22 dicembre 2013 - IV Domenica di Avvento: come S. Giuseppe, lasciamoci visitare da Dio!
News del 21/12/2013 Torna all'elenco delle news
Per mezzo del profeta Isaia, Dio invita il re Acaz di Giuda a chiedere un segno "dal profondo degli inferi oppure dall'alto". Cioè un segno della presenza di Dio in una situazione ordinaria. In parole povere, Dio chiede ad Acaz di avere fede in Lui e di chiedere il suo intervento in quella situazione contestuale delicata che era la guerra Siro Efraimita. Succedeva che dal Nord il popolo assiro stava minacciando Israele, la Siria e il Regno di Giuda con un'imminente invasione e i primi due popoli suddetti, Israele (detto anche Efraim) e la Siria si stavano organizzando insieme per marciare contro il popolo invasore. A tale coalizione avevano invitato ad associarsi anche il re Acaz di Giuda, che a sua volta aveva però rifiutato di allearsi con loro. Di conseguenza Israele e Siria tendevano a muovere guerra contro il regno di Giuda al fine di estromettere il re Acaz e far sorgere un monarca che stesse alle loro richieste. Ma il re Acaz per prevenire tali invasione dei due popoli vicini, farà poi atto di sottomissione e di servizio al re di Assiria, con il quale si umilierà. Questi allora interverrà e porrà l'assedio solamente a Israele, Siria e Idumea.
Mentre si svolgono tutti questi fatti, Acaz viene perciò invitato ad aprirsi fiduciosamente a Dio, a chiedergli un "segno" della sua presenza e della sua vicinanza e pertanto ad aver fede indefettibile in Lui. "Chiedi un segno" gli dice il Signore per mezzo del profeta, ma non un segno straordinario o miracoloso, ma solo una semplice manifestazione che Dio è con te.
Sarà lo stesso Signore a promettere e a rivelare tale "segno", poiché Acaz avrà come figlio Ezechia, che diventerà poi a sua volte un monarca impeccabile. "La vergine concepirà e darà alla luce un figlio che sarà chiamato Emmanuele, Dio con noi. Tale è l'appellativo che si da ad Ezechia. Ciò nondimeno, il profeta Isaia va ben oltre e usa lungimiranza, poiché tale rivelazione ha carattere messianico: il "figlio della vergine" è anche il Salvatore, il Messia che nascerà (di fatto) dalla Vergine Maria a Betlemme. Il profeta Isaia in questo e in altri passi del suo scritto profetizza la nascita del futuro Re universale dei Giudei, il vero re dei re,, nonché vero Messia: egli nascerà dalla Vergine a Betlememe.. L'evangelista Matteo delinea la realizzazione di quanto profetizzato nel riportare la genealogia che conduce di generazione in generazione da Abramo a Davide fino allo stesso Gesù Cristo, a sottolineare la vera discendenza davidica del Cristo e concludendo con efficacia che è proprio Gesù l'Emmanuele, Dio - con - noi.
In Gesù Cristo nato a Betelemm si realizzano tutte le promesse rivolte all'antico Israele ee si dischiudono le porte della vera gioia dell'uomo: Dio si incarna e prende forma mortale per tutti gli uomini. Cosicché ciascuno potrà esultare e gioire prendendo atto della bellezza e dell'importanza di un Dio che si concede al punto da dare il suo unico Figlio.
Scrive Sant'Agostino: "Svegliati o uomo, perché Dio per te si fatto uomo. L'incarnazione e l'ingresso nella storia di Gesù, che volentieri spoglia se stesso per rendersi partecipe delle miserie e delle precarietà dell'uomo, costituisce motivo di gioia e di esultanza perché l'uomo viene davvero raggiunto da Dio e solo in lui potrà riporra la propria fiducia in tutti i domani che gli si porranno davanti. La certezza che in Cristo Dio è veramente il Dio - con noi infonde coraggio e e fiducia, dissipando malanimi inquietitudini.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta ("Chiedi un segno")
Giuseppe, uomo giusto
Domenica scorsa abbiamo riflettuto insieme sul fatto che tra rassegnazione e speranza non può esserci relazione di proporzionalità diretta; in altre parole, ci si rassegna quando non si spera più che qualcosa (o qualcuno) cambi.
