10 novembre 2013 - XXXII Domenica del Tempo Ordinario: è l'amore che vince la morte
News del 08/11/2013 Torna all'elenco delle news
La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l'hanno sposata sarà moglie quella donna nella vita eterna?
Per loro la sola eternità possibile sta nella generazione di figli, nella discendenza. Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, rompe l'accerchiamento, dilata l'orizzonte e «rivela che non una modesta eternità biologica è inscritta nell'uomo ma l'eternità stessa di Dio» (M. Marcolini).
Quelli che risorgono non prendono moglie né marito.
Facciamo attenzione: Gesù non dichiara la fine degli affetti. Quelli che risorgono non si sposano, ma danno e ricevono amore ancora, finalmente capaci di amare bene, per sempre. Perché amare è la pienezza dell'uomo e di Dio. Perché ciò che nel mondo è valore non sarà mai distrutto. Ogni amore vero si aggiungerà agli altri nostri amori, senza gelosie e senza esclusioni, portando non limiti o rimpianti, ma una impensata capacità di intensità e di profondità.
Saranno come angeli.
Gesù adopera l'immagine degli angeli per indicare l'accesso ad una realtà di faccia a faccia con Dio, non per asserire che gli uomini diventeranno angeli, creature incorporee e asessuate. No, perché la risurrezione della carne rimane un tema cruciale della nostra fede, il Risorto dirà: non sono uno spirito, un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho (Lc 24,36). La risurrezione non cancella il corpo, non cancella l'umanità, non cancella gli affetti. Dio non fa morire nulla dell'uomo. Lo trasforma. L'eternità non è durata, ma intensità; non è pallida ripetizione infinita, ma scoperta «di ciò che occhio non vide mai, né orecchio udì mai, né mai era entrato in cuore d'uomo...» (1Cor 2,9).
Il Signore è Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe. Dio non è Dio di morti, ma di vivi.
In questo «di» ripetuto 5 volte è racchiuso il motivo ultimo della risurrezione, il segreto dell'eternità. Una sillaba breve come un respiro, ma che contiene la forza di un legame, indissolubile e reciproco, e che significa: Dio appartiene a loro, loro appartengono di Dio. Così totale è il legame, che il Signore fa sì che il nome di quanti ama diventi parte del suo stesso nome. Il Dio più forte della morte è così umile da ritenere i suoi amici parte integrante di sé. Legando la sua eternità alla nostra, mostra che ciò che vince la morte non è la vita, ma l'amore. Il Dio di Isacco, di Abramo, di Giacobbe, il Dio che è mio e tuo, vive solo se Isacco e Abramo sono vivi, solo se tu e io vivremo. La nostra risurrezione soltanto farà di Dio il Padre per sempre.
Omelia di padre Ermes Ronchi
«Uguali agli angeli e figli della resurrezione»
Dopo il suo ingresso messianico a Gerusalemme, Gesù si reca al tempio, il cuore della vita di alleanza tra Dio e il suo popolo. Qui i rappresentanti dei vari gruppi religiosi di Israele, sempre più irritati dalla sua autorevolezza e «decisi a farlo perire» (cf. Lc 19,47), lo interpellano su varie questioni per coglierlo in fallo. Oggi ascoltiamo la controversia che oppone Gesù ai sadducei, i potenti della nobiltà sacerdotale, che lo interrogano sulla resurrezione dei morti.
I sadducei, che sulla base di un’interpretazione letteralistica della Legge di Dio, la Torah, «negano che vi sia la resurrezione», pongono a Gesù un quesito volto a mettere in ridicolo la posizione di quanti credono alla resurrezione. Rifacendosi in modo capzioso alle Scritture, citano la cosiddetta «legge del levirato» (cf. Dt 25,5-6): quando un uomo muore senza aver lasciato discendenza, la vedova deve sposarne il fratello, in modo da dargli un figlio che prenda il nome del fratello morto e non lasci estinguere il suo nome in Israele. Stravolgendo questa norma finalizzata alla vita, i sadducei creano ad arte il caso grottesco di sette fratelli che muoiono senza lasciare figli, dopo aver sposato in successione la stessa donna: nella resurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie?
