11 maggio 2014 - IV Domenica di Pasqua: Gesù, il Buon Pastore che ci chiama per nome

News del 10/05/2014 Torna all'elenco delle news

Il buon pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome.

Non l'anonimato del greg­ge, ma nella sua bocca il mio nome proprio, il no­me dell'affetto, dell'uni­cità, dell'intimità, pro­nunciato come nessun al­tro sa fare. Sa che il mio nome è «creatura che ha bisogno». Ad esso lui sa e vuole rispondere.

E le conduce fuori. Il nostro non è un Dio dei recinti chiusi ma degli spazi aper­ti, pastore di libertà e di fi­ducia. E cammina davanti ad esse. Non un pastore di retroguardie, ma una gui­da che apre cammini e in­venta strade, è davanti e non alle spalle. Non un pa­store che pungola, incalza, rimprovera per farsi segui­re ma uno che precede, e seduce con il suo andare, affascina con il suo esem­pio: pastore di futuro.

Io sono la porta, Cristo è passaggio, apertura, porta spalancata che si apre sul­la terra dell'amore leale, più forte della morte ( chi entra attraverso di me si troverà in salvo); più forte di tutte le prigioni ( potrà entrare e uscire), dove si placa tutta la fame e la se­te della storia ( troverà pa­scolo).

E poi la conclusione: Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

Non solo la vita ne­cessaria, non solo la vita in­dispensabile, non solo quel respiro, quel minimo sen­za il quale la vita non è vi­ta, ma la vita esuberante, magnifica, eccessiva, vita che dirompe gli argini e sconfina, uno scialo di vita. Così è nella Bibbia: manna non per un giorno ma per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila per­sone, carezza per i bambi­ni, pelle di primavera per dieci lebbrosi, pietra roto­lata via per Lazzaro, cento fratelli per chi ha lasciato la casa, perdono per set­tanta volte sette, vaso di nardo per 300 denari sui piedi di Gesù In una piccola parola è sin­tetizzato ciò che oppone Gesù, il pastore vero, a tut­ti gli altri, ciò che rende in­compatibili il pastore e il ladro. La parola immensa e breve è «vita». Cuore del Vangelo. Parola indimenti­cabile. Vocazione di Dio e vocazione dell'uomo.

«Non ci interessa un divino che non faccia anche fiori­re l'umano. Un Dio cui non corrisponda il rigoglio del­l'umano non merita che ad esso ci dedichiamo» (Bonhoeffer).

Pienezza dell'umano è il divino in noi, diventare fi­gli di Dio: i quali non da sangue, non da carne, ma da Dio sono nati (cfr. Gv 1,13 ). Diventare consapevo­li di ciò che già siamo, figli, e non c'è parola che abbia più vita dentro; realizzarlo in pienezza.

E questo significa diventa­re anch'io pastore di vita per il piccolo, per il pur mi­nimo gregge (la mia fami­glia, la mia comunità, gli a­mici, cento persone con nome e volto) che Lui ha affidato alle mie cure. Vo­cazione di Cristo e dell'uo­mo è di essere nella vita da­tori di vita.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La voce del pastore

Gesù risorto si fa riconoscere in modi diversi, suscita e alimenta la fede dei suoi. Egli entra a porte chiuse, augura ripetutamente la pace e invia lo Spirito sugli apostoli, mangia con loro; a Tommaso fa toccare le ferite e mettere la mano nella piaga del costato, chiama per nome Maria e così si schiudono i suoi occhi. La voce di Gesù è la voce che chiama, la voce che suscita e orienta tutti coloro che lo seguono e si impegnano ad imitarlo nelle diverse vocazioni cristiane. Ha chiamato gli apostoli, ha scelto i discepoli, ma continua incessantemente a chiamare. Oggi Egli a tutti dice: "Io sono la porta delle pecore", vale dire l'ingresso nel Regno, l'ingresso nella Chiesa, l'ingresso nella divina Verità e, dichiarandosi buon pastore, aggiunge: "Egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori". È ancora la voce sicura e suadente di Gesù che chiama per indicare la via, la voce che conduce ai pascoli migliori, che amorevolmente risparmia e preserva dai pericoli. È una voce amica che crea comunione e intesa perfetta tra il pastore e le sue pecore. A noi chiede l'ascolto docile e la fede più ardente. La Parola del Signore infatti risuona in continuità nella nostra Chiesa. Una voce quella del buon Pastore, che ben si distingue da quella menzognera di coloro che sono ladri e briganti e non entrano per la porta, non si curano del gregge ma fuggono dinanzi al pericolo. La voce del Signore ora è la voce degli apostoli, oggi nella prima lettura ascoltiamo ancora quella forte e impavida di Pietro, e di tutti coloro che si modellano sull'impronta di Cristo, hanno assunto lo stesso timbro e che sono capaci non solo di professare, ma anche di testimoniare la fede fino al dono della vita. Il recinto dell'ovile è la Chiesa santa di Dio e le pecore sono tutti coloro che professano l'unica fede nel Cristo risorto. Vale la pena affidarsi totalmente alla guida sicura di un Pastore che ci ha amato fino alla croce e si è fatto garante della nostra salvezza presso il Padre celeste.

