4 maggio 2014 - III Domenica di Pasqua: la vera rivelazione del Risorto, Gesù non chiede, offre tutto di sé

News del 03/05/2014 Torna all'elenco delle news

La strada da Gerusalemme a Emmaus è metafora delle nostre vite, racconta sogni in cui avevamo tanto investito e che hanno fatto naufragio, bandiere ammainate alle prime delusioni. I due discepoli abbandonano la città di Dio per il loro villaggio, escono dalla grande storia e rientrano nella normalità del quotidiano. Tutto finito, si chiude, si torna a casa. Ed ecco Gesù si avvicinò e camminava con loro. Se ne stanno andando e lui li raggiunge. Con Dio succede questa cosa controcorrente: non accetta che ci arrendiamo, Dio non permette che abbandoniamo il campo. Con Dio c'è sempre un dopo.

Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele, invece... nella loro idea il Messia non poteva morire sconfitto, il Messia doveva trionfare sui nemici. Non hanno capito e lui riprende a spiegare. E interpretando le scritture, mostrava che il Cristo doveva patire. Fa comprendere quella che è da sempre l'essenza del cristianesimo: la Croce non è un incidente, ma la pienezza dell'amore.

I due camminatori ascoltano e scoprono una verità immensa: c'è la mano di Dio posata là dove sembra impossibile, proprio là dove sembrava assurdo, sulla croce. Così nascosta da sembrare assente, sta tessendo il filo d'oro della tela del mondo. Forse, più la mano di Dio è nascosta più è potente.

E il primo miracolo si compie già lungo la strada: non ci bruciava forse il cuore mentre ci spiegava le Scritture?

Trasmettere la fede non è consegnare delle nozioni di catechismo, ma accendere cuori, contagiare di calore e di passione chi ascolta. E dal cuore acceso dei due pellegrini escono parole che sono rimaste tra le più belle che sappiamo: resta con noi, Signore, rimani con noi, perché si fa sera. Resta con noi quando la sera scende nel cuore, resta con noi alla fine della giornata, alla fine della vita. Resta con noi, e con quanti amiamo, nel tempo e nell'eternità. No, lui non se n'è mai andato.

Lo riconobbero per il suo gesto inconfondibile: spezzare il pane e darlo. Lui che non ha mai spezzato nessuno, spezza se stesso. Lui che non chiede nulla, offre tutto di sé.

E proprio in quel momento scompare. Il Vangelo dice letteralmente: divenne invisibile. Non se n'è andato altrove, è diventato invisibile, ma è lì con loro. Scomparso alla vista, ma non assente. Anzi: «assenza più ardente presenza» (A. Bertolucci), in cammino con tutti quelli che sono in cammino, Parola che spiega e interpreta la vita, Pane per la fame di vita.

Forse la più bella preghiera da elevare a Dio è quella di Rumi: «ecco io carezzo la vita perché profuma di Te!». Lungo la strada, una carezza per chi prova dolore, un boccone di pane per chi sta per venir meno, e sentiremo profumo di Te.

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

La vera rivelazione del Risorto

I brani evangelici di queste settimane insistono sulle apparizioni di Gesù Risorto che sfidano l'incredulità sbigottita dei loro destinatari. La Prima Lettura, tratta sempre dagli Atti degli Apostoli, descrive l'organizzazione, l'andamento e l'intraprendenza missionaria del nuovo gruppo che si è appena costituito sul Cristo: i discepoli iniziano nel suo nome e per suo mandato a formare "un cuor solo e un'anima sola", condividendo gli uni gli altri tutto quello che possiedono, ciascuno depone ai piedi degli apostoli ogni provento e il ricavato di ogni affare concluso. Sempre più persone si uniscono alla comunità cristiana, anche in conseguenza dei discorsi proferiti da Pietro, che, come nel caso della lettura odierna, mostra tutte le ragioni della fede e della speranza nel Cristo Risorto. "Dio ha risuscitato quel Gesù che voi avete ucciso per mano di pagani" - Esclama risoluto alla folla Giudaica incuriosita dal fenomeno di Pentecoste. - "Perché non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere." Denuncia quindi accoratamente una divergenza fra l'agire dei Giudei che è stato di preclusione, diniego e refrattarietà e il reagire di Cristo, che di fronte alla morte ha mostrato di saper vincere. Guadagnando terreno non soltanto sulla morte medesima, ma anche sulla durezza di cuore e sull'ostinazione propriamente giudaica. E questo è sufficiente perché parecchi dei suoi interlocutori, prima increduli e accecati, adesso si sentano trafiggere il cuore e accettino di essere battezzati nel nome di Gesù.

