27 aprile 2014 - Ottava di Pasqua o Domenica in albis o della Divina Misericordia: l'incredulità di Tommaso
News del 24/04/2014 Torna all'elenco delle news
Un tempo questa domenica, seconda di Pasqua, era chiamata "in albis", ossia, coloro che, per i loro gravi peccati, erano stati invitati dal vescovo ad una Quaresima di conversione e di penitenza, durante la Veglia pasquale partecipavano alla gioia della ritrovata innocenza con la riconciliazione e, quindi, come bambini appena nati, si rivestivano di bianche vesti. Il significato profondo era che, dopo una vita lontani o contro Dio, rinascevano, invitati a non perdere più la "veste dell'innocenza", che era il segno che, dalla comunità, non dovevano più essere considerati "morti alla grazia, per il peccato", ma "rinati a vita nuova", che è la Pasqua di quanti si convertono ancora oggi, accostandosi al Sacramento della penitenza, in particolare a Pasqua.
Lo stesso facevano quanti, dopo una preparazione quaresimale, e oltre, nella veglia pasquale ricevevano il Battesimo, "rinascita a vita nuova", dono della resurrezione di Cristo.
Forse oggi è venuta a mancare questa "festa di vita nuova", con il grave rischio di non partecipare alla resurrezione. E Dio solo sa quanto tutti noi abbiamo bisogno di ritrovare la gioia di quella veste bianca, noi, troppe volte "fuori strada", nel buio di una vita senza o contro Dio-Amore, in compagnia del solo egoismo, che è la morte del cuore. L'uomo ha bisogno di comprendere e di accogliere la Divina Misericordia.
Il grande Giovanni Paolo II intuì questa urgenza e, nel 2000, diede ufficialità al titolo di "Domenica della Divina Misericordia" per definire questa seconda Domenica di Pasqua. Quanto sono misteriose, ma sempre belle, le vie del Signore! Proprio in questa domenica la Chiesa, insieme con il Papa buono, Giovanni XXIII, proclama Giovanni Paolo II Santo!
La loro vita diventa modello di vita cristiana. Con il loro esempio diventano una testimonianza viva di quanto la Misericordia di Dio può compiere, quando rispondiamo con docilità e dedizione alla chiamata alla santità, che è per tutti, in ogni situazione di vita.
Non ci resta che abbandonarci alla Grazia, perché possiamo avere l'umiltà di affidarci alla Misericordia di Dio, che in Gesù, dalla croce, disse: "Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno". Sì, abbiamo sempre bisogno di essere perdonati, soprattutto quando rischiamo di vivere come se fossimo "fermi", insieme a quanti sotto la croce si prendevano beffe di Gesù, che proprio da quella croce vuole chiamarci alla gioia di una vita nuova. Chiediamo la grazia di non privarci mai della gioia di liberarci dal male, ridiventando "bambini nel cuore e nella vita": la gioia dei primi nostri fratelli nella fede, descritta dagli Atti degli Apostoli: "Quelli che erano stati battezzati erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere"(At. 2, 42-47). Oggi la Chiesa ci ripropone la profonda gioia degli Apostoli nel rivedere il Maestro, che deve essere anche la nostra. È facile immaginare i loro sentimenti. Incredibile per loro, poveri uomini, ma sicuramente innamorati di Gesù, anche solo pensare che sarebbe davvero risorto.
E Gesù risorto, apparendo, toglie ogni dubbio, ogni incertezza.(Gv. 20, 19-31) Davvero Tommaso rappresenta tutti noi, quando, trovandoci di fronte a tanti fallimenti o dubbi, o avversità, pensiamo sia impossibile che tutto possa cambiare e che, con la fede e la pazienza, si possa avverare la speranza.
