8 dicembre 2013 - Seconda Domenica di Avvento: Convertitevi, perchè Dio è vicino!

News del 06/12/2013 Torna all'elenco delle news

Data la coincidenza con la Solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, le due liturgie si uniscono nella Celebrazione: la seconda lettura è quella della Domenica di Avvento, mentre la prima ed il Vangelo sono propri della Solennità mariana. 

 

Portatori di un pezzetto di cielo

 

La liturgia di oggi alimenta la nostra speranza. Possiamo raccoglierla, credo, attorno alla parola armonia. La prima lettura profetizza un'armonia (così come immagino sia pensata, desiderata da Dio): s. Paolo, scrivendo ai Romani chiede anche a noi di essere responsabili di questa armonia (è un compito, un impegno), perché la sua attualizzazione dipende da noi e il vangelo, scuotendoci, ci invita, cambiando nell'intimo di noi stessi, a realizzare questa armonia.

Nella prima lettura il profeta Isaia ci parla attraverso immagini della natura riconciliata: un tronco, che è un qualcosa di tagliato perché morto, da frutto e germoglia; il leone mangia la paglia e le bestie più tenere e fragili vivono insieme a quelle feroci. Su questo leggevo un bel commento a cura delle Famiglie della Visitazione che interpretava questa lettura (e a me pare bellissimo leggerla così), come un invito, per chi sta in alto a scendere. Solo a questa condizione è possibile l'armonia, solo a questa condizione è possibile la pace, solo a questa condizione è possibile l'incontro. Cielo e terra si incontrano dice lo stesso profeta Isaia in un suo passaggio, ma perché il cielo si abbassa. Penso allo Spirito del Signore di cui oggi abbiamo conosciuto la ricchezza dei doni (sapienza, intelligenza, consiglio, fortezza, pietà, timore di Dio)... penso anche all'Incarnazione e ai brani di vangelo che ci preparano a farne una memoria grata. Dialoghi tra ciò che sta in alto e si abbassa e ciò che sta in basso e desidera l'incontro, dialoghi tra il cielo e la terra: l'angelo e Zaccaria, l'angelo e Maria, l'angelo e Giuseppe. Penso che però non finisce tutto lì: così come ha fatto Maria con sua cugina Elisabetta, anche noi siamo chiamati a portare un po' del cielo che abbiamo ricevuto ai nostri fratelli e sorelle. Il tempo di Avvento ci aiuta allora, a preparare anche questo incontro, tra qualcosa che scende dal cielo e qualcosa che sale dal basso (perdonate il linguaggio, un po' semplicistico forse...) La parola di Dio ci dà come una regola per l'armonia: il potente si umilia (sta lì la vera "forza", il vero "potere"), perché deve essere il potente a scendere. A mo' di esempio il profeta ci racconta di forze che si abbassano e che rinunciano a "scatenarsi" (il lupo con l'agnello, il leopardo con il capretto...) e di piccolezze, di debolezze che desiderano l'incontro ma, se il grande non impara a scendere, che disastro!!! Quante implicazioni politiche ed ecclesiali in questo... quante discese che rimangono lì a mezz'aria e che per mancanza di coraggio non si concretizzano in un "atterraggio" in mezzo alla umanità piegata dal dolore; eppure non sarebbe nulla di straordinario, sarebbe solamente fedeltà al volto di Dio, all'unico volto di Dio capace di far nascere, suscitare la fede: la fede (leggevo in questi giorni), è lo stupore di trovarci di fronte a questo Dio così piccolo, a questo Dio che discende, che si umilia. Incontrando i giovani delle nostre due parrocchie domenica scorsa, dicevamo proprio questo e aggiungevamo che se la fede nasce in noi da questo incontro mette radici (tema del messaggio del papa ai giovani), altrimenti (una fede che si basa sul meraviglioso, sul potere, o peggio ancora sul fatto che essere cristiani "conviene") sarebbe connotata dalla fragilità e debolezza, senza nessuna consistenza. Per me sono sempre importanti le parole ascoltate da don Michele Do, pochi giorni prima di morire, quando ai suoi amici che lo andavano a salutare ripeteva che al termine della sua vita gli restavano "poche, dubitose chiarezze".