L'effetto della loro conversione, come avverrà anche nelle occasioni successive, avviene però non in forza di argomentazioni elaborate convincenti, ma solamente grazie alla sua testimonianza veritiera ed efficace: Pietro ha visto il Cristo, ha interagito con lui, si è lasciato affascinare dal sul messaggio e dalla sua possente influenza di Risorto e adesso può a ragione parlane senza riserve, anche grazie alla "parresia" che gli proviene dallo Spirito Santo appena ricevuto.

Pietro si fa apportatore di un annuncio che consegue a un fatto accertato e reso credibile e non frutto di fantasia o dell'immaginario di qualcuno e la sua testimonianza è pertanto verace. Gesù Risorto per suo mezzo comincia a prendere vita nella persona dei discepoli e da questi in altri che poco alla volta si convertono. Nasce così il tempo della Chiesa, nel quale Cristo, asceso al Cielo e prodigo del dono dello Spirito Santo, continua a presenziare con i suoi sia pure nella forma invisibile e a perpetuare l'annuncio del Regno nell'iniziativa missionaria degli Undici.

Questi adesso si mostrano finalmente convinti della sua presenza certa ed effettiva, ma se guardiamo ai brani di vangelo, che descrivono la situazione immediatamente conseguente al fatto della tomba vuota, la prospettiva è assai differente. Gesù Risorto deve faticare non poco a farsi riconoscere tale dai suoi. Secondo Luca ha dovuto mostrare mani e piedi e consumare una porzione di pesce arrostito ed adesso riscontra la durezza di cuore di due discepoli con i quali decide di conversare in incognito durante il loro cammino. Parla loro delle Scritture e spiega nei dettagli i passaggi che si riferiscono al Messia: Mosè, Isaia, Zaccaria, i Salmi. Questi prefiguravano l'Agnello mansueto condotto al macello, il re Salvatore che cavalca un puledro figlio d'asina, il Servo sofferente che deve essere necessariamente riprovato e ucciso per poi risorgere e dare la vita a tutti.

La rivelazione che egli fa' ai discepoli di Emmaus è profonda e significativa, ben lontana dai segni tangibili delle altre apparizioni, ma interpellativa. Soprattuto diventa definitivamente convincente quando Gesù ripresenta un gesto già compiuto: lo spezzare il pane. Alla pari che nella Cena della sua auto consegna, dove aveva presentato se stesso nel suo Corpo e nel Suo Sangue agli apostoli, adesso gli occhi di questi discepoli vengono illuminati dall'atto con cui Gesù spezza il pane. Il che significa: dona loro tutto se stesso.

Vi è molta difficoltà nel riconoscere Gesù come compagno ordinario di viaggio e come comune riferimento di vita: lo si cerca dove in realtà meno egli si farebbe trovare, cioè nell'ebbrezza del portento o del miracolo, e comunque nello straordinario delle nostre esperienze, mentre il luogo nel quale egli si fa trovare realmente è la vita di tutti i giorni.

Quanto la rivelazione ufficiale ci riferisce di Gesù Risorto nella Scrittura e nella Tradizione della Chiesa dovrebbe già essere sufficiente a renderci soddisfatti e assecondare le nostre attese, perché è proprio nella Parola ispirata che egli si manifesta in tutta la sua potenzialità salvifica. Dovremmo essere molto soddisfatti nel riconoscere Gesù presente e operante anche nei Sacramenti (tutti) soprattutto quello della sua presenza reale e sostanziale, come pure negli ambiti della azione ecclesiale e della carità. E invece sembriamo abituati a tutti questi doni preziosi di grazia che egli ci ha elargito e accorriamo al primo grido sensazionalistico delle presunte visioni e apparizioni, dei miracoli o delle cosiddette rivelazioni private che - fatta eccezione per i casi accertati e riconosciuti - molte volte sono semplicemente il riflesso di fantasie e di desideri inconsci insoddisfatti.

