1 dicembre 2013 - Inizio del Nuovo Anno Liturgico e Prima Domenica d'Avvento: andiamo con gioia incontro al Signore!
News del 29/11/2013 Torna all'elenco delle news
Inizia oggi un nuovo Anno Liturgico, inaugurato dal tempo di Avvento.
Esso ci inviterà a predisporci alla "venuta" (adventus) del giorno solenne dell'Incarnazione di Gesù, ovvero del Natale, e a tale scopo ci offre anche elementi per un'accurata preparazione spirituale che ci trasformi in vista di codesta letizia. Le prossime settimane saranno caratterizzate infatti dall'attesa e dalla predisposizione interiore che ci contraddistinguerà in termini di gioia e di letizia. L'attesa di una festa è sempre una pregustazione della festa stessa, quando questa si caratterizzi nella gioia interiore.
L'Avvento lo si può intendere in un duplice senso: 1) la venuta imminente del Signore nella carne, il suo venirci incontro, il suo arrivo e 2) l'attesa e la predisposizione da parte nostra, il nostro attendere e il nostro agire.
Ma l'attesa e la venuta sono caratteristiche della gioia. L'evento che attendiamo sarà infatti innovatore e apportatore di pace e di benessere universale, che ci verrà data dal Dio che entra nella nostra storia per assumerla e attraversarla fino in fondo, senza disdegnare la tappa innocente e semplice dell'infanzia. Il Bambino che si attende e che sta per venire è apportatore di gioia essendo egli stesso il Re di pace.
La prima Lettura proclama il cambiamento di prospettiva che ci attende al termine di queste quattro settimane che ci separano dal Natale: Dio si fa uomo nel suo Verbo Gesù Cristo incarnato e un simile avvenimento, che prescinde dalla finezza razionale speculativa in nome della semplicità e della vera onnipotenza di Dio, è un privilegio assoluto di cui solo l'uomo è destinatario. Per questo motivo esso non può che essere vissuto nella letizia e nella serenità d'animo.
La gioia rende l'attesa attiva e produttiva e scongiura ogni negligenza e apatia. Attendere nella contentezza comporta fervore, impegno, costruttività e partecipazione e tali sono le caratteristiche del tempo di Avvento poiché esso ci predispone all'incontro e non all'imprevisto.
Sono però le caratteristiche dell'Avvento presente e dell'Avvento futuro, che si associano a quello liturgico di cui esso è un'espressione esteriore. Non solamente infatti Gesù viene a trovarci nella celebrazione del Natale, ma viene continuamente a visitarci in tutte le situazioni felici e avverse della vita. L'avvento è quindi anche il presenziare stesso di Gesù in mezzo a noi, il suo operare silente e proficuo, il suo esserci e prendersi cura di noi (Heidegger). Esso è costituito pertanto dalla presenza continua e ineffabile di Dio nella nostra dimensione e nella nostra vita e ad esso corrispondere il nostro andargli incontro" per entrare in perenne rapporto di intimità con lui. Ma l'Avvento è anche il nostro futuro nel Cristo, che a sua volta è determinato dalla venuta futura: Cristo verrà nella gloria a realizzare l'epilogo di questi giorni terreni e nell'attesa del compimento di questa speranza la nostra attenzione nei suoi confronti si fa sempre più operosa quale ricerca costante del nostro avvenire mentre si realizza oggi il nostro presente effettivo. In altre parole, l'Avvento è anche uno slancio verso il futuro che è Cristo, il Veniente.
Dio non cessa di cercare l'uomo e si fa trovare mentre noi lo cerchiamo e nel suo Figlio Gesù ci si propone come il passato di cui fare memoria, il presente sul quale concentrarsi con impegno e il futuro nel quale sperare e verso il quale incamminarci senza titubanza né trepidazione e infatti l'Avvento riguarda anche il nostro avvenire in Cristo, o meglio il nostro avvenire che è Cristo e il cui giudizio finale rivelerà giustizia piena e definitiva, come espresso nelle parole dello stesso Signore: "Così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata. ad indicare che la giustizia di Dio, tanto sospirata dall'uomo, si rivelerà alla fine anche nei minimi particolari, senza trascurare alcun dettaglio e che il Signore renderà a ciascuno secondo il suo merito.
