1 giugno 2014 - Solennità dell'Ascensione del Signore: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo

News del 31/05/2014 Torna all'elenco delle news

Nella festa della "Ascensione del Signore", seguendo il ciclo dell'anno liturgico A, leggiamo la conclusione del Vangelo di Matteo (28,16-20). Proprio la lettura di questo testo nel quale non troviamo neppure il termine "Ascensione" ci stimola a comprenderne il significato con maggiore consapevolezza. Leggendo gli Atti degli Apostoli (la prima lettura) influenzati dagli artisti che hanno rappresentato più volte l'evento, rischiamo di dimenticare che gli autori del Nuovo Testamento hanno usato un linguaggio narrativo-simbolico per annunciare una realtà che va al di là della dimensione fisica. La seconda lettura della liturgia apre all'intelligenza teologica dell'evento: ormai, il Padre ha costituito il Signore Gesù Cristo al di sopra di tutto, "gli ha sottomesso tutto e ponendolo al di sopra di tutto, ha fatto di lui il capo della Chiesa, che è il suo Corpo" (Ef.1,22-23). Si tratta di un evento che non fa parte dell'ordine delle cose visibili, anzi ne capovolge addirittura il senso normale: se Marco16,19 dice che l'Ascensione mette fine ad un certo modo di relazione di Gesù con i suoi discepoli, in realtà essa significa che Gesù, risuscitato dalla potenza di Dio, al di là della morte, vive della vita di Dio, inaugurando una presenza non più fisica, visibile e palpabile, a favore solo di alcuni, ma una possibilità di relazione che vivifica tutti coloro che si riconoscono membra del suo Corpo. L'Ascensione significa che tutta l'umanità di Gesù è afferrata dalla potenza di Dio perché la nostra umanità, di conseguenza, diventi capace di accogliere questa stessa potenza: la gloria di Cristo che celebriamo nell'Ascensione, preannuncia la nostra, e illumina il senso finale dell'esistenza dell'uomo e dell'universo Questo è il significato della celebrazione liturgica dell'Ascensione: rendendo presente nella fede il mistero di Cristo vivo della vita di Dio, noi ne siamo resi partecipi perché cominciamo a vivere sulla terra la vita del cielo. Prende senso così l'esistenza cristiana, come tensione dinamica tra la situazione presente e la prospettiva del Regno di Dio, evitando di lasciarsi rinchiudere dentro le preoccupazioni del mondo o di evadere verso un mondo immaginario.

La finale di Matteo, che la Liturgia ci fa leggere nella festa dell' "Ascensione del Signore", annuncia la ricchezza di questo mistero, nella prospettiva propria di questo Vangelo. La comunità cristiana di Matteo è ancora all'interno del mondo ebraico, di cui continua a far parte, è al tempo stesso una comunità giudeo-cristiana che si apre al mondo pagano e fa parte di una Chiesa sempre più influenzata dalla cultura greco-romana. Gesù, nel Vangelo di Matteo, rimanendo fedele alla Torah di Israele, la porta al "compimento", con una imprevedibile novità che gli deriva dalla singolarità del suo rapporto filiale con Dio.

La finale di Matteo ci presenta una comunità che ha maturato la propria identità e che, uscendo dai confini di Isarele, si affaccia al mondo intero cosciente di dover svolgere una missione universale.

