La vita.......continua

News del 12/09/2009 Torna all'elenco delle news

Il vangelo di qusta XXIV domenica del tempo ordinario segna la svolta nel vangelo di Marco. La prima parte del ministero di Gesù era sfociata in un vicolo cieco, in una grande delusione. I capi del popolo, i farisei e gli scribi, si opponevano con ostilità al suo messaggio e alla sua opera. Il popolo lo cercava solo per vedere i segni miracolosi e per averne benefici. I discepoli stessi erano ciechi non comprendendo né chi era Gesù né quale fosse la sua missione.
Ma adesso avviene una svolta. Gesù stesso capisce che deve andare a Gerusalemme e sa che non può contare né sui capi, né sull’appoggio della gente, né in quello degli apostoli. E’ una questione sua, solo sua. Pietro stesso inizia a scorgere, a intravedere chi è veramente Gesù.

Nel brano precedente a Betsaida (8,22-30) Gesù ha guarito un cieco. Adesso se ne sta andando verso Cesarea di Filippo e per strada parla con i suoi discepoli.
Gesù sa di avere un certo tipo di impatto sulla gente; sa di essere sulla bocca delle persone; sa che si parla di lui. Finché camminano conversano su cosa si dice in giro e su qual è l’opinione della gente.

Chi dice la gente che io sia? A questo livello si risponde ciò che si sa, ciò che si è imparato dal catechismo, ciò che ci è stato trasmesso. Chi di noi non sa chi è Gesù?
Abbiamo cominciato ad essere cristiani perché i nostri genitori ci hanno portati a battezzare; poi ci hanno insegnato le preghiere e le cose da fare o da non fare perché Gesù le voleva o no; poi ci hanno portato a messa; poi ci hanno portato a catechismo; poi ci hanno fatto fare la prima comunione e la cresima; poi ci siamo sposati in chiesa perché “è bello”; poi siamo tornati a messa perché i nostri figli… Tutte cose buone ma la fede non nasce da quello che ci hanno tramandato e insegnato i nonni o i genitori, il prete o i catechisti, le feste del patrono o radio Maria. Si può tranquillamente essere cristiani ma non discepoli di Gesù.

La gente attribuisce a Gesù i titoli più elevati: pensare che fosse uno dei profeti, o Giovanni Battista (il profeta più grande di quel tempo) o addirittura Elia (il più grande di tutti i tempi) era il massimo. Cosa si poteva volere di più? Titoli più alti di questi, a quel tempo, non esistevano. Cosa poteva volere di più Gesù? A chi non piacerebbe ricevere complimenti del genere: “sei il migliore!; sei il più grande!; come te non c’è nessuno!; sei saggio!; sei forte!; sei profondo!; se non ci fossi tu…!”?. Ma non basta.

Gesù approfondisce la domanda: “E voi chi di te che io sia?”. E tu che dici? Chi sono io per te?
Viene un momento dove tutto ciò che abbiamo imparato e che sappiamo non conta più niente. Perché l’unica cosa che conta è la mia risposta. E nessuno può darla per me. Nelle questioni essenziali della vita siamo sempre soli, soli con noi stessi e con le nostre decisioni prese o rimandate. Nelle questioni essenziali non conta più niente ciò che c’è attorno, ciò che fanno gli altri, ciò che non fanno gli altri. Perché quella domanda è rivolta a me e quella risposta è solo mia.
Questo è il momento in cui Pietro si è deciso per il Signore. Pietro ha percepito, ha sentito che lì, al suo fianco, c’era la vita, c’era l’ebbrezza della vita, c’era il sapore della vita e si è deciso per tal senso. Da questo momento in poi, pur facendo errori non da poco (lo ha rinnegato tre volte!) non ritornerà più indietro su questa decisione. Aveva trovato la Vita: come poteva lasciarla?
Adesso lascio stare tutto ciò che so, che ho imparato e che mi hanno insegnato e mi chiedo: “Ma io cosa provo per te? Quanto sono disposto a giocarmi per Te, mio Dio? Quanto c’entri con la mia vita?”.