Celebrare l'attesa del Natale è quindi celebrare anche la vita stessa per intero, rinnovando per essa la nostra continua adesione a Cristo. La liturgia di queste settimane è emblematica dell'intera predisposizione personale al Cristo che viene a trovarci per imprimere nella nostra storia mentre noi nella storia procediamo verso l'eternità.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Il Tempo di Avvento ci sollecita ad una coerente vita cristiana
Iniziamo con questa domenica un nuovo anno liturgico in cui sarà il Vangelo secondo Matteo ad offrirci la Parola che guida il nostro cammino di fede. Una delle caratteristiche di tale vangelo è la presenza di cinque grandi discorsi in cui Matteo raccoglie detti di Gesù attorno a temi fondamentali per la vita della chiesa. Il tempo di Avvento si apre come di consueto sulla prospettiva del ritorno del Figlio dell'uomo e dunque con un brano tratto dall'ultimo discorso proposto da Matteo, quello escatologico; di carattere composito, come per gli altri sinottici, questo testo presenta in Matteo un ampliamento significativo attraverso delle parabole che esemplificano il senso della vigilanza (in particolare nel cap. 25).
Nell'attesa che segna il ricordo liturgico del Natale del Signore la liturgia ci ricorda con il tema di questa prima domenica, la necessità di non staccare tale celebrazione dalla memoria della seconda venuta di Gesù Cristo e ci sollecita ad una coerente vita cristiana.
Accanto al vangelo la prima lettura ci offre l'immagine classica dell'incontro finale con Dio, quella del banchetto, nella versione di Isaia (2,1-5) completata dall'esortazione di san Paolo (Rom 13,11-14a) a vivere come figli della luce, riconoscendo i segni della presenza del Signore veniente in ogni tempo.
Contesto
Siamo all'interno del discorso escatologico di Matteo che occupa i capitoli 24 e 25; la pericope scelta per la prima domenica di Avvento ci offre tre piccole parabole attraverso cui l'evangelista vuole sottolineare l'imprevedibilità dell'ora della venuta del Figlio dell'uomo e la necessità di essere pronti, di vegliare. Proprio la menzione del Figlio dell'uomo segna l'inizio e la fine del brano (inclusione), indicazione che attira la nostra attenzione sul retroterra del testo, fatto di attese escatologiche, sia giudaiche sia delle comunità cristiane dei primi secoli.
L'espressione Figlio dell'uomo ci rimanda al testo di Dn 7,13-14 che naturalmente i cristiani, va riferita a Gesù Cristo, poiché sarà lui che verrà come giudice alla fine dei tempi. Mentre però i testi apocalittici giudaici del tempo si attardavano a calcolare il tempo di tale venuta (cfr. Dn 9 e 12) la tradizione neotestamentaria ne ha sempre sottolineato l'imprevedibilità.
L'evangelista nel testo propostoci non vuole fornirci delle indicazioni sui tempi o i segni che preludono la venuta del Figlio dell'uomo, ma piuttosto suggerire come vivere in modo che tale venuta non sia per noi un evento negativo (l'immagine utilizzata è quella del ladro che priva di ogni bene), ma piuttosto di un gioioso incontro con il Signore nostro.
Nel vangelo infatti Gesù non ci parla del futuro, ma invita a leggere il presente alla luce della sua storia. Con lui il tempo è compiuto (cfr. Mc 1,15) e ci è offerta la possibilità di viverlo in pienezza. Infatti il giudizio futuro di Dio su ciascuno di noi dipende dal nostro modo di giudicare il presente, nel saper riconoscere la Sua presenza qui e ora nel fratello e nella sorella in cui Egli si fa presente (cfr. Mt 25,31s).
Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.
