanni indica una risposta diversa: il cristiano crede all'amore.

Noi abbiamo creduto all'amore: ogni uomo, ogni donna, anche il non credente può cre­dere all'amore. Può fidarsi e affidarsi all'a­more come sapienza del vivere. Se non c'è amore, nessuna cattedra può dire Dio, nes­sun pulpito. È lo stesso amore interno alla Trinità che da lì si espande, ci raggiunge, ci abbraccia e poi dilaga. Come legame delle vite.

Dio ha tanto amato il mondo. Non solo l'uo­mo, è il mondo che è amato, la terra e gli a­nimali e le piante e la creazione intera. E se Lui ha amato, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata.

La festa della Trinità è specchio del mio cuo­re profondo e del senso ultimo dell'univer­so. Incamminato verso un Padre che è la fon­te della vita, verso un Figlio che mi inna­mora, verso uno Spirito che accende di co­munione le mie solitudini, io mi sento pic­colo e tuttavia abbracciato dal mistero. Pic­colo ma abbracciato, come un bambino. Ab­bracciato dentro un vento in cui naviga l'in­tero creato e che ha nome comunione.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Dio ha tanto amato il mondo

Dopo aver celebrato il mistero di Cristo, la Liturgia ci fa contemplare il mistero di Dio, per ricordarci che tutto è con Lui, in Lui, per Lui: attraverso Cristo, Dio ci è svelato come infinito mistero di Amore che ci avvolge e ci fa vivere. I pochi versetti del cap.3 del Vangelo di Giovanni che oggi leggiamo, ci collocano nel cuore della rivelazione di Dio donata agli uomini attraverso Gesù Cristo: questo è per noi, oggi, uomini e donne più che mai alla ricerca del senso della vita, di una "salvezza" come possibilità di trovare gioia in ciò che sentiamo nel profondo del nostro cuore.

Il tema della "salvezza" per una umanità smarrita e incerta come quella ebraica del tempo di Gesù, ha spinto Nicodemo ad incontrare questo singolare maestro approvato da Dio come dimostrano i segni da lui compiuti. Nicodemo: il suo rango sociale e la sua appartenenza religiosa ne fanno il rappresentante autorevole del sapere teologico giudaico del tempo. Egli viene di notte: per mantenere segreto il suo cammino di accostamento a Gesù o forse perché la notte è nel suo cuore alla ricerca di una luce che gli rinnovi la vita. Nicodemo e Gesù: l'ebraismo e la via nuova aperta da Gesù; l'uomo che con le sue forze cerca la realizzazione di sè, e l'uomo che ha il coraggio di abbandonarsi ad un dono che lo sorprende. Noi e Gesù: l'uomo moderno che conoscendo sempre meglio se stesso e le proprie potenzialità pensa di trovare da solo le vie della propria realizzazione, e Gesù, "il Figlio dell'uomo che parla delle cose del cielo", Colui che è salito al cielo perché è disceso dal cielo". Nicodemo e Gesù: la filosofia, la ragione che cerca, (oggi la ragione scientifica) e la fede...

Nicodemo incontra Gesù: "Maestro, noi sappiamo che tu sei venuto da Dio per istruirci..." Gesù "viene da Dio": Nicodemo pensa di "conoscere" Gesù, come un maestro autorevole, uno dei tanti... Ma Gesù non è come pensa Nicodemo: non è un semplice maestro degno di fiducia, un buon interprete della parola di Dio, un maestro la cui dottrina è frutto di una interpretazione fedele della Legge. Egli viene da Dio in un senso totalmente nuovo: è "il Figlio unigenito". Al maestro esperto di interpretazione della Scrittura, Gesù non offre semplicemente una dottrina confermata da Dio. Gesù spiazza Nicodemo: l' "umano" è solo infinita domanda, inesauribile ricerca, ma genera vita che rimane mortale. La "salvezza" desiderata dall'uomo (l'entrare nel regno di Dio") rimane sempre oltre il cammino che l'uomo compie: è una rinascita dallo "Spirito".

Il dialogo adesso si ferma: Gesù non si rivolge più con il "voi" a Nicodemo. Il dialogo tra due maestri del pensiero è oltrepassato da un meraviglioso discorso di rivelazione, il cuore della rivelazione cristiana: Lui che è disceso dal cielo e per questo è salito, parla di cose celesti. Non è una dottrina, è Lui stesso, la sua persona, la sua Croce, come concretezza umana, l'estrema fragilità, l'estrema debolezza, la creaturalità fragile, come non senso per la ragione umana, luogo dell'estremo Amore di Dio, la tenebra che si illumina, la notte che diventa giorno, l'annientmento come luogo estremo dell'abbraccio di Amore tra il Figlio e il Padre, esperienza di una vita nuova, lo Spirito che dalla Croce si diffonde in tutti gli spazi della povertà umana.

"Dio ha tanto amato il mondo che ha donato il suo Figlio, l'unigenito, perché ogni uomo che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna": ecco, la grande rivelazione. Un Dio che ama: per la prima volta nel Vangelo di Giovanni appare questo verbo "amare", che diventerà così frequente nella seconda parte. Giovanni, nella prima parte insiste sul verbo credere: credere in un Dio che ama, non giudica, non condanna la sua creatura che quanto più cerca e tanto più si sente incapace di raggiungere la salvezza che cerca. Credere in un Dio che ama a tal punto da donare il proprio Figlio: i verbi all' "aoristo" sottolineano l'evento storico di Gesù, la sua Croce come concretezza di un Amore di Dio che si incarna sin nel profondo dell'oscurità umana, che accetta di entrare nell'estrema abbiezione umana.