La seconda lettura ci dice che la realizzazione dell'armonia è un compito affidato a ciascuno di noi. Quello che il testo italiano traduce con accoglietevi, in spagnolo suona così: Que Dios les conceda a ustedes vivir en perfecta armonía unos con otros... ed è un qualcosa che non nasce da noi. E' Dio che ci concede di poter vivere così. Dice l'apostolo; c'è una condizione però, che è quella di avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù per essere capaci di essere seme di unità e di comunione. Accolti da Gesù, possiamo a nostra volta accogliere i nostri fratelli e sorelle perché si manifesti la gloria (ovvero la "presenza") di Dio in mezzo a noi.

Infine il Vangelo ci presenta Giovanni Battista con quell'invito a convertirsi, a cambiare, a far si che ciò che confessiamo a parole trovi un concreto riscontro anche nel profondo dell'animo. Mi piace condividere con voi quello che don Giovanni Nicolini scrive a proposito della conversione: Qual è la vera conversione? E' la conversione dalla propria vita alla Parola di Dio, è la conversione da se stessi a Dio. La conversione è un intreccio di dolore e di speranza che riconsegna a Dio la nostra vita, che ci strappa da ogni affidamento/fiducia in noi stessi o in qualcosa che noi facciamo, diciamo, e ci pone in attenzione/attesa/speranza nei confronti del Signore. Si potrebbe dire: ma il cambiamento delle nostre azioni non è già la conversione? Mi sembra di no!! Mi sembra che in fondo questo sia ancora un rimanere in se stessi e quindi un confidare in se stessi. Il cambiamento della vita è piuttosto un segno, o se volete "il" segno, della conversione al Signore e della nostra fede in Lui. Tanti andavano nel deserto per ascoltare il Battista, perché? Perché ha sempre detto la verità, e alle persone diceva di non aver paura di dire la verità, perché ciò che davvero conta di fronte a Dio non è essere belli fuori, (come i farisei e i sadducei che si avvicinavano per farsi battezzare), ma, pur in mezzo a mille fatiche, essere autentici cercatori del proprio volto e del volto di Dio.

Omelia di don Maurizio Prandi

 

Giovamnni il Battista

Il Vangelo di questa seconda domenica di avvento ci presenta la figura di Giovanni il Battista. Giovanni predica la conversione e opera un battesimo che prepari la gente ad accogliere il Signore. Giovanni appare nel deserto. Il deserto è il luogo della solitudine, ma anche dell'incontro tra Dio e il suo popolo. Proprio nel deserto in questa "terra di nessuno", Giovanni invita alla conversione perché il regno dei cieli è vicino. Giovanni cita anche Isaia e si considera non la Parola che è Gesù, bensì solo la voce. Giovanni è voce di uno che è Parola: Gesù. Giovanni, però, non si limita ad un generico invito alla conversione, ma la sua stessa vita esprime tale cammino. Il suo vestito, il suo mangiare, evoca una persona che si è incarnata nel deserto e vive la dimensione che il deserto stesso offre. La gente viene a lui in gran numero per farsi battezzare. Giovanni si scaglia contro i farisei e i saddducei, i potenti del tempo, perché pensano di sentirsi a posto, di non mettersi in discussione. Giovanni offre anche a noi oggi questo messaggio. Anche se appartieni alla Chiesa, anche se frequenti la Messa, non sei automaticamente un salvato, ma sei chiamato a compiere frutti degni di conversione. Sarebbe importante anche per noi capire quali sono questi frutti. Più che singoli frutti, sono sintomo di un atteggiamento diverso, di uno stile di vita sobrio, essenziale e di un rapporto fraterno con le persone. Il giudizio di Dio ormai è alle porte per Giovanni. Dio smaschera la nostra falsità e l'ipocrisia nei nostri rapporti. La conversione consiste nell'essere limpidi, onesti, trasparenti, gente che matiene la parola data, fedele ai propri principi, anche se altri li mettono in discussione. Giovanni stesso, con grande umiltà, si proclama solo un messaggero che battezza con l'acqua per la conversione. Il più forte, Gesù, deve ancora venire e battezzerà con la potenza dello Spirito Santo e con il fuoco del giudizio in grado di smascherare ogni ipocrisia. L'immagine del ventilabro ci fa comprendere come Gesù viene a vagliarci, a togliere quella pula che troppe volte ci ritroviamo addosso, per far crescere il buon grano, le nostre potenzialità positive. La vigilanza diventa la conversione a Gesù, alla Sua Parola, al suo agire, smascherando le nostre cattive intenzioni e comprendendo come solo Gesù valorizza tutto il positivo che è presente in noi. La misericordia di Dio è la certezza che il vero giudizio di Dio parte dal Suo amore verso ogni uomo. Giovanni ci invita a svegliarci da ogni torpore e a prendere sul serio la nostra vita per capire verso quale strada vogliamo indirizzarla.