Mentre due domeniche fa ci veniva proposta la parte iniziale del discorso escatologico, nella versione di Luca, ora siamo nella parte conclusiva di tale discorso. Nel v. 36 l'evangelista Matteo ha appena ricordato che solo il Padre conosce l'ora, ossia quando verrà la fine dei tempi e dunque la parusia. La pericope proposta vuole esemplificare tale versetto con due piccole parabole, la prima ci rimanda al tempo di Noè (cfr. Gn 6): la venuta del Figlio dell'uomo avverrà in un contesto simile, ma in che senso?
Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo.
Quando verrà la fine? La domanda che attraversa il discorso escatologico non riceve una risposta chiara, ma nei vv. 38-39 rimanda esplicitamente al quotidiano, alle attività di ogni giorno. E' qui che si gioca il nostro futuro. Interessante notare che il testo parla di due attività basilari per la vita, il nutrimento e la riproduzione.
La venuta del Figlio dell'uomo è imprevedibile, anche se certa, e coglierà di sorpresa, come il diluvio. Cosa fare per non farsi cogliere di sorpresa? I contemporanei di Noè non si accorsero di nulla, e noi? Cosa possiamo fare? Ci soccorre il testo della seconda lettura proposta in questa domenica (Rom 13,11-14a): restare nella luce della fede.
La venuta del Figlio dell'uomo inserisce il tema del giudizio che verrà attuato non sulle apparenze, entrambi gli uomini e le donne in questi versetti fanno le stesse cose, ma sulle motivazioni profonde che spingono l'agire, sul cuore potremmo dire. Quello che distingue le persone e il loro destino non è quello che si fa', ma il modo in cui lo si fa! E' la qualità della nostra vita, il modo in cui si compiono le azioni e i gesti quotidiani, lo stile dell'agire che qualifica il credente. Anche qui possiamo legger l'invito a non vivere superficialmente, ma dando senso (inteso come direzione e come significato) al nostro vivere.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
Ecco la pressante esortazione rivolta ai credenti: vegliate. Poiché è incerto il giorno della venuta del Signore (v.37 che riprende i vv. 37 e 39, ma li personalizza sostituendo il Figlio dell'uomo con il Signore vostro) l'atteggiamento proprio del credente è la vigilanza. A questo punto Matteo inserisce alcuni esempi, per mostrare in che consiste questo fondamentale atteggiamento, elementi che sono propri del suo vangelo e allungano il discorso escatologico rispetto agli altri due sinottici.
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. La liturgia ce ne propone solo uno centrato sul ladro, che viene senza preavviso e in un'ora imprevedibile, togliendo al padrone tutti i suoi beni. L'invito indiretto rivolto ai credenti è di non considerarsi padroni della propria vita (cfr. Lc 7, 24.27) a cui la morte, che è la personale fine de mondo, ruba ogni cosa, ma come discepoli in attesa operosa dell'incontro gioioso con Cristo Signore (cfr. Mt 25,1s), tema esemplificato anche dalla prima lettura (Is 2,1-5).
Il secondo suggerimento è la vigilanza, l'attenzione cioè a vivere appieno ogni momento perché non conosciamo l'ora in cui il Signore verrà. Con la ripetizione dell'indicazione dei v. 37.39, ecco una seconda esortazione: tenetevi pronti. Il brano si conclude sul tema della vigilanza in una chiave nuova: che significa essere pronti? Saranno i versetti immediatamente seguenti a dircelo e poi il capitolo 25. Possiamo leggere in questi brani di Matteo un'eco di quanto espresso in Dt 30,15-20, dove la scelta tra la vita e la morte, tra il bene e il male, è posta nelle nostre mani.
L'apocalittica cristiana come traspare dal testo di Matteo, non è interessata ad indicare i tempi della venuta del Signore, ma mentre mantiene salda la fiducia nella gestione della storia da parte di Dio e la speranza che ciò comporti la ricompensa dei giusti, fa di questi elementi dei punti di riferimento per l'agire cristiano nell'oggi. L'evangelista propone un'armonizzazione tra escatologia ed etica. I cristiani devono comportarsi sempre come se la venuta del Figlio dell'uomo fosse imminente (D. J. Harrington).