Giovanni Battista è il testimone di una fede non ancora chiara e convinta; è un uomo tormentato, che tuttavia non resta inerte di fronte al contrasto tra la profezia del Messia che egli stesso aveva additato nella persona di Gesù e la vicenda reale del figlio del falegname.
Eccoci dunque al falegname, padre (putativo) di Gesù: senza dubbio, anche lui fu tormentato dall'impulso a far valere la giustizia umana-ma-non-solo-umana, la legge di Mosè, e una legge superiore, che conteneva il Decalogo, ma andava oltre, portandolo a compimento: la Legge della misericordia di Dio. Un momento: che misericordia poteva avere sto poveruomo nei confronti della sua fidanzata? era incinta e non di lui! pochi giorni prima delle nozze... Proviamo a metterci nei panni di un giovane, prossimo ormai al matrimonio, che riceve questa bella notizia dalla sua promessa sposa: "aspetto un bambino!".
Giuseppe era buono, ma non era certo un santo! con tutto il rispetto, santo lo sarebbe diventato, senza saperlo, e forse senza neppure volerlo, dopo il suo ?sì' detto all'angelo, non a parole, ma con i fatti. E poi, si fa presto a parlare di misericordia! Che bisogno aveva Maria della misericordia di Giuseppe? Aveva mica tradito la sua fiducia! sì, cioè no! insomma, Maria è immacolata, non può commettere peccati! Maria è illibata, vergine prima del parto, vergine durante il parto e vergine anche dopo il parto! Piccolo particolare: questo lo sappiamo noi, Giuseppe mica lo sapeva! Non credo che l'abbia portata da un ginecologo per avere le prove che la ragazza non gli aveva mentito... con tutto il rispetto!
A meno che, la misericordia sia un atteggiamento che si assume anche a prescindere dal peccato, e dal necessario perdono che deve essere donato al peccatore.. In verità, la verità è tutta nascosta in quell'aggettivo, con il quale Matteo evangelista definisce Giuseppe: era giusto. Ecco che ritorna la questione della giustizia: si può essere giusti secondo gli uomini, oppure si può essere giusti secondo Dio. La giustizia umana scatta per così dire come una mannaia su chi trasgredisce la legge: il colpevole va condannato. La giustizia di Dio, invece, non è semplicemente il provvedimento preso a fronte di una trasgressione: la giustizia di Dio è la misericordia! e la misericordia è uno stile di vita, una scelta di vita; la misericordia non è modulata dal rigore del codice di procedura penale, o civile... la misericordia ha come sua unità di misura l'amore! la misericordia è anzitutto buonafede: tu dichiari che non mi stai mentendo, e io ti credo!
La misericordia interviene quando il parlare umano non è più sufficiente, quando non è questione di do ut des, quando non si tratta semplicemente di obblighi, di diritti e di conseguenti doveri...
Il discernimento secondo coscienza chiede di più, si muove entro parametri più vasti, o forse esonda da tutti i parametri, e brama assumere lo sguardo stesso di Dio.
Ecco, forse Giuseppe intuì che non poteva più guardare Maria secondo gli occhi di un giovane, di uno sposo... ma secondo gli occhi di Dio: "Ha guardato l'umiltà della sua serva", canta il Magnificat. Accidenti, perché il Vangelo non riporta anche il Cantico di Giuseppe? Eppure il sì di Giuseppe non fu meno determinante di quello di Maria, ai fini della salvezza compiuta in Gesù! Accettare di far da padre a uno che non è tuo figlio naturale, non è mai facile; ancor più difficile accettare di far da padre a un bambino, destinato a chiamarsi ? Gesù' - Dio salva - o Emmanuele' - Dio con noi -. Dal momento della nascita, fino alla fine, tanto Maria che Giuseppe entrarono nella parte dei genitori di Gesù e la portarono avanti senza esitazione, sopportandone tutta la fatica, ripeto, fino alla fine.