Oggi è la Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni.

La preghiera: perché ognuno scopra e realizzi il grande progetto di amore del Signore, ascolti la voce del Pastore buono e lo segua con gioia e generosità. La preghiera: perché il Signore ci conceda Sacerdoti, Suore, Missionari e faccia di noi dei veri collaboratori nella pastorale vocazionale.

Scriveva Papa Benedetto XVI per questa giornata nel 2011: "Specialmente in questo nostro tempo in cui la voce del Signore sembra soffocata da "altre voci" e la proposta di seguirlo donando la propria vita può apparire troppo difficile, ogni comunità cristiana, ogni fedele, dovrebbe assumere con consapevolezza l'impegno di promuovere le vocazioni. È importante incoraggiare e sostenere coloro che mostrano chiari segni della chiamata alla vita sacerdotale e alla consacrazione religiosa, perché sentano il calore dell'intera comunità nel dire il loro "sì" a Dio e alla Chiesa.

Occorre che ogni Chiesa locale si renda sempre più sensibile e attenta alla pastorale vocazionale, educando ai vari livelli, familiare, parrocchiale, associativo, soprattutto i ragazzi, le ragazze e i giovani - come Gesù fece con i discepoli - a maturare una genuina e affettuosa amicizia con il Signore, coltivata nella preghiera personale e liturgica; ad imparare l'ascolto attento e fruttuoso della Parola di Dio, mediante una crescente familiarità con le Sacre Scritture; a comprendere che entrare nella volontà di Dio non annienta e non distrugge la persona, ma permette di scoprire e seguire la verità più profonda su se stessi; a vivere la gratuità e la fraternità nei rapporti con gli altri, perché è solo aprendosi all'amore di Dio che si trova la vera gioia e la piena realizzazione delle proprie aspirazioni".

Omelia di don Roberto Rossi

 

So a chi ho dato fiducia 

La similitudine delle pecore e del pastore Gesù la racconta dopo lo scambio di battute con i Giudei i quali pretendevano di vederci bene da soli, senza bisogno della luce dei suoi insegnamenti e della guida dei suoi esempi.

A questo punto il Signore parla in maniera oscura anche volutamente, per confondere la pretesa autonomia ed egemonia di coloro che si dichiaravano capi e maestri. Il risultato infatti è che "Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro".

Eppure Gesù si stava riferendo proprio alla differenza tra un atteggiamento religioso genuino e invece la presunzione di ergersi a dottori e guide senza un previo mandato da parte di Dio.

Il popolo dei fedeli, constata Gesù, è capace per intuito di distinguere tra autentica semplicità e doppiezza fasulla, e perciò i capi che aveva non li gratificava né di una spontanea adesione né di generosa approvazione.

La soluzione c'è, dice il Signore, ed è affidarsi a Lui stesso. Nella condotta delle pecore che conoscono la voce del pastore e lo seguono, ma evitano di confondersi con un estraneo, Gesù traspone per immagini la bontà della sua missione salvifica.

Egli possiede tutte le caratteristiche del "pastore giusto" che i profeti avevano preannunciato: si interessa della felicità del suo gregge, conosce ciascuna pecore per nome e soprattutto entra nel recinto per la porta, ossia per la via diretta.