La salvezza è l'esperienza personale (la fede) dell'Amore con il quale Dio ha amato il mondo sino al dono del proprio Figlio nella morte in Croce: credere che in ogni esperienza, anche la più oscura della vita umana, è presente lo Spirito d'Amore effuso da Gesù nel momento nel quale, in un abbraccio d'Amore del Padre, ha donato tutto. La ragione umana cerca, dilata gli spazi: la risposta è solo il dono dello Spirito d'Amore che ha cominciato ad illuminare la notte di Nicodemo.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

DNA Trinitario

Dopo la grande festa della Pentecoste, ricreati e irrobustiti dal dono dello Spirito, siamo pronti a contemplare il mistero della Trinità.

La festa della Trinità ci porta proprio a smascherare le false immagini di Dio che affollano la nostra fantasia religiosa, ci fa mettere in solaio quell'immagine vecchia e ammuffita di un Dio che assomiglia ad un vecchietto annoiato che siede sul suo trono maestoso e trama qualche infida sciagura per punire i nostri peccati.

Lubrificati dal dono dello Spirito, lasciamoci convertire al Dio Trinitario, al Dio dell'amore che Gesù ci ha rivelato. Dio non è un nobile solitario e schizzinoso o un vecchio orso burbero chiuso nella sua onnipotenza. Il Dio Trinità è amore, festa, incontro, relazione, amicizia, comunione, famiglia, danza...

Che bellezza, cari amici! Che gioia poter credere e sperare in un Dio così!

Questa rivelazione del mistero trinitario non ci porta solo ad una conversione del nostro modo di guardare a Dio, ma anche alla conversione del modo di guardare a noi stessi. Il libro della Genesi dice che l'uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio, cioè dentro di noi c'è un DNA trinitario! Anche noi siamo fatti per la relazione, l'amore, la comunione, la fraternità.

Festeggiare la Trinità significa riscoprire quali sono le scelte e le priorità che rendono veramente bella e sana la nostra vita. Proviamo a chiedercelo con un po' di onestà: quali sono le priorità fondamentali su cui sto costruendo la mia vita? Nelle mie scelte famigliari e professionali dove si vede il mio DNA trinitario? Con quale stile gestisco le relazioni che quotidianamente sono chiamare a vivere? Quanto tempo regalo alle persone che mi vogliono bene e quanto ne investo per costruire relazioni sane e positive?

Prima di rispondere facciamo un bel respiro e invochiamo lo Spirito Santo, perché ci aiuti a scavarci nel cuore e a dirci la verità.

Omelia di don Roberto Seregni

 

Solennità della SS. ma Trinità

La Chiesa, lungo tutto l'anno liturgico, ripercorre il continuo cammino della storia dell'amore che Dio ha per ciascuno di noi, facendo memoria dell'amore del Padre, che, dopo averci creati, ci ha donato il Suo Figlio Gesù, nato, morto e risorto per la nostra salvezza, che ci ha inviato, con la Pentecoste, la Presenza vivificante dello Spirito Santo. La Chiesa sempre inizia la celebrazione del solenne Mistero di amore, che è la S. Messa, con le parole: "La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti noi"ed oggi celebra la solennità della SS. Trinità, che - sono parole di Papa Francesco - "non è il prodotto di ragionamenti umani; è il volto con cui Dio stesso si è rivelato, non dall'alto di una cattedra, ma camminando con l'umanità, nella storia del popolo d'Israele e soprattutto in Gesù di Nazareth. E' proprio Gesù che ci ha salvato. Gesù è il Figlio che ci ha fatto conoscere il Padre misericordioso e ha portato sulla terra il suo «fuoco», lo Spirito Santo, che dentro noi ci guida, ci dà delle buone idee, delle ispirazioni"

È la fede che ognuno di noi esprime con un semplice gesto, che traccia sul corpo, a partire dalla fronte fino al cuore, accompagnato con le essenziali parole, "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo", con cui non solo facciamo una solenne professione di fede, ma diamo un senso altissimo alla nostra vita, nella sua quotidianità: all'inizio di ogni giornata o di ogni azione, compresa quella di mettersi a tavola, un segno, con cui vogliamo dedicare ciò che facciamo a Colui da cui tutto proviene, a cui tutto dovrebbe essere indirizzato: è come dipingere dei colori del Cielo: la nostra storia, fino all'eternità.

Forse non siamo abituati o educati a considerare la nostra vita come la storia di un grande Amore, che viene proprio dall'opera della Trinità, presente ed operante in noi. Se potessimo, per un solo istante, contemplare il complesso ricamo di Amore del Padre, l'opera di Gesù, sempre in noi e con noi, e "il fuoco' dello Spirito, che è in ogni aspetto della nostra giornata, moriremmo di gioia, come quando un artista contempla il dettaglio di un'opera d'arte. Bisognerebbe essere capaci di contemplare le meraviglie, che Dio dona ed opera nella nostra storia personale; meraviglie a volte oscurate da orribili debolezze, ma sempre affiancate dalla misericordia di Dio, pronto a cancellarle per mettere al loro posto il colore dell'Amore che perdona.

Omelia di mons. Antonio Riboldi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità della SS. Trinità (Anno A) 15 giugno 2014

tratto da www.lachiesa.it