13 aprile 2014 - Domenica delle Palme: entriamo nella grande Settimana Santa con lo sguardo rivolto al Crocifisso.

News del 10/04/2014 Torna all'elenco delle news

Dopo essere passati dal deserto delle tentazioni, saliti al monte della Trasfigurazione, affacciati sull'orlo dell'antico pozzo di Sicar, aver gustato la luce di Gesù in compagnia del cieco nato e il dono della vita nuova con Lazzaro e le sue sorelle, ora siamo arrivati alle porte della santa settimana.

Con gli ulivi stretti tra le mani ascoltiamo il racconto dell'ingresso trionfante di Gesù a Gerusalemme e ci incamminiamo con la folla e i discepoli a varcare le mura della città santa. Chissà quante aspettative trasudano dal cuore dei discepoli e quali sogni di gloria e di potere albergano nelle fantasie dei dodici!

Sanno che Gesù è messia, hanno contemplato più volte la sua regalità, ma ancora non sanno che essa si svelerà in una forma inaudita e sovversiva.

E' vero: Gesù è re, ma è un re tutto al contrario, un re che sovverte le attese e capovolge le logiche di potere.

E' un re che entra a "prendere possesso" della capitale terrena del suo Regno, Gerusalemme, non con un cocchio regale trascinato da eleganti destrieri, ma con un asinello dato in prestito.

E' un re che tra il tradimento di Giuda e l'annuncio del rinnegamento di Pietro, dona tutto se stesso nel pane spezzato e nel calice della nuova alleanza.

E' un re che si spoglia delle sue vesti, prende un asciugamano e tra gli sguardi sbigottiti dei presenti si mette in ginocchio e inizia a lavare i piedoni zozzi dei dodici. E' un re fragile e indifeso come ogni uomo.

E' un re solo, abbandonato dai suoi amici.

E' un re senza trono e senza scettro, nudo e irriconoscibile, appeso ad una croce.

E' un re che ha bisogno di un cartello per essere riconosciuto: "Costui è Gesù, il re dei Giudei" (v.37)

L'evangelista Matteo colloca al cuore di questa regalità capovolta, al centro della scandalo della Croce, il germoglio della vittoria, l'intervento di Dio: il velo del tempio si squarcia, la terra trema, le rocce si spezzano e i sepolcri si aprono e molti corpi risuscitano. L'evangelista anticipa nell'evento della Croce la potenza della resurrezione, l'esplosione della vita nuova.

Come Marco anche Matteo ricorda che i soldati pagani riconoscono che il Crocifisso è il Figlio di Dio.

Il velo cade. Dio non è più irraggiungibile o nascosto.

Dio è lì, appeso per amore alla Croce e in questa infinita distanza tra la sua rivelazione e la nostra attesa, avviene il riconoscimento.

Non i discepoli o la folla dei seguaci, nemmeno le donne, ma un centurione e quelli che con lui facevano la guardia alla Croce, riconoscono in Gesù Crocifisso il Figlio di Dio.

Entriamo nella grande Settimana Santa con lo sguardo rivolto al Crocifisso.

Troviamo del tempo per fermarci, per allungare lo sguardo oltre quel velo squarciato e per squarciare pure le nostre resistenze e le nostre zavorre.

Lasciamoci condurre dal ritmo della liturgia per contemplare la passione di Gesù e arrivare pronti ad accogliere l'annuncio del Risorto.

Su YouTube potete trovare le video-meditazioni per il Triduo Santo, per rintracciarle basta digitare il titolo: "Lo spettacolo della Croce" per il Venerdì Santo, "Il sepolcro vuoto" per la Domenica di Resurrezione e, a breve, anche "Le mani di Gesù e i piedi dei discepoli" per la Coena Domini del Giovedì Santo.

Omelia di don Roberto Seregni (La sovversione del Crocifisso)

 

Cristo muore per amore dell'uomo

In questa settimana per due volte la Chiesa si rac­coglie nella lettura della Passione di Cristo, del patire di un Dio appassionato. La lettura più bella e regale che si possa fare, dove tutto ruo­ta attorno alle due cose che toccano il nervo di ogni vita: l'amore e il dolore, la lingua universale dell'uomo. Lo ha capito per primo, sul Calva­rio, non un discepolo, ma un estraneo. Alla morte di Gesù, infatti il primo atto di fede è quello di un lontano, un cen­turione pagano: davvero co­stui era figlio di Dio. Non da un sepolcro che si apre, non dallo sfolgorio di luce, di gior­ni nuovi, di un sole mai visto, no, ma davanti e dentro la te­nebra del venerdì, vedendo­lo sulla croce, sul patibolo, sul trono dell'infamia, un verme nel vento, questo sol­dato esperto di morte dice: era figlio di Dio. Morire così è rivelazione. Morire d'amo­re è cosa da Dio. Il nostro Dio è differente. Perché è salito sulla croce? Per essere con me e come me. Perché io possa essere con lui e come lui.

