18 maggio 2014 - V Domenica di Pasqua: Non sia turbato il vostro cuore. Io sono la via, la verità e la vita

News del 15/05/2014 Torna all'elenco delle news

Il brano del Vangelo di Giovanni che leggiamo nella domenica V di Pasqua (Giov.14,1-12) è la prima parte di un capitolo che va letto interamente perché costituisce una precisa unità letteraria: per questo ne sono ben delineati l'inizio e la fine. Si tratta, in questo capitolo, di sottolineare un aspetto preciso del cammino di fede della comunità che è il soggetto del Vangelo di Giovanni L'inizio è un invito rivolto ai discepoli: "Non sia turbato il vostro cuore", e pure la fine: "Alzatevi, andiamo via di qui". La comunità giovannea vive la sua novità immersa nel "mondo", è una piccola comunità immersa nel grande mondo ed è normale che si senta turbata e impaurita nei suoi rapporti con la complessità del mondo: nel cap. 20,19 si parla di "porte chiuse del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei". Il cap.10 di Giovanni è una proposta precisa e completa di vita rivolta alla comunità dei discepoli di Cristo, perché, credendo in Dio e in Gesù, possa vincere le paure che la condizionano, non rimanere ferma e chiusa in se stessa, possa invece risvegliarsi, alzarsi e camminare nella storia portando a compimento il cammino di libertà che è proprio del popolo di Dio. E' una splendida visione della Chiesa che cammina nel mondo, piccola comunità che vive di Cristo risorto, libera, coraggiosa, in cammino verso una pienezza che egli già possiede. L'essenziale è che viva di Cristo: per questo lo scopo della pagina evangelica è stimolare la comunità perché conoscendo il mistero di Cristo, ne sperimenti la profondità e ne possa vivere.

"Non sia turbato il vostro cuore: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me": l'inizio del discorso ne è anche la sintesi. Si tratta di un intenso invito alla fede in Dio e nel suo inviato. "In Dio e in me": la fede è relazione personale con Gesù presente e sperimentabile, con Gesù risorto che rende sperimentabile Dio stesso. Gesù ha vinto la morte e per questo può dire: "Non sia turbato il vostro cuore", può riscaldare il cuore dei discepoli perché, di fronte alle difficoltà, ai drammi della storia, sentano che l'amore è più forte di ogni ostacolo.

La frase che segue, con un vocabolario ricco di parole che intendono dare un senso nuovo allo spazio (il "cammino", le "dimore", la "casa, il "posto"), è un annuncio del mistero pasquale, del quale vive la comunità cristiana: la morte di Cristo è il suo ingresso nella casa del Padre, ma non è l'allontanamento dai suoi discepoli, è l'inizio di una presenza nuova. La "casa del Padre" è l'infinito Amore di cui Gesù ormai vive e che egli comunica ai suoi discepoli perché anch'essi ne vivano, ciascuno in modo personale. La comunità cristiana, in questa luce, è la comunione di fratelli che vivono nel tempo e nello spazio, l'Amore nel quale Gesù è, ormai, in pienezza (Giov.13,1). E' meravigliosa la frase nella quale Giovanni dà una straordinaria descrizione dell'esperienza cristiana: "...verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi". Dalla risurrezione nasce la comunità delle persone afferrate da Cristo perché "stiano con Lui", "dove" Lui sta, e Lui sta "nel Padre": l'esperienza cristiana è l'uscita dalla propria solitudine per un cammino di comunione fraterna con Cristo per una infinita comunione con il Padre. L'esperienza cristiana assume i contorni di una comunità di persone concrete in relazione (la "comunione") tra loro, che sperimentano l'Amore di Cristo, un Amore inesauribile perché la sua fonte è Dio stesso: non si tratta di una esperienza psicologica o di una conquista frutto soltanto dell'impegno morale dei discepoli. La comunità cristiana non è una setta di adepti, ma una comunione di persone che compiono un cammino di libertà, sorprese esse stesse del dono che è fatto a loro.

"Del luogo dove io vado voi conoscete la via": proprio per questo Giovanni introduce la frase di Gesù che provoca la presa di coscienza della novità del cammino che egli propone. Non possiamo dimenticare quanto sia importante nella fede cristiana "l'immagine del cammino", tanto da caratterizzare i discepoli di Cristo, la cui prima denominazione è quella di "appartenenti a questa via": il cristianesimo nascente si è identificato con un cammino o piuttosto, come testimoniano in più momenti gli Atti degli Apostoli, come "il cammino".

Il discorso di Gesù è interrotto a questo punto dal primo intervento dei discepoli: in seguito ci saranno altri due interventi che da una parte manifestano la presenza della comunità che si sta costruendo e d'altra parte sottolineano la totale novità del "cammino".