Proviamo a liberare la nostra immaginazione dai racconti di sapore devozionale che descrivono un san Giuseppe già vecchio - qualcuno pensa che fosse addirittura vedovo - che prende in sposa una giovane Maria e muore prematuramente, per il solo fatto che, dopo la vicenda del ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempo, nel Vangelo non si parla più di lui. Pensando queste cose, credendo queste cose, non gli facciamo un bel servizio, credetemi!
Giuseppe fu un buon marito e un buon padre, come lo si poteva essere ai suoi tempi.
Soprattutto, Giuseppe fu un uomo timorato di Dio.
La fede di Lui è esemplare, il paradigma della fede di un uomo semplice, che non perde tempo a fare troppe domande, e dice di sì, senza ?se' e senza ?ma'.
Ma, attenzione: Giuseppe dice di sì non solo alla richiesta di paternità che Dio gli aveva presentato senza troppa delicatezza, per la verità - la domanda di paternità venne formulata dalla semplice constatazione di un fatto, lo stato interessante della fidanzata -... Giuseppe disse di sì alla sua propria consacrazione! Sapete come si dice in latino consacrare? sacrum facere, da cui deriva sacrificio...
Credo che abbiate capito. Non c'è bisogno di aggiungere altro sulla santità di Giuseppe...
Quando Gesù ci passa accanto e intercetta le nostre piccole vite, Dio ci chiede il sacrificio di consacrarci interamente a lui. Non si tratta soltanto di farsi prete, o frate, o suora... Qualunque scelta di vita, illuminata e guidata dalla fede, assume i tratti della consacrazione definitiva e il sapore del sacrificio di sé.
Ora sapete che cosa significa dire di sì a Dio, il sì della fede. Pensateci bene, prima di pronunciare questa breve parola.
Tre giorni e sarà Natale.
Omelia di fr. Massimo Rossi
"Sì a Dio: sì al destino e sì a te stesso.
Quando questo è realtà, l'anima può essere ferita, ma ha la forza di guarire."
Dag Hammarckjold
Umano per essere divino
La liturgia della parola di oggi è un forte invito a lasciarci visitare da Dio, da quel Dio che una volta di più si rivela come il Dio della misericordia: non si stanca di cercare l'uomo e, sempre rispettando la sua libertà, continua ad offrire la sua grazia (prima lettura); il suo sguardo è sempre qualcosa di speciale, perché si dirige a tutti senza escludere nessuno (seconda lettura); entra nella vita degli uomini non per un momento soltanto o a tempo determinato ma per essere per sempre il Dio-con-noi (vangelo).
La prima lettura ci aiuta a comprendere meglio quello che abbiamo detto domenica scorsa a proposito del nostro cuore, che spesso è stretto, piccolo, chiuso in se stesso. Dio dirige le sue parole ad un re (Acaz), empio, cattivo, egoista, l'esempio perfetto dell'egoista che non lascia nessuno spazio per gli altri nel proprio cuore. Credo che le parole che Dio gli rivolge siano per provare a cambiare qualcosa, perché questo cuore di re troppo legato alle cose terrene possa un po' allargarsi e che possa arrivare a credere e confidare in Lui. Però no! Acaz continua con il suo cuore piccolo, incapace di affidarsi a Dio e alle sue promesse. Preferisce appoggiarsi agli uomini, stringendo alleanze per vincere guerre e rafforzare il suo potere. Mi colpisce questo: normalmente, nel rapporto con Dio, siamo noi uomini a chiedere dei segni, delle prove della sua esistenza; qui no, è Dio stesso che offre un segno del suo amore e Acaz non accetta, disprezza l'offerta di Dio. Non è stato un buon re: è riuscito a stancare anche il suo popolo e in più era falso anche nel suo rapporto con Dio perché a parole sembra perfetto (non voglio tentare Dio) di fatto poi sacrificava agli idoli bruciando incenso sui monti. E Dio che cosa fa con lui? Torna a parlargli e, dopo il rifiuto, non si stanca di provarci e per bocca del profeta Isaia annuncia che il suo progetto di amore e di salvezza si compirà. Lo abbiamo letto nel vangelo iniziando la novena e lo leggeremo la sera della vigilia di Natale: negli ascendenti di Gesù ci sono Acaz e suo figlio Ezechia, che al contrario del padre sarà un buon re. Che bello: più l'uomo si allontana da Dio o più l'uomo allontana Dio da se stesso, e più Dio cerca vicinanza e una dimora presso di lui, Emmanuele, che significa Dio-con-noi. Nella sua immensa bontà Dio ci fa riflettere sulla qualità dei nostri desideri e sulla bellezza della Sua offerta: Acaz cerca grandezza e Dio offre la piccolezza di un Bambino, Acaz cerca forza e Dio offre la debolezza di un Bambino, Acaz cerca potere e Dio offre un Bambino che sarà servo di tutti, Acaz cerca la vittoria sconfigendo il nemico e Dio offre un Bambino che per la sua sconfitta sulla croce vincerà la morte per sempre. La profezia della prima lettura di oggi ci dice che Dio si fa incontrare nella disponibilità di una mamma e nell'innocenza di un bambino.