"Ma noi, uomini di oggi - affermava Paolo VI, il 20 novembre del 1968 - facciamo opposizione: a che giova cercare Dio? Un Dio così nascosto? Non basta quel poco che se ne sa, o se ne crede di sapere? Non è meglio impegnare il nostro pensiero allo studio di cose più proporzionate alle nostre difficoltà conoscitive? La scienza? La psicologia? Cioè il mondo e l'uomo? Ci si dimentica che l'uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle supreme difficoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio: è fatto per Lui; ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l'inquietudine e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all'oceano dell'essere e della vita, della piena verità che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l'uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l'uomo stesso. La cosiddetta "morte di Dio" si risolve nella morte dell'uomo".
Oggi siamo chiamati tutti a farci illuminare dalla gioia e dallo stupore di Tommaso, che, dopo aver visto Gesù Risorto, non sa che balbettare: "Mio Signore, mio Dio!".
Il cristiano deve dare sempre una testimonianza di superiore spiritualità, dalla gioia di Cristo Risorto... Una gioia che nulla ha a che fare con le cosiddette gioie del mondo, che sono illusioni-delusioni che nulla hanno a che vedere con la gioia di Cristo. I cristiani sanno e sono tanti, che la nostra gioia interiore e la propria esteriorità sono di Cristo Risorto".
E' il continuo invito che ci fa Papa Francesco: "Ricordiamo: ogni incontro con Gesù ci cambia la vita e ogni incontro con Gesù ci riempie di gioia". Come è stato per Giovanni XXIII e per il caro Giovanni Paolo II, che Gesù lo hanno incontrato quaggiù ed ora vivono alla Sua Presenza, ma sicuramente senza mai dimenticare coloro che erano stati loro affidati dal Maestro. Oggi sono loro che, dopo aver camminato con noi e tra di noi, intercedono perché possiamo un giorno ricongiungerci con loro e vivere nella pienezza della Vita, che Gesù Risorto ci ha donato per l'eternità. Grazie, Signore Gesù, per tutti i tuoi doni. Non basterà l'eternità per ringraziarti.
Omelia di mons. Antonio Riboldi
Credere, via che dona vita e libertà
I discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei. Hanno tradito, sono scappati, hanno paura: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto allo sbando? E tuttavia Gesù viene. Una comunità dove non si sta bene, porte e finestre sbarrate, dove manca l'aria. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non ai margini, ma, dice il Vangelo «in mezzo a loro». E dice: Pace a voi. Non si tratta di un augurio o di una promessa, ma di una affermazione: la pace è. È scesa dentro di voi, è iniziata e viene da Dio. È pace sulle vostre paure, sui vostri sensi di colpa, sui sogni non raggiunti, sulle insoddisfazioni che scolorano i giorni. Poi dice a Tommaso: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco.
Gesù va e viene per porte chiuse, nel vento sottile dello Spirito. Anche Tommaso va e viene da quella stanza, entra ed esce, libero e coraggioso. Gesù e Tommaso, loro due soli cercano. Si cercano.
Tommaso non si era accontentato delle parole degli altri dieci; non di un racconto aveva bisogno ma di un incontro con il suo Maestro. Che viene con rispetto totale: invece di imporsi, si propone; invece di ritrarsi, si espone alle mani di Tommaso: Metti, guarda; tendi la mano, tocca.
La risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare: quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell'amore, e allora resteranno eternamente aperte. Su quella carne l'amore ha scritto il suo racconto con l'alfabeto delle ferite, indelebili ormai come l'amore stesso.
Il Vangelo non dice che Tommaso abbia davvero toccato, messo il dito nel foro. A lui è bastato quel Gesù che si ripropone, ancora una volta, un'ennesima volta, con questa umiltà, con questa fiducia, con questa libertà, che non si stanca di venire incontro. È il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare. Allora la risposta: Mio Signore e mio Dio. Mio come il respiro e, senza, non vivrei. Mio come il cuore e, senza, non sarei. Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Grande educatore, Gesù. Educa alla libertà, ad essere liberi dai segni esteriori, e alla serietà delle scelte, come ha fatto con Tommaso. Che bello se anche nella Chiesa, come nella prima comunità, fossimo educati più alla consapevolezza che all'ubbidienza; più all'approfondimento che alla docilità. Queste cose sono state scritte perché crediate in Gesù, e perché, credendo, abbiate la vita. Credere è l'opportunità per essere più vivi e più felici, per avere più vita: «ecco io carezzo la vita, perché profuma di Te!» (Rumi).
