1 novembre - Solennità di Tutti i Santi: nelle beatitudini la regola della santità
News del 31/10/2013 Torna all'elenco delle news
La festa di Tutti i Santi medita la lettura di una delle pagine più note del Vangelo di Matteo, quella delle "Beatitudini" (Matt.5,1-12) con cui inizia il "discorso della montagna" (Matt.5-7), la "magna charta del Regno dei cieli". Le Beatitudini sono certamente le sintesi più significativa di tutto il "lieto annuncio" di Gesù e la dichiarazione più espressiva della novità cristiana.
Il cap.5 di Matteo comincia col dirci che Gesù pronuncia il suo discorso "avendo visto le folle". Gli ultimi versetti del capitolo precedente descrivono le folle che Gesù vede: "Gesù percorreva tutta la Galilea insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo. La sua fama si diffuse per tutta la Siria e conducevano a lui tutti i malati, tormentati da varie malattie e dolori, indemoniati, epilettici e paralitici; ed egli li guarì. Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano". Lo sguardo di Gesù che abbraccia folle che simbolicamente esprimono il mondo intero, l'umanità in tutta la sua fragilità fisica, psicologica, morale, toccata da malattie di ogni genere, tormentata da ogni tipo di dolore, manifesta il modo di Dio di guardare l'umanità che egli ha creato. Il cap.3 del libro dell'Esodo che narra il grande incontro di Mosè con Dio rivela come Dio guarda il suo popolo: "Ho osservato la miseria del mio popolo?ho udito il suo grido?conosco le sue sofferenze...: sono sceso per liberarlo".
"Gesù salì sul monte": certo Matteo descrive la figura di Gesù alla luce dell'esperienza di Mosè che sale sull'Oreb e sul Sinai, e si trova con Dio faccia a faccia. "Messosi a sedere, gli si accostarono i suoi discepoli": l'esperienza di Gesù, in rapporto a quella di Mosè, risulta comunque radicalmente nuova. Mosè dal dialogo con Dio, che rimane sempre il "Santo", che si rivela nelle teofanie potenti, ha ricevuto il dono della Legge da comunicare al suo popolo, perché la osservi e così possa entrare nella terra che Dio promette: il dialogo di Gesù è esperienza filiale, dal Padre non riceve una Legge per il popolo, ma il dono della vita del Padre. Per questo Gesù "siede" per stare con gli uomini e i suoi discepoli gli si avvicinano: Gesù inaugura un modo nuovo di Dio di stare con gli uomini, fatto non più di timore ma di intima comunione e di tenerezza. Ed è bellissima l'espressione del Vangelo che dice che Gesù "aprendo la sua bocca, insegnava a loro": la Parola che egli ha ascoltato dal Padre è diventata la sua, in modo così pieno che è la sua stessa vita, la sua persona. Adesso "apre la sua bocca", si apre una comunicazione vera con gli uomini, la Parola di Dio pronunciata da una bocca umana, può essere udita da orecchi umani, ha un contenuto, un timbro, una tonalità che suscita relazione, comunione. E Gesù "insegnava" ai suoi discepoli: il verbo all'imperfetto indica una azione che continua. Gesù continua ad insegnare ai suoi discepoli nel corso della storia: insegna ad entrare con Lui nell'intimità del Padre, a lasciarsi afferrare dalla Parola del Padre in modo che essa diventi vita, ad aprire la bocca perché dalla bocca dei discepoli esca la Parola del Padre ormai incarnata nella voce umana dei discepoli. Così la Parola può comunicare veramente la pienezza della passione di Dio per l'uomo: chi ascolta la parola fattasi così umana, può percepire l'intensa gioia della Parola di Dio. E Gesù dice: "Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli". Comincia così il "discorso della montagna" che qualcuno definisce "il testo più enigmatico e sconvolgente dei Vangeli": è singolare come, muovendosi nel cuore dell'ebraismo, con piena autorità, Gesù puntualizzi e interpreti le Scritture per parlare di una realtà nuova.
Le "Beatitudini" sono il cuore del "vangelo del regno" che Gesù "andava annunciando mentre guariva ogni sorta di malattie e infermità nel popolo": potremmo leggere il racconto di tutti i Vangeli per accorgerci di come tutti coloro che si avvicinavano a Gesù, se ne andavano "pieni di gioia" perché liberati dalla malattia, dal peccato, o semplicemente felici perché lui si era rivolto a loro.