Essere in croce è ciò che Dio, nel suo amore, deve all'uo­mo che è in croce. L'amore conosce molti doveri, ma il primo di questi doveri è di es­sere insieme con l'amato, co­me una mamma quando il figlio sta male... e vorrebbe prendere su di sé il male del suo bambino, ammalarsi lei per guarire suo figlio. Dio en­tra nella morte perché là va ogni suo figlio. Per trascinar­lo fuori, in alto, con sé. La croce è l'abisso dove Dio di­viene l'amante. È qualcosa che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato. Lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo di­stogliere lo sguardo. Poi giro ancora la testa e riguardo la croce e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti a­mo. Proprio me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo.

C'erano là molte donne che stavano ad osservare da lon­tano.

Piccolo gregge sgo­mento e coraggioso: la chie­sa nasce dalla contemplazio­ne del volto del Dio crocifisso (C.M.Martini), la chiesa na­sce in quelle donne, che han­no verso Gesù lo stesso sguardo di amore e di dolo­re che Dio ha sul mondo. Le prime «pietre viventi» sono donne. Per diventare chiesa, dobbiamo anche noi sostare con queste donne accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora oggi crocifisso nei suoi fratelli, di­sprezzato, umiliato, ricaccia­to indietro, naufragato. Con santa Maria e le donne sen­tiamo nostra la passione di ogni figlio dell'uomo: il mon­do è tutto una collina di cro­ci. Restiamo accanto, a por­tare conforto, speranza, pa­ne, umanità, vita. Solo così sentiremo a Pasqua che «ro­tola armoniosamente la no­stra vita nella mano di Dio» (H. Illesum).

Omelia di padre Ermes Ronchi

 

Un re che regna dalla croce

Con la celebrazione della Domenica delle Palme diamo inizio alla settimana santa, apriamo la via verso il triduo pa­squale, verso quei riti che contengono il fuoco vero che riscal­da i cuori.

Come ci prepariamo ad accogliere il fuoco di Dio, ad ac­cogliere Gesù che vuole entrare nella nostra vita, nella nostra storia, nella nostra città? Come entriamo in questa santa set­timana che ha cambiato e ancora sta cambiando la storia del mondo?

La Chiesa ci fa entrare cominciando con un'acclamazio­ne a Cristo come vincitore e come re. E possiamo domandarci se ciò sia davvero opportuno, dal momento che nei prossimi giorni faremo memoria dei dolori del Signore. Ma, in realtà, la passione di Gesù sarà oggetto non solo e non principalmente della nostra compassione e del nostro cordoglio, bensì anzitut­to della nostra gioia, della gioia per la sua vittoria di Signore, di re che regna dalla croce.

La liturgia non conosce la malinconia. Non si tratta di lamentarci per il fatto che gli uomini sono stati cattivi e han­no trattato male Gesù. Noi celebriamo la sua passione come vittoria, perché lui ha vinto la morte e la paura della morte. Lungo tutta questa settimana, la Chiesa rivivrà il mistero della passione e risurrezione di Cristo come mistero di vittoria e di salvezza per l'uomo. In questa domenica delle palme contempliamo Gesti che entra deliberatamente e coraggiosamente nella città che sta tramando contro di lui. Nel giovedì santo contempleremo Gesti nel cenacolo, che presenta il pane e il vino come segno della sua decisione di dare la vita per noi.

Nel venerdì santo staremo con Maria e l'apostolo Giovan­ni sotto la croce, per sperimentare l'amore salvifico di Gesti fino all'ultima goccia di sangue.

Nel sabato santo contempleremo il sepolcro dove Gesti si è lasciato rinchiudere per sigillare il suo amore per noi oltre i limiti dell'esistenza umana.

Nella notte di Pasqua risentiremo il grido dell'alleluia, grido che è già nascosto e implicito in tutti i canti di questa settimana perché nella vita, morte e risurrezione di Cristo ci è dato di vivere con lui in eterno.

È dunque la settimana della vittoria della croce che noi incominciamo a celebrare oggi, sostando in questo inizio su quell'anticipo della vittoria di Cristo che è l'ingresso in Geru­salemme.

Omelia di don Roberto Rossi

 

Portiamo Gesù

Oggi Gesù entra facendo festa in Gerusalemme, dove rivelerà dal grandezza dell'amore di Dio per l'uomo, consegnandosi ai suoi nemici. Decide di entrare montando una cavalcatura umile quale è l'asino.

Oggi quell'asino, che porta Gesù nel mondo, che lo rivela, che parla di lui, è la Chiesa e siamo noi, come diceva il Cardinale di Parigi Lustiger, e questa è una bella immagine perché ci ricorda che Gesù non vuole essere portato da cavalcature potenti, ma piccole e umili.

L'asino risulta simpatico a tutti perché è piccolo, senza pretese, ma di fatto porta Gesù a Gerusalemme e allo stesso modo e con lo stesso spirito anche noi proviamo a portare Gesù nel mondo con le nostre processioni semplici ma simpatiche, con le nostre liturgie umili ma sentite, con tutti in nostri limiti e difetti, portiamo Gesù. Questa è la nostra missione e segno di gratitudine per quello che viene a fare per noi in questa Settimana Santa.

Omelia di padre Paul Devreux

 

Liturgia e Liturgia della Parola della Domenica delle Palme (Anno A) 13 aprile 2014

 

Tutte le foto della processione guidata dall'arcivescovo Morosini sono di Adriana Sapone.