Essa era stata tracciata da Dio nella rivelazione dell'Antico Testamento e infatti la prima conoscenza che noi abbiamo della nostra salvezza viene proprio di lì. Esiste una corrispondenza tra la persona di Gesù e la sua anticipazione nelle Scritture sacre. Gesù accetta di passare per esse, cioè recupera quanto avevano detto i profeti e lo rende concreto.

In questo senso Egli stesso diventa la porta, perché attraversando quanto le Scritture avevano inquadrato, lo realizza al completo. Si entra nella salvezza solo attraverso la verità. Le Scritture sono una porta verso Cristo e Cristo è la porta verso la beatitudine.

Le Scritture svolgono anche la funzione di guardiano, interrogando chi ambisce al ruolo di pastore se ne è degno e invitandolo a mostrare le sue credenziali prima di permetterne l'accesso. Il portinaio è preposto a custodire la porta, come le Scritture a custodire le verità di fede che in Gesù aspettano il suo autore pratico.

Ma siccome la Scrittura è ispirata da Dio, potremmo dire che il Portinaio è lo stesso Spirito santo; è Lui infatti che ispira per il meglio le scelte dei fedeli e ne anima l'adesione incondizionata al Signore. Egli secondo l'insegnamento di Gesù introduce alla verità tutta intera.

Chi vuole entrare nel recinto delle pecore, cioè vuole avere l'approvazione del popolo di Dio, a prescindere da Cristo, è necessario che eluda il passaggio attraverso la porta, ossia che eviti il confronto con le Scritture e ignori l'azione dello Spirito santo.

Considerate le qualità di Gesù in se stesso e anche in rapporto alle Scritture e allo Spirito santo, ci restano da approfondire le caratteristiche delle pecore. Come mai il Signore ha scelto proprio questo animale per rappresentare i suoi fedeli discepoli?

La similitudine è radicata nella storia del popolo di Israele, a lungo dedito principalmente all'allevamento ovino. Le pecore sono animali sociali, più facili da trattare di cavalli muli o asini, prive della superbia dei primi, dell'ostinazione dei secondi e dell'ottusità degli ultimi.

Mancano anche dello slancio aggressivo del cane e sono più pulite di altri animali. Inoltre abbisognano di essere portate al pascolo e difese nei pericoli, ma sono utili al loro padrone.

In questo senso il Signore mette in guardia i suoi discepoli, alieni per definizione da ogni pensiero offensivo e propensi a dare credito al prossimo, a non fidarsi di chiunque, ma ad esaminare bene a chi ascoltare come maestro e seguire come guida.

Sarebbe meglio evitare le brutte sorprese. Quando è il danno ricevuto a marcare la differenza tra la via d'uscita e trappola, è già tardi.

Per sapere a chi aderire, oltre alla traiettoria di ingresso del pastore, che deve essere la più diretta e trasparente possibile, il Signore fornisce un altro criterio, quello della libertà interiore.

La fede è un dono che è sempre possibile rifiutare, essere cristiani comporta assumere atteggiamenti che di proposito e anche se imprudentemente si possono lasciare cadere. Non c'è nessuna costrizione nell'appartenere al gregge del Signore, perché il legame che tiene uniti i fedeli con il divino pastore e tra loro è solo l'amore.

E infatti a contatto con il Signore si esperimenta una pace e una realizzazione interiore che non si può trovare altrove. "Se uno entra attraverso di me... entrerà e uscirà e troverà pascolo." Gesù è veramente la possibilità di vita e di benessere per chi si affida a Lui. Il suo modo di proporsi corrisponde alle esigenze più autentiche dell'animo umano.

Perciò alla fine o si decide di essere pecore o si diventa lupi, perché come dice il proverbio "chi va col lupo impara a ululare", chi invece resta col Signore si dimostra mite, capace di perdono e sempre pronto a ricominciare nei rapporti sociali e di fede.

Omelia di don Daniele Muraro

 

Liturgia e Liturgia della Parola della IV Domenica di Pasqua (Anno A) 11 maggio 2014

tratto da www.lachiesa.it