Occorre riconoscere la profondità della novità di salvezza apportata da Cristo Risorto, immedesimarci nel mistero della sua presenza silenziosa ma effettiva, configurarsi nei suoi sentieri ben differenti dai nostri. E soprattutto rammentare a noi stessi che, per quanto possa sembrare inverosimile, colui che è Risorto è lo stesso Signore che era stato crocifisso e pertanto è necessario il passaggio, continuo, vitale, dalla morte alla vita, dall'oscurità alla luce, dal dolore alla gioia, che caratterizza di fatto la vita cristiana.

Omelia di padre Gian Franco Scarpitta

 

Due discepoli erano in cammino

"Essi narravano le cose accadute lungo il cammino e come si era rivelato a loro nello spezzare il pane". Questa frase che conclude il racconto dell'esperienza pasquale dei due discepoli di Emmaus (Lc.24,13-35), sintetizza in modo meraviglioso il senso dell'esistenza cristiana di ogni discepolo di Gesù Cristo. Che cos'è la novità cristiana se non vivere la normalità della vita, con le gioie e le tristezze, le speranze e le angosce, illuminata, interpretata, dall'evento di Cristo che si rivela nella condivisione del pane spezzato? Il cammino di Emmaus con Lui che ci cambia la vita, è la descrizione dell'esperienza di ciascuno di noi, quando arriviamo a dirci l'un l'altro: "Il nostro cuore non ci bruciava dentro mentre parlava a noi sulla strada e ci spiegava le Scritture?".

Luca ha costruito questo grande testo descrivendo una giornata, simbolo della vita di una comunità di persone che camminano nel mondo aprendosi gradualmente alla luce di Colui che può far passare dal non senso al senso, dalla tristezza alla gioia, pur rimanendo pienamente immersi dentro la quotidianità della vita.

La giornata descritta da Luca è "quello stesso giorno" che inaugura un tempo nuovo nel quale lo scorrere degli eventi è interrotto da un fatto imprevedibile, sperimentabile dentro la storia tanto che la riempie di senso, eppure non rinchiudibile dentro i confini dell'esperienza storica dell'uomo: la prima preoccupazione di Luca è proprio di sottolineare la concretezza dell'evento che sta narrando.

Due discepoli erano in cammino verso un villaggio di nome Emmaus... "Due discepoli": ritorna anche qui uno degli elementi caratteristici della narrazione di Luca, quello di mettere in scena due personaggi, uno dei quali è Cleopa, ma l'altro chi è? Potrebbe essere ciascuno di noi, partecipi degli stessi dubbi, delusioni di Cleopa. Un'altra ipotesi, suggestiva, è che si tratti di una donna (quella di Cleopa): la discussione animata opporrebbe la donna portata a credere a quello che le donne hanno riferito a Cleopa, decisamente più scettico. Il "cammino di Emmaus" diventa così il cammino della fede di una famiglia che arriva a riconoscere Lui nello spezzare quotidiano del pane, nella vita condivisa con Lui.

Si allontanano da Gerusalemme, la città della loro speranza, per ritornare al loro villaggio: lasciano la città del tumulto, dove si è consumato un dramma, per ritornare al villaggio della loro grigia e rassegnata abitudine.

"Conversavano tra loro di tutto ciò che era accaduto...": comincia così nella narrazione di Luca, il cammino della fede di due persone normali e al tempo stesso la raffinata novità della rielaborazione teologica che consiste nel trovare Dio nell'evento accaduto. La novità della fede cristiana non sta nel credere l'esistenza di Dio, ma nel credere l'Amore di Dio dentro l'evento concreto della storia: credere in un Dio che si incarna per Amore, che muore per Amore e che proprio annullandosi nella morte risorge alla pienezza dell'Amore. La fede cristiana è tutta nell'evento di Gesù di Nazareth, il Cristo, Figlio di Dio, evento concreto che ama sino alla morte e risorge per dar senso alla storia, per sempre, con l'Amore di Dio. La novità del messaggio evangelico sta nel narrare la ricchezza inesauribile della realtà piena di Dio, di un Dio-Amore che si incarna per innalzarsi perché Dio non è mai esauribile nella storia: è Gesù che muore e risorge, Lui che si fa riconoscere, ma non è più riconducibile alla forma di prima. È tutta la meravigliosa fatica dei Vangeli, qui di Luca, di trovare un linguaggio attraverso il quale dire una realtà nuova, quella di Gesù ormai offerto a tutti, che non è più quella sperimentabile attraverso la normalità dei sensi.