Gesù non si lascia tentare dallo spirito polemico, ma risponde invitando i suoi interlocutori ad andare in profondità. Egli afferma innanzitutto che la sessualità, sulla quale pure riposa la benedizione creazionale di Dio (cf. Gen 1,28), è transitoria in quanto appartiene alla condizione terrestre degli esseri umani ed è figura di una realtà che la trascende: la fedeltà, l’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo, con tutti gli uomini (cf. Os 2,18-22; Ef 5,31-32)! Non la procreazione garantisce la vita eterna, ma la potenza di Dio: questo significa che gli uomini saranno «uguali agli angeli e figli della resurrezione», in una comunione finalmente piena con Dio nel Regno…
Poi Gesù scende sul terreno dell’interpretazione delle Scritture: egli non scruta la Legge nel tentativo di piegare Dio alle voglie umane, ma sa risalire alla volontà di Dio, il Legislatore. E così trova testimoniata la resurrezione al cuore della Torah, là dove Dio, rivelandosi a Mosè nel roveto ardente, gli dice: «Io sono il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» (Es 3,6). Gesù intende dire che, se Dio è stato il custode e il liberatore dei patriarchi, non lo è stato per un tempo passeggero, restando poi vinto dalla potenza della morte, ma lo è stato soprattutto di fronte alla morte, strappando ad essa i padri nella fede. E conclude: «Dio non è Dio dei morti ma dei vivi, perché tutti vivono per lui», già oggi e poi oltre la morte. Sì, l’alleanza che Dio stringe è eterna e non può trovare ostacoli nella morte: Dio ama l’uomo di un amore più forte della morte, e l’uomo che vive per lui quale Signore vive eternamente, risuscitato dalla potenza di Dio!
Il vero problema non è dunque quello di porsi domande oziose sul «come» della resurrezione e della vita futura nel Regno. Occorre piuttosto chiedersi: per chi e per che cosa vivo qui e ora? Ovvero: sono capace di amare e accetto di essere amato? A queste domande ha saputo rispondere Gesù, lui che ha creduto a tal punto all’amore di Dio su di sé da amare Dio e gli uomini fino all’estremo. È in questo esercizio quotidiano che egli è giunto a credere e ad annunciare la resurrezione; anzi, potremmo dire che è stato il suo amore più forte della morte che si è manifestato vincitore attraverso la resurrezione. Sì, credere la resurrezione è una questione d’amore, è “credere all’amore”, l’amore vissuto da Gesù, l’amore che porterà noi tutti a risorgere con lui per la vita eterna.
Omelia di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, tratta da www.monasterodibose.it
Noi crediamo nel Dio della vita oltre questa vita
Noi crediamo nel Dio della vita oltre la vita, di quella vita oltre il tempo che si chiama eternità. Noi crediamo nella risurrezione finale perché Cristo, Figlio di Dio, è risorto dai morti e ci attende tutti nel suo Regno di pace e felicità eterna. La verità fondamentale della nostra fede è credere nella risurrezione, anche di fronte alla nostra cultura che non pensa minimamente esistenza di una vita oltre il tempo, né nella risurrezione della carne. I dubbi di oggi sono gli stessi dubbi degli scettici o atei del tempo di Cristo, al punto tale che nel Vangelo odierno sono propri alcuni sadducei, che non credevano alla risurrezione, a porre a Gesù Maestro, in forma di quesito, questo caso morale e dottrinale: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: "Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello". C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie».
Bella questione che non si poteva licenziare in quattro parole. Oggi si farebbero trasmissioni televisione all'infinito, con forum, dibattiti e tavole rotonde per andare al fondo della questione. Gesù invece, con poche convincenti parole, risponde alla richiesta legittima di quanti sono in cerca di sapere la verità, con questa lapidaria affermazione dottrinale: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: "Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe". Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Da questa verità di fede noi operiamo in questo mondo per avere la vera vita. Quella presente è una preparazione di quella futura. Tanto è vero che noi non moriamo più: siamo eterni perché l'anima che Dio ha immesso nel nostro corpo morale è immortale, ci indentifica come figli della vita e non della morte, pur passando attraverso la morte corporale. Quella morte che sarà vinta con il definitivo ritorno di Cristo per il giudizio universale, come ricordiamo nella professione della nostra fede con il Credo Apostolico. L'assoluta certezza che ci aspetta oltre la morte una vita completamente diversa, senza neppure quei legami affettivi della terra, una vita piena nel senso più vero, è di grande conforto e consolazione per tutti noi che crediamo nella risurrezione finale. In un mondo senza speranza queste verità di fede, come costantemente ci ricorda in questo periodo Papa Francesco, aprono la nostra vita al sorriso e alla piena realizzazione dei sogni più veri che abbiamo coltivato e stiamo coltivando passeggiando come pellegrini nel tempo della storia in questo mondo, nonostante tutto, in quanto creature di Dio, Padre e Creatore di ogni cosa.
La problematica della risurrezione è affrontata anche nel testo della prima lettura, tratta dal secondo libro dei Maccabei, ove è narrata la vicenda umana, spirituale e religiosa di sette fratelli, veri credenti nel Dio della vita oltre la vita.