Tommaso adesso interviene: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?" La risposta di Gesù è una nuova rivelazione, non di una idea, ma della sua identità, che risveglia nei discepoli l'esperienza della relazione personale con Lui: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Per tre volte ritorna il verbo "conoscere"e alla fine il verbo "vedere": è una frase densissima nella quale i verbi sono usati in modo preciso per descrivere l'esperienza della fede della comunità, che si riassume nella sintesi: "Io sono la vera via della vita". "Se siete entrati e rimanete (verbo "perfetto") nella conoscenza di me, conoscerete ("futuro") il Padre: ma da ora lo conoscete ("presente") e lo avete visto e continuate a vederlo ("perfetto"): la relazione con Cristo, la sua conoscenza è già conoscenza e visione del Padre, conoscenza inesauribile. L'incontro con Cristo suscita un desiderio e un dinamismo di conoscenza di Amore infinito. A questo punto è incontenibile la domanda di Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Questo permette a Gesù di presentare ulteriormente il mistero della propria identità: "Filippo, chi vede me vede il Padre". Gesù vive totalmente la dimensione filiale: la sua identità è la comunione con il Padre; le sue parole sono accolte dal Padre; le sue opere sono compiute in Lui dal Padre. Nel prologo Giovanni dice: "Dio nessuno lo ha mai visto: l'unigenito che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato".(Giov.1,18) Gesù è la "narrazione" della vita di Dio: il Figlio è la visibilità del Padre. Gesù vive della vita che accoglie dal Padre, ed è completamente rivolto verso i discepoli per manifestare a loro l'amore del Padre, perché essi pure vivano questa comunione.

Dalla concretezza dell'Amore conosciuto, visto, gustato dall'incontro con Cristo, nasce la comunità dei discepoli di Cristo: solo la concretezza dell'Amore che la comunità dei discepoli continua a gustare e a mostrare, rivela al mondo la presenza di un Padre che non abbandona i suoi figli ma vuole fare di essi una sola famiglia.

Omelia di mons. Gianfranco Poma 

 

Da Gesù la strada che arriva a Dio

Non sia turbato il vo­stro cuore, abbiate fiducia. Sono le pa­role primarie del nostro rapporto con Dio e con la vita, quelle che devono ve­nirci incontro appena a­perti gli occhi, ogni matti­na: scacciare la paura, ave­re fiducia. Avere fiducia (negli altri, nel mondo, nel futuro) è at­to umano, umanissimo, vi­tale, che tende alla vita. Senza la fiducia non si può essere umani. Senza la fe­de in qualcuno non è pos­sibile vivere. Io vivo perché mi fido. In questo atto u­mano la fede in Dio respi­ra.

Abbiate fede in me, io sono la via la verità e la vita. Tre parole immense. Che nes­suna spiegazione può e­saurire.

Io sono la via: la strada per arrivare a casa, a Dio, al cuore, agli altri. Sono la strada: davanti non si erge un muro o uno sbarra­mento, ma orizzonti aper­ti e una meta. Sono la stra­da che non si smarrisce. Shakespeare scrive «la vita è una favola sciocca recita­ta da un idiota sulla scena, piena di rumore e di furore, ma che non significa nul­la». Con Gesù la favola sen­za senso diventa la storia più ambiziosa del mondo, il sogno più grandioso mai sognato, la conquista di a­more e libertà, di bellezza e di comunione: con Dio, con il cosmo con l'uomo.

Io sono la verità: non in u­na dottrina, in un libro, in una legge migliori delle al­tre, ma in un «io» sta la ve­rità, in una vita, nella vita di Gesù, venuto a mostrarci il vero volto dell'uomo e di Dio. Il cristianesimo non è un sistema di pensiero o di riti, ma una storia e una vi­ta (F. Mauriac).

Io sono: verità disarmata è il suo muoversi libero, re­gale e amorevole tra le creature.

Mai arrogante. La tenerez­za invece, questa sorella della verità.

La verità sono occhi e ma­ni che ardono! (Ch. Bobin). Così è Gesù: accende occhi e mani.

Io sono la vita. Che hai a che fare con me, Gesù di Nazareth? La risposta è u­na pretesa perfino eccessi­va, perfino sconcertante: io faccio vivere. Parole enor­mi, davanti alle quali pro­vo una vertigine. La mia vi­ta si spiega con la vita di Dio. Nella mia esistenza più Dio equivale a più io .

Più Vangelo entra nella mia vita più io sono vivo. Nel cuore, nella mente, nel cor­po. E si oppone alla pulsio­ne di morte, alla distrutti­vità che nutriamo dentro di noi con le nostre paure, al­la sterilità di una vita inu­tile.

Infine interviene Filippo: «Mostraci il Padre, e ci ba­sta». È bello che gli aposto­li chiedano, che vogliano capire, come noi.

Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre. Guardi Gesù, guardi come vive, come a­ma, come accoglie, come muore, e capisci Dio e la vi­ta.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Liturgia e Liturgia della Parola della V Domenica di Pasqua (Anno A) 18 maggio 2014