Omelia di don Luigi Trapelli

 

La buona notizia del Dio vicino

La frase centrale dell'an­nuncio del Battista suo­na così: il regno dei cie­li è vicino, convertitevi. Sono le stesse parole con cui ini­zierà la predicazione di Ge­sù.

Dio è vicino, prima buona notizia. Il grande Pellegrino ha camminato, ha consumato distanze. Per ora, solo il profeta vede i passi di Dio. Ma «non è la Rivelazione che s'attarda / sono i nostri oc­chi non ancora pronti» (E. Dickinson).

Avvento è l'annuncio che Dio è vicino, vicino a tutti, rete che raccoglie insieme, in ar­monia, il lupo e l'agnello, il leone e il bue, il bambino e il serpente (parola di Isaia), uo­mo e donna, arabo ed ebreo, musulmano e cristiano, bianco e nero, per una nuo­va architettura del mondo e dei rapporti umani. Il Regno dei cieli e la terra come Dio la sogna. Non si è ancora rea­lizzata? Non importa, il so­gno di Dio è il nostro futuro che ci chiama. Noi andiamo chiamati dal futuro.

La seconda buona notizia: allora la mia vita cambia.

Ciò che converte il freddo in calore è la vicinanza del fuo­co. «Stare vicino a me è stare vicino al fuoco» (Vangelo a­pocrifo di Tommaso), non si torna indenni dall'incontro col fuoco. La forza che cam­bia le persone è una forza non umana, una forza im­mane, il divino in noi, Dio che viene, entra e cresce den­tro. Ciò che mi converte è un pezzetto di Cristo in me.

Convertitevi! Più che un or­dine è una opportunità: cambiate strada, azioni, pen­sieri; con me il cielo è più vi­cino e più azzurro, il sole più caldo, il suolo più fertile, e ci sono cento fratelli, e alberi forti, e miele. Con me vivrai solo inizi. Vivrai vento e fuo­co.

E frutti buoni. Rivelazione che nella vita il cambiamento è possibile sempre, che nessuna situa­zione è senza uscita, per gra­zia.

Il terzo centro dell'annuncio di Giovanni: portate frutti de­gni di conversione. Scrive Al­da Merini: la fede è una ma­no / che ti prende le viscere/ la fede è una mano / che ti fa partorire. Partorire un frutto buono!

Quando Dio si avvicina la vi­ta diventa feconda e nessu­no è più sterile. Dio viene al centro della vita non ai mar­gini di essa (Bonhoeffer). Raggiunge e tocca quella mi­steriosa radice del vivere che ci mantiene diritti come al­beri forti, che permette spe­ranze nonostante le macerie, frumento buono nonostan­te la erbe cattive del nostro campo. Viene nel cuore del­la vita, nella passione e nella fedeltà d'amore, nella fame di giustizia, nella tenacia del­l'onestà, quando mi impe­gno a ridurre la distanza tra il sogno grande dei profeti e il poco che abbiamo fra le mani. Perché il peccato non è trasgredire delle regole, ma trasgredire un sogno. Un so­gno grande come quello di Gesù, bello come quello di I­saia, al centro della vita come quello di Giovanni.

Omelia di padre Ermes Ronchi

Liturgia e Liturgia della Parola della II Domenica di Avvento (Anno A) 8 dicembre 2013