"Gli Undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato": si tratta di un piccolo brano definito dai grandi esegeti "un capolavoro letterario e teologico, sintesi di tutto il Vangelo", ricchissimo dal punto di vista teologico. Il soggetto sono gli "Undici" discepoli, piccolo gruppo indicativo della Chiesa nascente. Il fatto che non siano più i "Dodici" sta a ricordare la esperienza drammatica della Passione e il tradimento di uno di loro, sta a smorzare all'inizio ogni tendenza trionfalista che potrebbe dare una falsa coscienza alla Chiesa. Essa è chiamata ad essere sempre in ascolto della Parola del suo Signore, per vivere di Lui. Infatti "andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato". Gesù aveva scelto la Galilea come luogo principale della sua missione: agli occhi di Matteo il ministero di Gesù nella oscura Galilea preparava l'invio degli "Undici" nella vera Galilea delle nazioni, il mondo intero. La finale di Matteo annuncia che è in atto la ricostruzione del gruppo dei discepoli, dopo la loro dispersione, ubbidendo all'ordine del Risorto trasmesso dalle donne che avevano trovato la tomba vuota. In realtà in nessun passo del Vangelo si trova l'invito di Gesù ai discepoli di ritrovarsi "sul monte": solo il simbolismo del linguaggio di Matteo richiede questo paesaggio teologico, incentrato nel monte. Dal monte delle tentazioni, a quello delle Beatitudini, della Trasfigurazione. al Golgota, Matteo crea un concatenamento simbolico nel quale l'evento di Gesù Cristo si esprime in pienezza. Verso questo monte tutto converge: su questa, che è la settima montagna di Matteo, trova compimento la missione del Signore Gesù Cristo e fonda il suo significato la sua Chiesa. Qui i discepoli "vedendo" la sua presenza, la sua opera, la sua passione, lo "adorano": credono in Lui, il Signore. E pure "dubitano": è il realismo della fede che coesiste con il permanere del dubbio. Ma ancora una volta è Gesù che si avvicina: è Lui che colma la fragilità, il dubbio, il peccato della Chiesa con il suo Amore senza limiti. E Lui dice: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra": questa frase esprime tutta la novità cristiana della concezione del "potere". Su questo monte gli "è donato" ciò che ha rifiutato sul monte delle tentazioni: nel momento nel quale si è svuotato di tutto, tutto gli è donato. Nel momento nel quale ha solo amato, gli è donato il potere universale: ma il potere vero è solo l'Amore. E questa è la più grande rivelazione: ormai, al di là di ogni apparenza e di ogni resistenza, tutto è permeato dal potere di Cristo che è l'Amore. Solo l'Amore vince. Non può che essere questa la missione che Gesù affida ai suoi discepoli: "Andando dunque, fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli .e insegnando loro ad osservare." Gesù comunica ai suoi discepoli la passione per tutti i popoli: ben diverso dal voler fare proselitismo è il desiderio di "fare discepoli tutti i popoli". Anche questo ha un significato nuovo: i discepoli di Gesù sono coloro che gustano la potenza del suo Amore, vivono la sua esperienza di figlio che riceve tutto dal Padre e di conseguenza operano nella libertà filiale secondo la Parola di Gesù. L'ultima Parola di Gesù, che ci riporta all' "Ascensione", è la sintesi di tutto il lieto annuncio: "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Gesù è l' "Emmanuele", Dio con noi, ogni giorno, riempie di sé il tempo e lo spazio, con il suo amore riempie l'universo, accompagna ogni uomo in ogni situazione, fa del mondo intero il suo Corpo che vive di Lui. Questa montagna creata dal simbolismo teologico di Matteo, continua a proclamare ai lettori del Vangelo l'identità divina di Gesù Cristo risorto, Dio con noi, la dimensione trascendente e cosmica della Chiesa di Gesù, nella quale Egli continua a vivere: cominciando da quei fragili "Undici" continua ad essere il luogo elevato sul mondo, dal quale parte un Amore che chiede soltanto di essere accolto e annunciato, per poter far vivere il mondo.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Ascensione, festa della fiducia

Il termine «forza» lega insieme, come un filo rosso, le tre letture: «A­vrete forza dallo Spirito Santo» (prima lettura); «Possiate cogliere l'efficacia della sua forza» (seconda lettura); «Mi è stato dato o­gni potere in cielo e in terra» ( Vangelo).

Forza per vivere, energia per andare e ancora anda­re, potenza per nuove na­scite: la mia vita dipende da una fonte che non viene mai meno; la mia esistenza è attraversata da una forza più grande di me, che non si esaurirà mai e che fa la vi­ta più forte delle sue ferite .

È il flusso di vita di Cristo, che viene come forza a­scensionale verso più lumi­nosa vita, che mi fa cresce­re a più libertà, a più con­sapevolezza, a più amore, fonte di nuove nascite per altri.

L'Ascensione è una festa difficile: come si può far fe­sta per uno che se ne va? Il Signore non è andato in u­na zona lontana del cosmo, ma nel profondo, non oltre le nubi ma oltre le forme: se prima era insieme con i di­scepoli, ora sarà dentro di loro. Sarò con voi tutti i gior­ni, fino alla fine del tempo.

Il mio cristianesimo è la certezza forte e inebriante che in tutti i giorni, in tutte le cose Cristo è presente, forza di ascensione del co­smo.

Ascensione non è un per­corso cosmico geografico ma è la navigazione spaziale del cuore che ti conduce dalla chiusura in te all'amore che abbraccia l'universo (Bene­detto XVI). Gesù lascia sulla terra il quasi niente: un gruppetto di uomini impauriti e con­fusi, che dubitano ancora, sottolinea Matteo; un pic­colo nucleo di donne co­raggiose e fedeli.

E a loro che dubitano anco­ra, a noi, alle nostre paure e infedeltà, affida il mondo. Li spinge a pensare in gran­de, a guardare lontano: il mondo è vostro.

Gesù se ne va con un atto di enorme fiducia nell'uo­mo. Ha fiducia in me, più di quanta ne abbia io stesso. Sa che riuscirò a essere lie­vito e forse perfino fuoco; a contagiare di Spirito e di na­scite chi mi è affidato.

Ascensione è la festa del no­stro destino - solo il Cri­stianesimo ha osato collo­care un corpo d'uomo nella profondità di Dio (Romano Guardini) - che si intreccia con la nostra missione: «Battezzate e insegnate a vi­vere ciò che ho comandato». «Battezzare» non significa versare un po' d'acqua sul capo delle persone, ma im­mergere!

Immergete ogni uomo in Dio, fatelo entrare, che si lasci sommergere dentro la vita di Dio, in quella linfa vitale.

Insegnate a osservare. Che cosa ha comandato Cristo, se non l'amore? Il suo co­mando è: immergete l'uo­mo in Dio e insegnategli ad amare. A lasciarsi amare, prima, e poi a donare amo­re. Qui è tutto il Vangelo, tutto l'uomo. Fate questo, donando speranza e amo­revolezza a tutte le creatu­re, tutti i giorni, in tutti gli incontri.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della solennità dell'Ascensione del Signore (Anno A) domenica 1 giugno 2014