Il testo delle "Beatitudini" è tutto costruito sull'Antico Testamento, in modo particolare sui Salmi, questa stupenda raccolta di preghiere nelle quali la fede, che è profonda esperienza dell'uomo che ascolta Dio che gli parla, lo guida nella storia, lo interpella, lo mette in crisi, diventa un intenso dialogo di pace, di gioia e di felicità. Non per niente il libro dei Salmi comincia proprio così: "Beato l'uomo?": felice è l'uomo che cammina in una via dritta e piana, senza pericolo, senza timore. Ma l'uomo che prega i Salmi, l'uomo che crede, sa benissimo quanto spesso la via si faccia oscura, l'esperienza umana sia drammatica. La preghiera diventa un grido: "Dal profondo a te grido, o Signore" (Sal.130) ma è sempre una certezza: "Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me". E avviandosi alla fine la preghiera diventa: "Cantate al Signore un canto nuovo? gioisca Israele nel suo creatore: il Signore ama il suo popolo". (Sal.149) La certezza che percorre tutta la Bibbia è questa: Dio ama l'umanità che egli ha creato, questa umanità fragile, debole, malata, peccatrice.
La novità che Gesù immette nelle sue Beatitudini è Lui stesso: è Lui che partecipa della debolezza umana, compatisce la fragilità e la salva amandola, non imponendole una Legge che essa non sa portare, è Lui che sperimenta la lontananza da Dio ma lascia che sia l'onnipotenza dell'Amore del Padre a colmarla e così diventa il Pastore che può guidare l'umanità nella valle oscura verso pascoli erbosi, è solo Lui, povero, svuotato di tutto ma pieno dell'Amore del Padre che può dire: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli" e convincerci che è anche per noi la gioia, la felicità, la beatitudine, quando sentiamo che proprio per la nostra fragilità, di ogni tipo, la forza infinita dell'Amore del Padre è con noi. E' solo Lui il Pastore che ci guida per un cammino fatto di pianto, di mitezza, di fame e sete di giustizia, di misericordia e ci assicura che questa è l'unica via vincente perché è la via di Dio.
"Beati voi": le "Beatitudini si concludono così, rivolgendosi direttamente a noi, perché, se abbiamo il coraggio di credere, sentiamo la gioia, pure nel pianto, di essere nel mondo segno della forza sconvolgente di Dio.
Al passaggio del Mar Rosso, Myriam, la sorella di Mosè, danza; Davide danza quando la Torah entra in Gerusalemme; il libro dei Salmi termina in un incontenibile gioia fatta di musica, canto e danza (Sal.150); e noi dobbiamo lasciare sprigionare dal profondo del nostro cuore la gioia, lasciare libero sfogo al canto e alla danza perché Dio ci ama incondizionatamente.
Omelia di mons. Gianfranco Poma (Gesù aprì la bocca e disse: Beati i poveri in spirito)
Il Discorso della Montagna
Il Discorso della Montagna è il discorso di Gesù ai suoi discepoli e ad una grande folla di cui ci parla il Vangelo secondo Matteo (5,1-7,28), avvenuto in un luogo che la tradizione colloca su una montagna al nord del mar di Galilea, vicino a Cafarnao.
Le beatitudini si riferisce ad una parte molto conosciuta del Discorso della Montagna di Gesù, riportate dal Vangelo secondo Matteo al capitolo 5 e dal Vangelo secondo Luca al capitolo 6; una versione ridotta è presente ai versetti 54 e 69 del Vangelo di Tommaso.
Nel Vangelo secondo Matteo vengono enunciate nove beatitudini considerate la "regola della santità".
"In questo brano Matteo ha un'intenzione precisa: presentare Gesù come il nuovo Mosè, e il discorso di Gesù sulla montagna come il compimento della legge del Sinai. Il suo messaggio si concentra sulla parola "beati". La beatitudine dell'uomo povero e sofferente ha il suo fondamento in Gesù: in lui Dio ci ha già dato tutto.
Questo discorso traduce l'esperienza di Cristo, che può e deve diventare l'esperienza del cristiano. Non suggerisce le condizioni per essere frati o suore, ma semplicemente per essere cristiani.
Gesù aveva detto al tentatore: "Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Ora Gesù apre solennemente la bocca per dare la vita di Dio agli uomini per mezzo della sua parola.
"Beati i poveri in spirito". La povertà indica prima di tutto un atteggiamento spirituale nei confronti di Dio. I poveri in spirito attendono ogni aiuto da Dio. L'atteggiamento richiesto dalla prima beatitudine è come quello del bambino. La beatitudine dei poveri in spirito afferma in modo inequivocabile il primato della grazia, non quello delle opere.
Il povero in spirito è distaccato non solo dai beni materiali, che sono i meno importanti, ma anche e soprattutto dai beni superiori dell'intelligenza e della volontà, dalle proprie idee, dal proprio modo di sentire. Libero da se stesso, dalle sue vedute e aspirazioni umane, egli è pronto ad accogliere i beni del regno dei cieli. Questa disposizione interiore è indispensabile per chiunque voglia mettersi al seguito di Gesù. La salvezza è una realtà troppo grande per essere compresa dalla sola intelligenza umana. Chi pretende di ragionare troppo, e quindi a sproposito, rimane fuori da essa. Per questo, chi non è povero non può entrare nel regno dei cieli. Questa beatitudine è la caratteristica della persona di Gesù che noi dobbiamo imitare: "Imparate da me che sono povero e umile di cuore" (Mt 11,29).