Per essere fedeli alla misericordia di Dio (ce lo dice la seconda lettura) la chiesa è chiamata a vivere la stessa tensione all'universalità, come apertura, come ricchezza della diversità e non paura di ciò che è differente da noi: abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli per suscitare l'obbedienza della fede in tutte le genti. La fedeltà di Paolo ha come un "segreto" e fin dal saluto di questa lettera ai Romani possiamo comprendere quale è: Io, Paolo, servo di Cristo Gesù... L'apostolo vuole dirci che la sua vita appartiene totalmente a Gesù e appartenere in questo modo non è schiavitù, ma libertà vera. Leggevo in un bel commento di don P. Rota Scalabrini che tutto questo non nasce da Paolo, non è frutto di una maturazione di un pensiero, ma è un compito, una responsabilità ricevuta, è cioè sufficiente l'incontro con Gesù perché nasca la missione. Dalle sue parole di saluto comprendiamo che non esiste altro interesse per lui se non quello di annunciare il vangelo (è molto forte quel segregato, sequestrato che in italiano abbiamo tradotto con "scelto"). Riceviamo anche una conferma da questa seconda lettura: la conferma del desiderio di Dio di prendere una dimora in mezzo a noi, di stare con noi. Bellissima la traduzione spagnola: nacido según lo humano, del linaje de David... che mi aiuta di più che non nato secondo la carne... Certo che affascina sempre di più questo appartenere del Figlio di Dio all'umanità.
Umanità che è il veicolo delle scelte più belle, delle scelte più dolci e per questo delle scelte più divine. Penso al vangelo di oggi e all'ascolto di un ritiro di Avvento su Giuseppe predicato da E. Bianchi. Il brano che abbiamo ascoltato straripa di misericordia, misericordia che nasce dal cuore di uomo, Giuseppe, che abituato più ad ascoltare che a parlare (non dice una parola che sia una nei vangeli) ci insegna a non giudicare, a fidarci. Tutto il contrario di Acaz, da cui discende, Giuseppe è un giusto ci dice il vangelo di Matteo, un osservante della Legge e come tale fedele ai comandamenti dell'Antico Testamento. Perché allora non ripudia Maria come prescrive la legge mosaica? Giuseppe, (ha detto E. Bianchi in questo ritiro di Avvento), è giusto di una giustizia che non è solo obbedienza alla legge. La legge va osservata, ma è sempre necessario unire alla osservanza e all'obbedienza della legge, la carità. Obbedire la legge ed eseguirla senza la carità porta all'oppressione, porta a ferire le persone. Non è che per Giuseppe vada bene tutto, che lui faccia finta di niente, no... decide di ripudiare Maria, ma decide di farlo con carità, senza metterla in evidenza (è la traduzione del testo spagnolo) per evitare l'offesa e la vergogna alla donna che ama. Bellissima, allora la parola che Giuseppe ci regala quest'oggi: ferito non giudica, ferito (e torno all'idea dell'umanità come veicolo delle nostre scelte più belle), si mostra umano. Oggi Giuseppe ci dice che arrivare ad essere divini è tutto sommato abbastanza semplice: è sufficiente essere umani, perdonando, usando misericordia, vivendo la carità.
Omelia di don Maurizio Prandi