Omelia di padre Ermes Ronchi
Mio Signore e mio Dio!
Il Vangelo di Giovanni, dall'inizio alla fine, è la rivelazione progressiva di Gesù: all'inizio presenta Gesù come il Logos divino preesistente e alla fine, al termine del percorso del Vangelo, mette sulle labbra di Tommaso, la stessa proclamazione: Gesù è "Signore e Dio".
Tutto ha inizio da quando Giovanni, il Battista, guardando Gesù che passava, lo ha indicato a due dei suoi discepoli: "Ecco l'agnello di Dio", ed essi andarono dietro a Gesù. Comincia così una catena di testimoni, trasmettitori di un annuncio, che non si ferma più, lungo l'arco di tutto il Vangelo.
Gesù, voltandosi, chiede ai due che lo seguono: "Che cosa cercate?". Seguono Gesù, perché Giovanni lo ha indicato loro, ma adesso, subito, è Lui che li interpella: seguire Gesù è un cammino di verità, di libertà, di realizzazione profonda. "Maestro, dove dimori?": anche la loro risposta indica che essi cercano il luogo dove potranno trovare la pienezza della vita e che essi associano questo cammino alla persona di Gesù. "Venite e vedrete": Gesù offre loro un cammino, un'esperienza, una rivelazione nella quale sperimenteranno l'incontro con Lui come risposta alla loro domanda. "Essi, andarono, videro e rimasero con Lui, tutto quel giorno".
Il cap.20 di Giovanni è il punto d'arrivo, il compimento, la risposta definitiva alla domanda che Lui pone, oggi a noi: "Che cosa cercate?", "Chi cercate?". "Maestro, dove dimori?": oggi, a noi, egli mostra dove è radicata la sua vita. "Andarono, videro, rimasero con Lui": a noi, discepoli di oggi, svela definitivamente se stesso, perché possiamo scoprire il senso pieno della nostra vita e rimanere con Lui dove Lui è veramente.
I discepoli lo hanno seguito, hanno cominciato a vedere la sua gloria, nei segni che egli faceva: vedere la gloria dentro la fragilità quotidiana, veder Dio in tutte le cose, significa credere, secondo Giovanni. L'ultimo segno è la Croce: veder Dio nell'annientamento totale, nell'estrema umiliazione, vedere l'Amore nel dono totale di fronte al quale si svela l'estrema fragilità peccatrice dell'uomo, accogliere l'Amore che perdonando ricrea. Che cosa cerca l'uomo se non l'Amore? E che cos'è l'Amore se non l'annullarsi perché l'amato viva? E chi può amare così, se non Dio solo, che davvero si annulla perché l'uomo viva? E questo è Gesù, non un'utopia impossibile, un sogno irrealizzabile, ma Dio che si incarna, Dio dentro la storia, la Gloria dentro la carne e la carne che entra nella Gloria. Questo è Gesù che ai discepoli che vanno con Lui, fa compiere il cammino con Lui dentro l'umanità, per aprire gli spazi alla Gloria, per introdurli "là dove Lui è" e renderli partecipi della vita del Padre.
Il segno della Croce: la realtà drammatica della Croce è segno della Gloria di Dio. Gesù è morto, è disceso nel sepolcro: lì sta la Gloria di Dio. Ma se è solo il ricordo di un Amore finito vuol dire che davvero non c'è che la delusione di un desiderio che fallisce.
E tutto invece riprende: la catena delle testimonianze sembrava finita nella vittoria della banalità del male. Sembrava che l'unica cosa che rimane fosse il pianto accanto a una tomba: e invece tutto è ricominciato. Certo è bastato il desiderio e il pianto di una donna che aveva creduto l'amore perché Dio cominciasse a svelare la potenza dell'Amore che diventa infinito quando muore.