Le convinzioni di fede, quando sono autentiche e hanno attraversato l'esistenza di una persona e permeato il suo cuore, sono verità indiscutibili. Si ha fede e basta, anche se la fede in questi principi dottrinali fondamentali può causare, come spesso è avvenuto nel passato, la morte per martirio dei credenti di ogni epoca. La certezza assoluta della vita eterna aiuta ad accettare ogni pena e la stessa morte o martirio per testimoniare la fedeltà del cuore e della vita al Signore della vita. I sette fratelli vanno incontro alla morte per confermare la loro fede. E' quello che è avvenuto nei primi secoli con le persecuzioni dei romani verso i cristiani, è quello che sta avvenendo ai nostri giorni con le continue persecuzioni, massacri, violenze, terrorismo in varie parti del mondo, ove i cristiani e i cattolici in particolare testimoniano la loro fede non accettando, giustamente, limitazioni contro la loro religione. Risuonano di conforto quindi le sette espressioni pronunciate al re tiranno da quattro dei sette fratelli circa la risurrezione finale: "Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le leggi dei padri" (il primo); «Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell'universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (il secondo); «Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo, perché da lui spero di riaverle di nuovo» (il terzo); «È preferibile morire per mano degli uomini, quando da Dio si ha la speranza di essere da lui di nuovo risuscitati; ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita» (il quarto).
Come non ricordare le consolanti parole scritte dall'Apostolo Paolo ai fratelli cristiani di Tessalonica, ai quali si rivolge incoraggiandoli ad avere fiducia e speranza nel Signore: "Fratelli, lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene".
Il nostro pensiero di gratitudine e di ringraziamento per il dono della fede e soprattutto per il dono della vita terrena ed eterna va a Colui che è il Salvatore ed il Redentore di ogni uomo con la preghiera che la comunità cristiana innalza all'inizio della celebrazione eucaristica: "O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono; fa' che la parola del tuo Figlio, seminata nei nostri cuori, germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria. Amen".
Omelia di padre Antonio Rungi
Vivere la vita da risorti
...Gesù risolve immediatamente il problema oggetto di controversia e ne pone subito un altro, che costituisce immediatamente una sfida al pensiero sadduceo: quello che conta, dice Gesù, è la fede nella risurrezione, la quale è garantita anche dai codici scritturali in uso presso i Sadducei. Chiama così a testimone Mosè, nell'episodio della teofania del roveto, quando Dio gli si rivela come il Dio dei vivi e non dei morti: ""Che poi i morti risorgano lo ha indicato anche Mosè, a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui". Un Dio insomma che attualizza e prolunga la vita dei patriarchi configurandosi come risurrezione e vita eterna.
Il libro dei Maccabei, dal quale è tratto un episodio nella prima Lettura di oggi, narra la vicenda di alcuni fratelli che accettano di buon grado di essere torturati atrocemente davanti alla madre pur di non cedere al re; uno di essi è ridotto anche in fin di vita, ma non perdono la speranza: è bello morire per mano di uomini, quando si sa per certo che ci attende la risurrezione per la vita.
Non possiamo dimenticare del resto che "la nostra patria è nei cieli" e anche la vita che giorno dopo giorno si costruisce in questo mondo ha un apice nella gloria futura della risurrezione, che è l'incontro definitivo con il Dio vivente che tutti quanti ci destina alla stessa gloria del Risorto. La fede nella risurrezione, che ci separa dai Sadducei anni luce, ci incute quindi la certezza che il presente avrà un epilogo di gloria, in un traguardo al quale tutti quanti aneliamo. Essa ci infonde la motivazione per assumere il presente fino in fondo vivendo attimo dopo attimo, con estrema creatività, il nostro presente per costruire già sin d'ora la gloria futura. Vivere la vita da risorti è la nostra fondamentale vocazione, che ci spinge a fuggire il peccato e a perseverare nel bene ai fini di trovare la vita nella stessa sequela terreno del Cristo Risorto, mentre la persistenza nel peccato è ostinazione a voler procurare la propria condanna. La fedeltà che avremo mostrato a Dio al presente ci dischiuderà la visione beatifica di Dio nella dimensione ultima del Paradiso, luogo di perenne beatitudine nella visione beatifica dello stesso Risorto. La risurrezione finale è infatti la conseguenza del vivere da risorti la vita e sarà la pienezza di un incontro singolare e significativo che nell'intimità realizzeremo con il Signore. Il Dio dei vivi e non dei morti.
Omelia di padre Gian Franco Scarpitta
Liturgia e Liturgia della Parola della XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) 10 novembre 2013
tratti da www.lachiesa.it