Così, "mentre i due discepoli camminavano e discutevano animatamente dell'accaduto, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro, ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo": Luca svela ai suoi lettori un fatto ancora nascosto ai due discepoli, perché mentre si aprono i loro occhi e il loro cuore, si aprano anche i nostri e si trasformi la nostra vita. Gesù si è fatto vicino e cammina con loro, ma loro sono ancora chiusi nella loro interpretazione dei fatti drammatici accaduti: sono ancora privi della "Parola", della luce per l'interpretazione piena dell'evento. Continua così la costruzione della via della fede cristiana: occorre accogliere la Parola perché l'evento appaia in tutto il suo senso.

Il cammino, adesso, si fa interiore per i due discepoli: ogni sfumatura è significativa nel cammino che il pellegrino sconosciuto fa compiere a loro. Li interroga, li provoca, acutizza il loro senso di smarrimento. Loro si fermano, e Lui fa in modo che esprimano formalmente il motivo della loro delusione in rapporto a Gesù di Nazareth: il loro modo di esprimere "l'evento Gesù", tutto al passato, mostra a quale livello di speranza umana essi lo abbiano vissuto. "Noi speravamo...": tutto è finito con l'ultima illusione: il sepolcro vuoto trovato dalle donne, visioni di angeli che dicono che Lui è vivo, verifica del sepolcro vuoto da parte di alcuni che però dicono: "Ma Lui non l'abbiamo visto".

Lui è lì, accanto a loro, ma loro "non lo conoscono": è ancora Lui, adesso, che comincia in loro la costruzione della nuova vita. Non lo vedono perché la loro intelligenza è limitata e il loro cuore è ancora chiuso agli orizzonti aperti della Parola di Dio. Ecco, la novità cristiana dilata gli orizzonti della comprensione delle Scritture, al di là delle attese del popolo di Israele: "Bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria". L'evento che alla mente umana appare come fallimento, fine di ogni speranza, quando è letto alla luce della Parola di Dio, non condizionata da precomprensioni umane, diventa la rivelazione piena della via di Dio che vuole comunicare la sua gloria all'uomo: l'evento pasquale di Gesù diventa la chiave per una lettura piena delle Scritture che parlano di un Dio che entra nella storia, mentre a sua volta la morte di Gesù mostra sino a che livello impensabile Dio è con noi perché noi possiamo entrare nella sua Gloria.

Ormai i due discepoli desiderano aprire la mente e il cuore. La solitudine diventa preghiera: "Resta con noi perché si fa sera e il giorno ormai tramonta". La fatica della giornata, simbolo della fragile, complessa drammaticità della vita, con una mente che cerca e un cuore assetato d'amore, è giunta al termine, ma nel buio che minacciava di oscurare la loro speranza si è aperto un varco, nella sera che discende si sta per accendere la luce. È bastato che lasciassero uscire il loro desiderio perché Lui, che in realtà desiderava rivelare il suo Amore per loro, rispondesse: "Egli entrò e rimase con loro", nella loro casa, nel loro cuore, nella loro vita. Adesso è a tavola "con loro": tutto ormai sottolinea questa comunione intima. Colui che camminava con loro, adesso è entrato e rimane con loro: "prendendo il pane, benedisse e spezzandolo, lo diede a loro". Sono i verbi della cena del Signore, espressivi del significato dell'evento-Gesù: esistenza accolta da Dio e a lui ridonata, spezzata per gli uomini e donata a loro.

Adesso i loro occhi si aprono, adesso conoscono chi è Colui che ormai li accompagna: conoscono nel fremito nuovo del loro cuore che l'evento che ai loro occhi ciechi sembrava fallimento, in realtà, per la loro mente aperta dalla Parola, diventa luce.

Tutto è il mistero di un Dio che vuole entrare in comunione con noi, riscaldando il nostro cuore con la follia di un Amore che si annienta per donarci tutto.

Omelia di mons. Gianfranco Poma

 

Liturgia e Liturgia della Parola della III Domenica di Pasqua (Anno A) 4 maggio 2014

tratto da www.lachiesa.it