Cercava l'Amore, Maria di Magdala: cercava un corpo morto su cui piangere. Trova un sepolcro vuoto: nulla, neppure un corpo morto! Bisognava che l'Amore fosse così totale, il Dono così infinito! E riprende la corsa: come nelle nozze a Cana di Galilea, è una donna che si accorge del vuoto ma ricomincia a cercare la vita. "Venite e vedrete!": tutto ciò che accade è attorno a questi due movimenti. "Venire" e "vedere", nella pluralità delle modalità espresse dai diversi verbi greci. È il cammino della fede: non restare fermi, camminare dentro se stessi, desiderare un incontro, trovare l'Amore. Bisogna entrare fino in fondo dentro il vuoto dell'uomo: poi Lui si fa incontro.
"Ho visto il Signore": è l'esplosione di gioia di Maria che ha riconosciuto la voce di Colui che, chiamandola per nome, le ha riempito il cuore di Amore e di senso la vita. È Lui, il Maestro, è vivo: al termine del suo pianto, della sua ricerca, del suo desiderio di trattenerlo, è Lui che si fa incontro, nuovo, Lui che morendo le ha dato tutto, scomparendo fino a non lasciare nulla neppure nel sepolcro, può entrare nel suo cuore e donarle un Amore che la fa vivere.
Adesso lei "ha visto" il segno, ha visto l'Amore, "ha visto il Signore". Adesso Maria di Magdala è la prima testimone: adesso che il cuore di una donna l'ha accolto, la sua presenza può manifestarsi e la sua vita, quella nuova può fare nuova l'umanità.
È ancora sera per i discepoli di Gesù, hanno ancora paura: non basta l'annuncio di Maria. "Venne Gesù e stette con loro": è l'annuncio di un fatto, sperimentato dai discepoli, Lui "venne" e "si fermò con loro". Ormai Lui è con loro per sempre, " dice" infatti, al presente: "Pace a voi". La sua Parola entra nel loro cuore impaurito e lo trasforma: Colui che ha attraversato la morte, tramette la pace di cui ormai vive, a coloro che sono ancora nella paura. Le mani e il fianco sono il segno della sua morte: ma adesso è vivo, è lì, nuovo, non è un fantasma. Lo "vedono", e sono pieni di gioia. Adesso i discepoli, nella sua pace, possono vivere la sua vita, non per i loro sforzi, ma perché Lui è con loro: con il soffio del suo Spirito, comincia l'umanità nuova, Lui li guiderà, li sosterrà, farà di loro la via per un'umanità liberata dal peccato. Tutto è gioia, in quella sera, del primo giorno di una creazione nuova: l'Amore ha vinto davvero la morte, il Perdono ha vinto il peccato...Eppure, continua la storia, continua la fragilità amata da Cristo.
Quella sera, non c'era Tommaso, uno dei Dodici: il Vangelo sottolinea, "uno dei Dodici". Il Vangelo di Giovanni parla poco dei "Dodici", non dà neppure la lista, ne parla quattro volte, per sottolineare una fedeltà vacillante o tradita. Anche Giuda è "uno del Dodici": Tommaso è assente quando dovrebbe essere con gli altri perché non accetta la prima testimonianza di Maria. E adesso non accetta la testimonianza della comunità nascente, che per Giovanni ha un valore essenziale.
Tommaso, detto Didimo, è "gemello", di chi? Alla fine di ciascuno di noi, del non credente che rimane in ogni credente.
Otto giorni dopo, viene Gesù, e Tommaso è presente: tutta l'iniziativa viene da Gesù che rivolge di nuovo la parola ai suoi discepoli: "Pace a voi", e poi a Tommaso: "Prendi il tuo dito, guarda le mie mani, prendi la tua mano e affondala nel mio costato e non essere senza fede, ma credente". Sono parole di un realismo meraviglioso: Gesù si offre al suo discepolo che aveva detto: "Se non vedo, se non tocco..."
Omelia di mons. Gianfranco Poma
Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Pasqua (Anno A): Domenica 27 aprile 2014
tratti da www.lachiesa.it