Poveri in spirito non si nasce, ma si diventa, combattendo contro le istintive aspirazioni dei sensi, le pretese dell'intelligenza e le incomprensioni degli altri. Il vero povero non è colui che Dio ha umiliato, ma colui che si è abbassato con l'amore di un figlio. La vita del povero è caratterizzata dall'obbedienza, dalla sottomissione, dalla remissività, dall'abbandono, dal silenzio. La povertà evangelica presenta l'ideale religioso e spirituale nella sua duplice relazione. Verso Dio si esprime come umile e fedele sottomissione, verso il prossimo come pacifica e cordiale accoglienza.
"Beati gli afflitti". Gesù non è stato mandato solo per annunciare il vangelo ai poveri, ma anche a consolare gli afflitti (cfr Is 61,2). Essi non sono tali semplicemente per le disgrazie umane e le tribolazioni che affliggono tutti, ma soprattutto a causa delle oppressioni e delle ingiustizie subite per l'attuazione del piano di Dio. Sono afflitti perché il bene è deriso, perché la comunità cristiana è perseguitata e oppressa, perché Dio non è conosciuto e amato.
"Beati i miti". Il mite è colui che realizza in sé l'esortazione del salmo 37,7-11: "Stà in silenzio davanti al Signore e spera in lui; non irritarti per chi ha successo, per l'uomo che trama insidie. Desisti dall'ira e deponi lo sdegno, non irritarti: faresti del male, poiché i malvagi saranno sterminati, ma chi spera nel Signore possederà la terra.
"Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia". La giustizia è l'attuazione completa e generosa della volontà di Dio rivelata nel vangelo di Gesù. La fame e la sete indicano il desiderio di cercare e di attuare in se stessi questo progetto di Dio attraverso l'esercizio dell'amore (cfr Mt 25,37). Gli affamati e gli assetati della giustizia sono coloro che hanno fatto del compimento della volontà di Dio la massima aspirazione della propria vita, a tal punto che per loro la ricerca del piano di Dio diventa vitale come il mangiare e il bere. La ricompensa per quelli che hanno desiderato intensamente la giustizia di Dio è la sazietà, che significa la comunione piena e definitiva con Dio e con i fratelli.
"Beati i misericordiosi". La prima ed essenziale esigenza del regno di Dio è la misericordia attiva che ha la sua fonte e il suo modello nell'agire di Dio: "Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,36). L'amore misericordioso e benevolo di Dio si manifesta principalmente in due modi: perdona i peccati e soccorre e protegge i bisognosi.
"Beati i puri di cuore". Il cuore come simbolo di interiorità spirituale e morale designa la dimensione profonda e personale della relazione religiosa con Dio e con il prossimo in contrapposizione alla superficialità e all'esteriorità delle forme. I puri di cuore sono coloro che sanno accettare l'insegnamento di Gesù, la persona stessa di Gesù. Questa beatitudine richiede la piena adesione al vangelo. La visione di Dio promessa ai puri di cuore è la salvezza definitiva del paradiso dove vedranno Dio "a faccia a faccia" (1Cor 13,12).
"Beati gli operatori di pace". Gli operatori di pace sono i continuatori dell'opera di Gesù, gli annunciatori del messaggio della salvezza. La pace è assenza di ogni inimicizia, è presenza di grazia e di santità. Solo chi vive nella pace di Dio può diventare strumento di pace umana. Gli apportatori della pace sono gli annunciatori del vangelo, tutti coloro che lavorano per la venuta del regno di Dio sulla terra.
"Beati i perseguitati". Il messaggio della salvezza è imperniato sulla croce: chi lo annuncia e chi lo riceve dev'essere disposto a lasciarsi oltraggiare, calunniare, spogliare, crocifiggere. La sofferenza dell'innocente è un mistero di cui l'uomo dell'Antico Testamento non ha saputo intravedere la soluzione (cfr Sap 3,4). La beatificazione del dolore che il Nuovo Testamento ribadisce in numerose occasioni è un paradosso che non trova la sua giustificazione nella logica umana, ma solo nell'esempio e nell'insegnamento di Gesù.
Le beatitudini evangeliche hanno il loro modello e la garanzia della loro realizzazione in Gesù, il "povero e umile di cuore", rifiutato e perseguitato dagli uomini, ma riabilitato e glorificato da Dio (cfr At 5,31; Fil 2,9-11; ecc.).
Omelia di padre Lino Pedron
Il discorso della montagna nel commento di Sant'Agostino: Il discorso del Signore sulla montagna
Nel rito bizantino le beatitudini del Vangelo secondo Matteo vengono recitate, solitamente in canto, in ogni celebrazione eucaristica.
Liturgia e Liturgia della Parola della Solennità di Tutti i Santi: 1 novembre 2013
tratti da www.lachiesa.it