Pietro parla a nome degli apostoli: “Tu sei il Cristo”.
Storicamente Pietro non deve mai aver usato l’espressione “Cristo”, titolo attribuito a Gesù solo dopo la sua morte e resurrezione. Ma non importa sapere quale parola ha usato Pietro, perché il senso è chiaro: “Tu sei per me la vita, la luce, la sicurezza, la via, il faro, il mettermi in gioco, la verità; tu sei qualcosa che mi ha cambiato la vita, che l’ha resa diversa, piena, intensa, pericolosa”. Questo era il senso di quelle parole.
Ed è chiaro anche l’ordine di Gesù, apparentemente strano: “Impose loro severamente di non parlarne con nessuno”. Queste risposte non si possono dare per altri: sono strettamente personali, ciascuno le deve cercare per sé. Ciascuno deve scoprire per sé chi è per lui il Cristo. Ciascuno lo deve trovare da sé.
Qui Pietro non solo fa una professione di fede ma è il momento in cui si decide per il Signore. Aveva colto che Iddio gli animava la vita e l’esistenza, e si era deciso per Lui.
Pietro non stava male (aveva le sue barche, i suoi garzoni) ma adesso deve decidere se lasciare tutto per ciò che Gesù gli offre e quindi rischiare o se accontentarsi. Quando abbiamo trovato ciò che ci fa vivere, che ci riempie l’anima, dobbiamo deciderci. Dobbiamo seguirlo, dobbiamo abbandonare i nostri dubbi, le nostre paure e andare.

Decidere è convogliare la nostra forza e le nostre scelte verso un obiettivo.
Anche Gesù aveva fatto la sua scelta: “Dio”. E aveva deciso per la sua vita di andare a Gerusalemme”.
Gesù dice: “Io vado fino in fondo. Non posso cambiare il mondo e instaurare il regno ma voglio essere fedele a me stesso, a ciò che io credo e a ciò che io vivo. Questo comporterà pericolo, lotta, scontro e, forse, perfino la morte”.
Di fronte a ciò che Gesù dice Pietro lo rimprovera. Pietro ha altre idee su Gesù. Pietro gli dice: “No Signore. Abbiamo tanto successo, tanta gente ti segue, sei amato da molti. Perché rischiare così tanto? Se tu muori finirà tutto: che senso ha che tu vada a morire”. Ma Gesù seccamente gli dice: “Via da me satana”. Questi sono i tuoi calcoli ma non quelli di Dio. “Io devo rimanere fedele a me stesso. Potrei guarire tanti altri; magari vivere per tanti anni ancora; magari essere utile per tante persone. Ma a che serve tutto questo se io non sono fedele a ciò che ho dentro? A che serve tutto questo se io tradisco ciò che sono, la mia strada, la mia missione? A che serve se io, per paura, perdo la mia anima?”.
Il versetto successivo a questo vangelo (è un vero peccato che non venga letto) dice infatti: “ A che serve all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la propria anima?” (8,36).

E’ la legge della vita: se tu vuoi salvare, cioè cristallizzare, fermare, immobilizzare la vita, la perdi. Se tu non vuoi cambiare (salvare nel senso di fermare, restare sempre così) la tua vita, muori. Perché la vita và.
La vita non si può fermare. Non ci si può attaccare né alle relazioni né alle idee. Gesù dovrà a dire Pietro: “Vai dietro”. Pietro vuole fermare il Signore, vuole mettergli uno stop. Ma Gesù dovrà dire: “Chi mi vuol seguire deve dire “di no” a quell’atteggiamento naturale dell’uomo che vorrebbe fermare le cose; chi mi vuol seguire deve mettere in gioco le proprie idee, le proprie acquisizioni, e seguire il Signore della Vita là dove ci vuole portare”.
Poco dopo (9,5) Pietro ricadrà nello stesso errore. Sono sul monte della Trasfigurazione, stanno bene e Pietro dice: “Restiamo qui. Facciamo tre tende, si sta così bene qui!”. Ma la vita si vive, non la si ferma. Fare questo è “croce” perché è rischiare, osare, incontrare il nuovo, modificarsi.
La vita va, diviene e nel momento esatto in cui tu blocchi questo scorrere inizi a morire. L’acqua che stagna non si può bere; è solo l’acqua che scorre che ti può dissetare. La vita và.

Pensiero della Settimana

La Buona Novella di Gesù fu rifiutata non perché era buona
ma perché era nuova. Non temere di cambiare, è la Vita. 

Testo di don Marco Pedron (testo integrale)
tratto da www.lachiesa.it