Del resto come ricorda l'inizio del vangelo di Marco (1,15), è con la venuta di Gesù nella storia che il tempo è compiuto, la sua presenza nel tempo va letta alla luce della fede. Il cristiano per questo è chiamato figlio della luce (cfr. la prima lettura Rom 13,11.14a) e raccoglierà, per la vita eterna, quanto avrà seminato nel quotidiano (Gal 6,8).
MEDITIAMO
1) Come cerco di vivere l'esortazione alla vigilanza che il testo mi offre? Cosa significa per me vivere nella luce di Cristo?
2) La venuta finale del Figlio dell'uomo come me la immagino? La temo o la percepisco come l'incontro con Cristo?
3) La vita di ogni giorno è il luogo in cui scegliamo il nostro destino eterno: è vero questo per me? Cosa cambia nel mio modo di agire, di giudicare, di scegliere?
Omelia del Monastero Domenicano Matris Domini
È Avvento, il tempo dell'ascolto
Avvento è il tempo magnifico che sta tra il gemito delle creature e la venuta di Signore, lunga ora tra le doglie e il parto. Tempo per guardare in alto e più lontano, per essere attenti a ciò che sta accadendo. Noi siamo così distratti, che non riusciamo a gustare i giorni e i mille doni. Per questo non siamo felici, perché siamo distratti.
I giorni di Noè: mangiavano e bevevano gli uomini in quei giorni, prendevano moglie e marito. Ma che facevano di male? Niente, erano solo impegnati a vivere. Ma a vivere senza mistero, in una quotidianità opaca: e non si accorsero di nulla. È possibile vivere così, senza sapere perché, senza accorgersi neppure di chi ti sfiora nella tua casa, di chi ti rivolge la parola; senza accorgersi di cento naufraghi a Lampedusa, di questo pianeta depredato, dei germogli che nascono. Non ci accorgiamo che questa affannosa ricerca di sempre più benessere sta generando un rischio di morte per l'intero pianeta. Un altro diluvio.
Il tempo dell'Avvento è un tempo per svegliarci, per accorgerci.
Il tempo dell'attenzione. Attenzione è rendere profondo ogni momento.
Due uomini saranno nel campo, uno verrà portato via e uno lasciato. Non è dell'angelo della morte che parla il Vangelo, ma di due modi diversi di vivere nel campo della vita: uno vive in modo adulto, uno infantile; uno vive affacciandosi sull'infinito, uno è chiuso solo dentro la sua pelle; uno è chino solo sul suo piatto, uno è generoso con gli altri di pane e di amore. Tra questi due uno è pronto all'incontro con il Signore, quello che vive attento, l'altro non si accorge di nulla.
Se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro...
Mi ha sempre inquietato l'immagine del Signore che viene di soppiatto come un ladro nella notte. Cerco di capire: Dio non è un ladro di vita, e infatti non è la morte che viene adombrata in questa piccola parabola, ma l'incontro. Il Signore è un ladro ben strano, non ruba niente, dona tutto, viene con le mani piene. Ma l'incontro con Lui è rapinoso, ti obbliga a fare il vuoto in te di cento cose inutili, altrimenti ciò che porta non ci sta. Mette a soqquadro la tua casa, ti cambia la vita, la fa ricca di volti, di luce, di orizzonti.
Io ho qualcosa di prezioso che attira il Signore, come la ricchezza attira il ladro: è la mia persona, il fiume della mia vita che mescola insieme fango e pagliuzze d'oro, questo nulla fragile e glorioso cui però Lui stesso ha donato un cuore.
Vieni pure come un ladro, Signore, prendi quello che è prezioso per te, questo povero cuore. Prendilo, e ridonamelo poi, armato di luce.
Omelia di padre Ermes Ronchi
Liturgia e Liturgia della Parola della Prima Domenica d'Avvento (Anno A) 1dicembre 2013
tratto da www.lachiesa.it